Rivista Dell'arbitrato 1-15 (2024)

ISSN 1122-0147

ASSOCIAZIONE ITALIANA PER L’ARBITRATO Pubblicazione trimestrale Anno XXV - N. 1/2015 Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in a.p. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB (VARESE)

RIVISTA DELL’ARBITRATO diretta da Antonio Briguglio - Giorgio De Nova - Andrea Giardina ASSOCIAZIONE ITALIANA PER L’ARBITRATO Pubblicazione trimestrale Anno XXV - N. 1/2015 Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in a.p. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB (VARESE)

RIVISTA DELL’ARBITRATO diretta da Antonio Briguglio - Giorgio De Nova - Andrea Giardina comitato scientifico GUIDO ALPA - FERRUCCIO AULETTA - PIERO BERNARDINI - PAOLO BIAVATI - MAURO BOVE - FEDERICO CARPI - CLAUDIO CONSOLO - DIEGO CORAPI - FABRIZIO CRISCUOLO - GIORGIO GAJA - FRANCESCO PAOLO LUISO - RICCARDO LUZZATTO - NICOLA PICARDI - CARMINE PUNZI - LUCA RADICATI DI BROZOLO - PIETRO RESCIGNO - GIORGIO SACERDOTI - LAURA SALVANESCHI - FERRUCCIO TOMMASEO - ROMANO VACCARELLA - GIOVANNI VERDE - VINCENZO VIGORITI - ATTILIO ZIMATORE. già diretta da ELIO FAZZALARI. direzione: ANTONIO BRIGUGLIO - GIORGIO DE NOVA - ANDREA GIARDINA.

MARIA BEATRICE DELI (direttore responsabile). redazione ANDREA BANDINI - LAURA BERGAMINI - ALDO BERLINGUER - ANDREA CARLEVARIS - CLAUDIO CECCHELLA - MASSIMO COCCIA - ALESSANDRA COLOSIMO - ELENA D’ALESSANDRO - ANNA DE LUCA - FERDINANDO EMANUELE - ALESSANDRO FUSILLO - DANTE GROSSI - MAURO LONGO - ROBERTO MARENGO † - FABRIZIO MARRELLA - ELENA OCCHIPINTI - ANDREW G. PATON - FRANCESCA PIETRANGELI ROBERTO VACCARELLA Segretari di redazione: ANDREA ATTERITANO - MARIANGELA ZUMPANO.

La Direzione e la Redazione della Rivista hanno sede presso l’Associazio- ne Italiana per l’Arbitrato, in Roma, Via Barnaba Oriani, 34 (c.a.p. 00197) tel. 06/42014749 - 06/42014665; fax 06/4882677; www.arbitratoaia.org e-mail: [emailprotected] L’Amministrazione ha sede presso la Casa Editrice, in Milano (c.a.p. 20151), Via Busto Arsizio, 40 - Internet: http://www.giuffre.it e-mail: [emailprotected] INDICE

DOTTRINA

LUCA G. RADICATI DI BROZOLO, I rimedi contro le interferenze statali con l’arbitrato internazionale ...... 1 ANDREA PANZAROLA, L’arbitrato sportivo statunitense nelle leghe profes- sionistiche. Sul problema dell’imparzialità del « Commissioner » della NFL (« National Football League ») nel procedimento arbi- trale in materia di sanzioni disciplinari ...... 17 GIANPAOLO FREZZA, Trascrizione della domanda di arbitrato (alla luce della l. n. 162 del 2014 e della sentenza della Corte Costituzionale n. 223 del 2013) ...... 65

GIURISPRUDENZA ORDINARIA

I) Italiana

Sentenze annotate:

App. Milano 1 luglio 2014, con nota di M. DE SANTIS, Prove di elasticità del motivo di impugnazione di cui all’art. 829, comma 1, n. 4, c.p.c.: l’impugnabilità di un lodo ultra vires ...... 83

II) Straniera

Sentenze annotate:

Regno Unito - High Court 19 dicembre 2013, con nota di C. DE STEFANO, La legge applicabile alla clausola arbitrale: considerazioni intorno al novello approccio conflittuale delle corti inglesi ...... 105 Regno Unito - High Court 11 giugno 2014, con nota di G. ZARRA, Il principio del favor arbitrati e le convenzioni arbitrali patologiche nei contratti commerciali internazionali ...... 135 Regno Unito - Court of Appeal 21 ottobre 2014, con nota di L. MACCHI, Clausole arbitrali e incorporazione nelle polizze di carico ...... 155

III GIURISPRUDENZA ARBITRALE

I) Italiana

Lodi annotati:

Collegio arbitrale, Bari 24 giugno 2014, con nota L. SALVANESCHI, Anti- cipazione degli acconti e delle spese per lo svolgimento dell’arbitrato e conseguenze del mancato adempimento delle parti ...... 175

DOCUMENTI E NOTIZIE

Le nuove “Arbitration Rules” della London Court of International Arbitration ...... 187

IV DOTTRINA

I rimedi contro le interferenze statali con l’arbitrato internazionale (*)

LUCA G. RADICATI DI BROZOLO (**)

I. Premessa. — II. Il fondamento nazionale dell’arbitrato internazionale e la mancanza di rimedi contro le interferenze statali nel procedimento arbitrale secondo la visione tradizionale. — III. Il primo tipo di rimedio: l’elusione delle ingerenze dei tribunali statali. — IV. Il ricorso alle corti internazionali e ai tribunali arbitrali di investimento. — V. Verso il superamento della tradizionale deferenza nei confronti delle decisioni statali in materia di arbitrato. — VI. Limiti, potenzialità ed opportunità di un atteggiamento meno tollerante dei comporta- menti statali ostili all’arbitrato.

I. Questo scritto si propone di esaminare i rimedi esperibili dai soggetti che subiscono le conseguenze di interventi patologici in relazione ad un procedimento arbitrale ad opera di tribunali statali (1). Interventi siffatti, che si estrinsecano in provvedimenti di giudici nazionali che possono apparire in qualche modo criticabili agli esperti di arbitrato, ed in particolare di arbitrato internazionale, prendono forme diverse: il man- cato rispetto della convenzione arbitrale, l’interferenza nel normale svol- gimento della procedura arbitrale, in particolare mediante l’emanazione

(*) Scritto in onore di Giorgio De Nova. Sintesi del corso dal medesimo titolo tenuto dall’autore all’Academy for International Arbitration Law nel luglio del 2014. (**) Professore ordinario nella Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. (1) Alcuni dei temi trattati nel presente contributo sono stati da me trattati in alcuni lavori precedenti: LUCA G. RADICATI DI BROZOLO, The Control System of Arbitral Awards: a Pro-Arbitration Critique of Michael Riesman’s ‘Architecture of International Commercial Arbi- tration’, in Arbitration - The Next Fifty Years, ICCA Congress Series, Vol. 16, 2012, 74-102; The Enforcement of Annulled Awards: an Important Step in the Right Direction,inThe Paris Journal of International Arbitration, 2013, 1027 ss.; The Enforcement of Annulled Awards: Further Reflections in Light of Thai-Lao Lignite,inThe American Review of Int’l Arbitration, 2014, 47 ss.; Unlawful Interference with International Arbitration by National Courts of the Seat in the Aftermath of Saipem v. Bangladesh, in Liber Amicorum B. Cremades (a cura di M.Á. FERNÁNDEZ-BALLESTEROS,DAVID ARIAS), 2010, 993 ss. (con L. MALINTOPPI); The impact of National Law and Courts on International Arbitration: Mythology, Physiology, Pathology, Remedies and Trends,inThe Paris Journal of International Law, 2011, 663 ss.; M. BENEDETTELLI, LUCA G. RADICATI DI BROZOLO, Introduzione,inBENEDETTELLI,CONSOLO,RADICATI DI BROZOLO, Commentario breve al diritto dell’arbitrato nazionale e internazionale, Padova, 2010, 529 ss.

1 di ingiunzioni rivolte agli arbitri, l’annullamento del lodo per motivi discutibili e il diniego di esecuzione di un lodo straniero in violazione della Convenzione di New York del 19 giugno 1958. Questo tipo di interferenza anomala nel normale svolgimento dell’arbitrato si verifica ancora al giorno d’oggi, nonostante l’accettazione ormai diffusa dell’arbitrato da parte degli ordinamenti nazionali, il diffondersi di una cultura favorevole all’ar- bitrato e la sempre maggiore uniformità nelle legislazioni nazionali sul- l’arbitrato. Vale dunque la pena esaminare se vi siano possibilità di ristoro per le vittime di tali comportamenti lesivi delle normali aspettative degli utiliz- zatori dell’arbitrato.

II. Il punto di partenza di questa disamina è naturalmente la con- statazione che l’arbitrato, ivi compreso quello internazionale, rimane una creazione degli Stati e dei loro ordinamenti. Esiste naturalmente uno strumento internazionale vincolante, la Convenzione di New York, che è il pilastro dell’arbitrato commerciale internazionale, dal quale discendono due obblighi fondamentali per il funzionamento dell’arbitrato internazio- nale: l’obbligo di rispettare le convenzioni arbitrali e quello di riconoscere e dare esecuzione ai lodi stranieri, sanciti rispettivamente dagli articoli II e III della Convenzione. Tuttavia, la Convenzione di New York non detta disposizioni ulteriori su come gli Stati devono disciplinare l’arbitrato. Ad esempio, essa non disciplina i motivi di impugnazione dei lodi, lasciando così al riguardo notevole discrezionalità agli Stati contraenti. Per di più, essa non ha (almeno direttamente) sovvertito il tradizionale ruolo dei tribunali dello stato della sede e la loro giurisdizione sugli arbitrati che ivi hanno la sede. Di conseguenza, secondo la visione forse ancora a tutt’oggi predominante, la Convenzione di New York prevedrebbe un « sistema » o un’« architettura » dell’arbitrato internazionale fondata su una presunta « giurisdizione primaria » dei giudici della sede, che in sostanza attribui- rebbe quasi un diritto di vita e di morte sui procedimenti arbitrali con sede sul loro territorio (2). Inoltre, la Convenzione consente margini di apprezzamento conside- revoli anche riguardo agli stessi due obblighi che essa impone. Basti pensare alla nozione di ordine pubblico, che finisce per lasciare ampia discrezionalità ai giudici statali chiamati a pronunciarsi sul riconoscimento e l’esecuzione di lodi stranieri, ma lo stesso vale per altre disposizioni della Convenzione di New York. A rigore si potrebbe dire che la Convenzione è priva di vera forza cogente, visto che non esiste un meccanismo capace

(2) Per questa visione cfr. in particolare W. M. REISMAN,B.RICHARDSON, Tribunals and Courts: An Interpretation of the Architecture of International Commercial Arbitration,in Arbitration: The Next Fifty Years, ICCA Congress Series, Vol. 16, 2012, 17-65 al quale è dovuta anche l’espressione « architettura dell’arbitrato internazionale ».

2 di assicurarne l’interpretazione uniforme e di individuare la soluzione « corretta » dei diversi problemi applicativi, oltre che di prevenirne e sanzionarne le violazioni. In particolare, non esiste in relazione ad essa un meccanismo giurisdizionale simile al rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione europea. In queste condizioni potrebbe apparire utopistico ipotizzare rimedi contro il tipo di interferenze statali nei confronti dell’arbitrato evidenziato sopra. Invero, secondo la visione tradizionale e quella di chi postula un’« architettura » dell’arbitrato internazionale incentrata sul ruolo dei tribunali della sede, non vi sarebbe alcun rimedio. Le vittime delle ingerenze dei tribunali statali non avrebbero in sostanza alternativa al subirle passivamente. Ciò varrebbe anche per le violazioni della Conven- zione di New York, dato che, come detto, questa non prevede alcun meccanismo per assicurare il rispetto dei suoi obblighi. L’unica soluzione in caso di violazione di tali obblighi sarebbe la protezione diplomatica, che rimane però ovviamente un’ipotesi in concreto non praticabile. Eppure, la prassi recente dimostra che in realtà esistono dei rimedi cui le vittime di interferenze statali possono in determinate circostanze fare ricorso, in via alternativa o cumulativa. Questi possono essere di due tipi. Sebbene a prima vista abbiano poco in comune, in realtà questi due tipi di rimedi hanno la medesima filosofia di fondo, che consiste nel rifiuto del dogma dell’« architettura » dell’arbitrato internazionale e nel ridimensio- namento del ruolo dei giudici nazionali, compresi quelli della sede.

III. Il primo tipo di rimedio consiste essenzialmente nell’ignorare o eludere le ingerenze dei tribunali dello stato della sede nei confronti dell’arbitrato. Questo può avvenire in due modi. Anzitutto, può essere il tribunale arbitrale stesso che semplicemente ignora gli ordini provenienti dai giudici nazionali, compresi quello dello stato della sede, ritenendoli abusivi o ingiustificati. Il caso tipico è quello degli arbitri che proseguono nella conduzione dell’arbitrato, a dispetto delle ingiunzioni, non infrequenti nella prassi di alcuni paesi, con cui i giudici intimano loro di non proseguire con l’arbitrato o pretendono di rimuoverli dal loro incarico (3). L’altro modo per neutralizzare le interferenze dei giudici nazionali comporta un intervento dei tribunali di paesi diversi da quello della sede, quando l’intrusione patologica nello svolgimento dell’arbitrato consiste nell’annullamento del lodo. Questa modalità si basa sulla crescente accet- tazione dell’idea secondo cui, contrariamente alla visione tradizionale, i

(3) Per i riferimenti alla prassi cfr. LUCA G. RADICATI DI BROZOLO, Unlawful Interference with International Arbitration by National Courts of the Seat in the Aftermath of Saipem v. Bangladesh, cit., 998 ss.; The impact of National Law and Courts on International Arbitration: Mythology, Physiology, Pathology, Remedies and Trends, cit.

3 lodi annullati nella sede sono comunque riconoscibili in altri paesi, in particolare quando l’annullamento è fondato su motivi ritenuti inaccetta- bili secondo i principi generalmente accettati in tema di arbitrato. Il tema, che ruota intorno all’art. V(1)(e) della Convenzione di New York, è noto (4). Vi sono in effetti vari precedenti molto conosciuti nei quali tribunali nazionali hanno accettato di riconoscere lodi annullati dai tribunali dello stato della sede, tra cui in particolare i casi Chromalloy (5), Hilmarton (6), Putrabali (7), Bechtel (8), Yukos (9). Il caso più recente è Commisa v. Pemex (10) in cui la District Court for the Southern District of New York ha riconosciuto un lodo che era stato annullato in Messico sulla base di un’eccezione di inarbitrabilità retroattiva. Vi è anche una decisione ancora più recente della medesima corte statunitense nel caso Thai-Lao Lignite, la quale accoglie anch’essa il principio che l’annullamento di un lodo non ne preclude il successivo riconoscimento in un altro Paese, seppur man- tenendo un approccio a mio giudizio eccessivamente prudente e deferente nei confronti dei giudizi di annullamento stranieri (11). Per le ragioni da me analizzate in modo più approfondito in altre sedi, non condivise dai fautori della visione classica, sussistono in effetti a mio parere ragioni sia strettamente giuridiche, sia di principio, per ritenere ingiustificato un atteggiamento di particolare deferenza nei confronti di sentenze straniere di annullamento dei lodi. Il vantaggio delle due soluzioni qui delineate per neutralizzare le ingerenze dei giudici nazionali, che si potrebbero definire di “autotutela”, è che esse non richiedono una verifica dell’effettiva contrarietà rispetto ad un obbligo internazionale del comportamento dello stato che interferisce con l’arbitrato. Ad esse si può quindi ricorrere anche semplicemente

(4) Cfr. per tutti G. BORN, International Commercial Arbitration, Kluwer Law Interna- tional, 2014, 3621 ss. (5) Chromalloy v. Arab Republic of Egypt, 939 F. Supp. 907 (D.D.C. 1996). Ove non altrimenti indicato tutte le decisioni qui citate sono facilmente reperibili su internet. (6) Hilmarton Ltd. v. Omnium de Traitement et de Valorization - OTV, 1994 (Cour de Cassation), XX Y. B. Comm. Arb. 663. (7) PT Putrabali Adyamulia (Indonesia) v. Rena Holding et al, 2007 (Cour de Cassation), XXXII Y. B. Comm. Arb. 299. (8) Directorate General of Civil Aviation of the Emirate of Dubai v. International Bechtel Co. Limited Liability Company (Panama), 2005 (Paris Cour d’appel), XXXI Y. B. Comm. Arb. 629. (9) Yukos Capital s.a.r.l. v. OAO Rosneft, 2009 (Amsterdam Court of Appeal), XXXIV Y. B. Comm. Arb. 703. (10) Corporación Mexicana de Mantenimiento Integral (« COMMISA ») v. Pemex-Ex- ploración y Producción (« PEP »), 2013 WL 4517225 (S.D.N.Y. Aug. 27, 2013), su cui il mio commento The Enforcement of Annulled Awards: an Important Step in the Right Direction, cit. (11) Thai-Lao Lignite (Thailand) Co Ltd & Hongsa Lignite (Lao Pdr) Co., Ltd v Government of the Lao People’s Democratic Republic, 2014 WL 476239 (S.D.N.Y. February 6, 2014), su cui il mio commento The Enforcement of Annulled Awards: Further Reflections in Light of Thai-Lao Lignite, cit.

4 quando l’interferenza appaia inaccettabile alla luce dei principi considerati corretti dagli arbitri o dal giudice del riconoscimento alla luce della loro concezione dell’arbitrato e dei rapporti tra arbitrato e diritto statale, al fine di prevenire che l’esercizio della giurisdizione di uno stato si riper- cuota negativamente e con portata extraterritoriale sulla sorte del singolo procedimento arbitrale. Vi sono tuttavia situazioni in cui questi meccanismi di autotutela si rivelano inadeguati. Possono in effetti esservi casi in cui gli arbitri non sono in grado di ignorare completamente le interferenze dello stato della sede e di continuare a svolgere le proprie funzioni perché, ad esempio, l’intero tribunale o alcuni suoi componenti sono soggetti alla giurisdizione coercitiva dello stato o rischiano comunque di incorrere in conseguenze personali se violano gli ordini dei giudici locali. Oppure, potrebbe non essere possibile fare eseguire all’estero un lodo annullato presso la sede, vuoi perché il de- bitore non possiede beni fuori dello stato della sede, vuoi perché i tribunali dei paesi in cui tali beni si trovano non ammettono la riconoscibilità di un lodo annullato. Oppure, più semplicemente, potrebbe esservi una qualche ragione per fare valere il lodo proprio nello stato autore delle interferenze. Infine, è ovviamente impossibile aggirare in questo modo il comportamento in ipotesi criticabile dello stato quando esso consiste nell’esecuzione di un lodo ai sensi della Convenzione di New York.

IV. Si pone dunque il problema se vi siano rimedi per i casi in cui non è dato ricorrere ai meccanismi di « autotutela » appena descritti. Esistono ormai numerose decisioni che dimostrano che in talune circo- stanze si riesce ad intervenire contro un’ingerenza patologica facendo ricorso ad un tribunale internazionale, anche, ma non soltanto, quando l’ingerenza si traduce in una violazione della Convenzione di New York (12). Un primo gruppo di decisioni interessanti da questo punto di vista si ritrova nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, la quale nei casi Stan Greek Refineries (13), Regent co. (14)eKin Stib (15)ha

(12) Cfr. LUCA G. RADICATI DI BROZOLO, Unlawful Interference with International Arbi- tration by National Courts of the Seat in the Aftermath of Saipem v. Bangladesh, cit.; The impact of National Law and Courts on International Arbitration: Mythology, Physiology, Pathology, Remedies and Trends, cit.; GABRIELLE KAUFMANN-KOHLER, Commercial Arbitration Before International Courts and Tribunals - Reviewing Abusive Conduct of Domestic Courts - 2011 American University Washington College of Law Annual Lecture on International Commercial Arbitration, in Arbitration International, Vol. 29, N. 2, 2013, 153-173; D. BRIAN KING,RAHIM MOLOO, Enforcement after the Arbitration: From National Courts to Public International Law Fora,inForum Shopping in the International Commercial Arbitration Context, a cura di F. FERRARI, Sellier European Law Publishers, 2013, 393-458. (13) Stan Greek Refineries e Stratis Andreadis c. Grecia, 1994 (CEDU). (14) Regent Company c. Ucraina, 2008 (CEDU). (15) Kin-Stib e Majkić c. Serbia, 2010 (CEDU).

5 stabilito che le ingerenze statali nei procedimenti arbitrali e il mancato rispetto dei lodi possono estrinsecarsi in violazioni della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Ancora più interessante è la giurisprudenza che può essere conside- rata il punto di incontro tra l’arbitrato commerciale internazionale e l’arbitrato in materia di investimenti, e che per questo è stata definita « cross-over » (16), ossia quella relativa ai casi in cui l’arbitrato di investi- menti viene utilizzato come mezzo di tutela contro illeciti statali in materia di arbitrato commerciale. Vi sono stati numerosi casi, ormai ben noti, in cui tribunali arbitrali di investimento hanno ritenuto che azioni di tribunali statali pregiudizievoli per l’arbitrato commerciale possono costituire un illecito internazionale, e più specificamente una violazione dei trattati sulla protezione degli inve- stimenti. In particolare, vi sono sei decisioni che hanno affrontato diret- tamente la questione (17). In tre di esse le azioni dei tribunali nazionali sono state qualificate come violazione del diritto internazionale, mentre nelle altre tre una tale violazione non è stata rinvenuta. La diversità di risultato si spiega in gran parte con le differenze nei fatti delle singole fattispecie. Il primo caso di questo genere, e quello in cui si è affermato per la prima volta il principio secondo cui il comportamento di uno stato e dei suoi giudici può costituire un illecito internazionale, è il caso ICSID Saipem v. People’s Republic of Bangladesh (18). Di primo acchito il caso non concerneva la Convenzione di New York. Esso traeva origine da una controversia relativa ad un contratto per la costruzione di un oleodotto tra una società italiana e la compagnia petrolifera di stato del Bangladesh che era stata oggetto di un arbitrato CCI con sede in Bangladesh, come previsto dal contratto, ad iniziativa della parte italiana. I tribunali della sede avevano dapprima impedito all’arbitrato commerciale di seguire il proprio corso rimuovendo gli arbitri, sebbene ai sensi del Regolamento CCI applicabile al caso la ricusazione fosse di esclusiva competenza della Corte della CCI. Avendo il tribunale arbitrale comunque proseguito con i propri lavori, arrivando ad emanare un lodo malgrado le intimazioni dei giudici del Bangladesh, questi avevano finito per dichiarare inesistente il lodo stesso. A quel punto la società italiana ha avviato un arbitrato ICSID ai sensi

(16) La definizione è di W. M. REISMAN,B.RICHARDSON, cit. (17) Cfr. anche lodo ICSID No. ARB/05/17, Desert Line v. Yemen, del 21 gennaio 2008 e il caso Kaliningrad v. République de Lituanie, menzionato in una sentenza dalla Corte d’Appello di Parigi del 18 novembre 2010, in The Paris International Arbitration Journal, 2011, 149 ss. (18) Saipem v. Peoples’ Republic of Bangladesh, Decisione sulla giurisdizione e misure cautelari nel procedimento ICSID No. ARB/05/07 del 21 marzo 2007 e lodo sul merito del 30 giugno 2009.

6 del trattato bilaterale di investimento tra Italia e Bangladesh, sostenendo che gli interventi dei giudici locali che avevano posto nel nulla l’arbitrato equivalevano ad un’espropriazione, l’unico tipo di violazione invocabile in base al trattato bilaterale in questione. Il tribunale ICSID si è così trovato ad affrontare diversi problemi mai fino ad allora postisi in questi termini in un arbitrato di investimento. Il primo punto che si poneva di fronte al tribunale arbitrale ICSID era se la pretesa relativa all’ingerenza nell’arbitrato commerciale fosse quali- ficabile come relativa ad un investimento ai sensi del trattato bilaterale. La questione è stata a mio avviso risolta in maniera convincente dal tribunale, il quale ha ritenuto che, quantunque il lodo stesso non fosse qualificabile come investimento, esso aveva « cristallizzato » l’investimento iniziale, costituito dal contratto per la costruzione dell’oleodotto. Le altre questioni principali che hanno dovuto essere decise dal tribunale arbitrale includevano le eccezioni del governo del Bangladesh alla giurisdizione del tribunale arbitrale fondate sulla presunta compe- tenza esclusiva dei tribunali della sede dell’arbitrato, soprattutto posto che la sede era stata designata dalle parti; il rilievo dell’asserita conformità al diritto interno delle azioni dei tribunali locali; l’obiezione che il tribunale arbitrale di investimento veniva in sostanza ad agire come giudice di appello in relazione alle decisioni dei tribunali locali, dando così all’inve- stitore una seconda possibilità di giudizio; infine, se le decisioni dei tribunali nazionali potevano essere considerate « espropriazioni » ai sensi del trattato bilaterale e più generalmente se potevano costituire un atto illecito dello stato. Quest’ultimo punto era particolarmente delicato, data la tradizionale riluttanza a considerare come illecito internazionale le azioni dei tribunali. Strettamente collegato a questo punto era quello se il comportamento lamentato dall’investitore non fosse in realtà qualificabile come diniego di giustizia, con la conseguente necessità di distinguere tra espropriazione e diniego di giustizia. Ciò, a sua volta, sollevava l’ulteriore interrogativo relativo al previo esaurimento dei ricorsi interni. Alcune di queste questioni si sono poi ripresentate nei casi successivi. Il lodo Saipem contiene diverse affermazioni importanti. Innanzi- tutto, uniformandosi alla tesi maggioritaria ed evitando quindi di sposare tesi avveniristiche che prefigurano un arbitrato « senza legge » o flottant, esso ha riconosciuto che i giudici nazionali godono di un ampio potere discrezionale in relazione agli arbitrati con sede nel loro territorio, ivi compreso in relazione alla ricusazione degli arbitri. Esso ha anche rico- nosciuto — senza ritenere che ciò fosse inaccettabile dalla prospettiva del diritto internazionale — che, nel caso in esame, la legge del Bangladesh consentiva ai giudici di rimuovere gli arbitri benché il Regolamento CCI, applicabile per volontà delle parti, attribuisse tale competenza alla Corte della CCI. Pur partendo da questa constatazione, gli arbitri hanno però ritenuto che in concreto « the Bangladeshi courts exercised their supervi-

7 sory jurisdiction for an end that was different from the one for which it was instituted », in quanto avevano indebitamente favorito la parte del Ban- gladesh, « and thus violated the internationally accepted principle of prohi- bition of abuse of rights »(19). Il Tribunale Arbitrale ha poi concluso che, così facendo, i giudici della sede avevano violato i principi di fondo della Convenzione di New York, poiché avevano vanificato la convenzione arbitrale, e che « the supervision of the courts of the seat must be exercised in good faith, in accordance with the rule of law, and with generally accepted principles of international arbitration »(20). Sempre in coerenza con la tesi maggioritaria sulla natura dell’arbi- trato e sulla competenza statale a regolarlo, gli arbitri hanno concluso che « there is no question that, under most legal systems including the Bangla- deshi one, by choosing the seat of the arbitration the parties submit to the jurisdiction of the courts at the seat, which jurisdiction can be exercised in aid and in control of the arbitration process »(21). Con riferimento al caso specifico, tuttavia hanno ritenuto che « [t]hat submission obviously implies that the courts exercise their jurisdiction to the ends for which it is created and do not abuse their powers. In the present case, it has been established above that the courts’ intervention was abusive. Hence, the choice of Dhaka as a seat cannot change the conclusions drawn earlier by the Tribunal »(22). Sulla base di queste valutazioni, che non sconvolgono gli assunti di base sui rapporti tra diritto statale e arbitrale ma arrivano a trarne le conseguenze naturali, seppure innovative, il Tribunale Arbitrale del caso Saipem è così arrivato a concludere che, per effetto delle azioni dei suoi giudici, il Bangladesh aveva violato i propri obblighi internazionali e lo ha condannato a risarcire l’investitore straniero. In conseguenza di ciò, alla fine il governo del Bangladesh ha pagato all’investitore straniero una parte considerevole della somma che era stata liquidata dagli arbitri. Il secondo caso in cui ha avuto successo l’azione di un investitore leso dalle azioni dei giudici statali nei confronti di un arbitrato è Ata v. Jordan (23), nel quale un tribunale ICSID ha considerato come investi- mento « il diritto all’arbitrato ». In quel caso il tribunale arbitrale ha accolto la tesi dello stato secondo cui non può aversi diniego di giustizia in assenza di esaurimento dei ricorsi interni e che anche per tale motivo nel

(19) Saipem v. Peoples’ Republic of Bangladesh, lodo sul merito del 30 giugno 2009, cit., § 161. (20) Saipem v. Peoples’ Republic of Bangladesh, lodo sul merito del 30 giugno 2009, cit., § 186. (21) Saipem v. Peoples’ Republic of Bangladesh, lodo sul merito del 30 giugno 2009, cit., § 187. (22) Saipem v. Peoples’ Republic of Bangladesh, lodo sul merito del 30 giugno 2009, cit., § 187. (23) ATA Construction, Industrial and Trading Co. v. Jordan, lodo ICSID No. ARB/08/2 del 18 maggio 2010.

8 caso di specie l’annullamento del lodo non poteva considerarsi diniego di giustizia. Tuttavia, esso ha considerato come illecito internazionale l’ap- plicazione retroattiva di un divieto di ricorrere in arbitrato, per effetto del quale all’investitore era stato impedito di ricorrere nuovamente all’arbi- trato in seguito all’annullamento del lodo. Avendo in tal modo privato l’investitore di un valido diritto all’arbitrato, lo stato è stato ritenuto responsabile di aver anche impedito l’esercizio di un suo diritto partico- larmente importante, in violazione delle disposizioni del trattato bilate- rale. È interessante che l’applicazione retroattiva da parte dei tribunali statali di un divieto di ricorrere all’arbitrato sia il medesimo comporta- mento censurato nel caso Commisa v. Pemex menzionato sopra dai giudici di New York, i quali hanno riconosciuto il lodo precedentemente annul- lato in Messico proprio per quello stesso motivo. Il medesimo comporta- mento avrebbe forse potuto essere considerato anche come una violazione sostanziale dell’obbligo di rispettare gli accordi arbitrali ai sensi dell’arti- colo II della Convenzione di New York. Il terzo caso risoltosi a favore all’investitore è il caso UNCITRAL White Industries v. India (24). Questo era un caso complicato relativo al riconoscimento in India di un lodo estero, nel quale venivano in rilevo sia i ritardi che avevano caratterizzato il procedimento di riconoscimento del lodo di fronte ai giudici indiani, sia il peculiare, e forse oggi abbandonato, approccio della giurisprudenza indiana secondo cui i giudici locali eserci- tano una competenza di annullamento anche nei confronti di lodi stra- nieri. Il lodo White Industries conferma la posizione del lodo Saipem secondo cui un lodo relativo ad un investimento « cristallizza » l’investi- mento stesso. Nel merito, esso respinge la maggior parte delle domande dell’investitore basate sul criterio del fair and equitable treatment e sul diniego di giustizia (anche tenendo nel debito conto la situazione generale dell’India e del suo sistema giudiziario sovraccarico). Esso accoglie però una domanda residuale fondata sul motivo degli « effective means »di protezione degli investimenti previsto dal trattato bilaterale in questione, che viene ritenuto essere stato violato dalla durata novennale del proce- dimento locale per il riconoscimento e l’esecuzione del lodo straniero. Come indicato sopra, vi sono invece altri tre casi che hanno rigettato le domande degli investitori tese a fare ravvisare una violazione del diritto internazionale nel modo in cui i tribunali nazionali hanno trattato l’arbi- trato. Il primo di questi, Frontier Petroleum v. Czech Republic (25), concer- neva il rifiuto di riconoscimento di un lodo straniero per motivi di ordine pubblico ai sensi dell’articolo V (2)(b) della Convenzione di New York

(24) White Industries Australia Limited v. India, lodo UNCITRAL del 30 novembre 2011. (25) Frontier Petroleum Services v. Czech Republic, lodo PCA/UNCITRAL del 12 novembre 2010.

9 che, secondo l’attore, costituiva una violazione dell’obbligo di fair and equitable treatment previsto dal trattato bilaterale applicabile nella specie. Come nel caso Saipem, anche in Frontier Petroleum il tribunale arbitrale ha riconosciuto che l’investimento iniziale si era tramutato nel lodo e si è ritenuto competente a giudicare sulla compatibilità del mancato ricono- scimento del lodo con lo standard del fair and equitable treatment. Esso ha tuttavia concluso che nel caso specifico i giudici nazionali non avevano abusato della propria discrezionalità nell’interpretare la nozione di ordine pubblico ai sensi dell’articolo V (2)(b) della Convenzione di New York. Nel caso di specie questa conclusione è difficile da criticare, dato che il rifiuto di esecuzione del lodo per contrarietà all’ordine pubblico era motivato dalla necessità di rispettare la par condicio fra i creditori di un’impresa soggetta a procedura di insolvenza. Anche il caso Romak v. Uzbekistan (26) è relativo al mancato ricono- scimento di un lodo straniero. La domanda dell’investitore è stata respinta in quanto è stata accolta l’eccezione di giurisdizione dello stato convenuto, fondata sul fatto che il contratto oggetto dell’arbitrato commerciale in relazione a cui si era avuta la pretesa interferenza — una semplice fornitura — non era qualificabile come investimento ai sensi del trattato bilaterale applicabile nel caso di specie (27). Ciò malgrado, il tribunale arbitrale sembra indicare che la pretesa avrebbe potuto essere accolta qualora l’operazione sottostante fosse stata un investimento. L’unico caso che parrebbe contraddire in modo diretto la posizione del lodo Saipem è il lodo ICSID nel caso GEA v. Ucraina (28), anch’esso relativo alla mancata esecuzione di un lodo CCI, il quale ha respinto la domanda dell’investitore per carenza di giurisdizione. Nel lodo GEA il tribunale arbitrale ha criticato in modo piuttosto severo l’equazione operata dal lodo Saipem tra lodo commerciale e operazione ad esso sottostante ai fini dell’individuazione dell’investimento protetto in base al trattato bilaterale. A sua volta, però, il lodo White Industries menzionato sopra è molto critico del lodo GEA proprio su questo punto. Il rilievo della posizione del lodo GEA sull’equiparabilità tra lodo commerciale e operazione sottostante è comunque in parte ridimensionato dal fatto che esso è soltanto un obiter dictum. Invero, come nel caso Romak, il vero motivo dell’accoglimento dell’eccezione di giurisdizione è la non qualifi- cabilità come investimento ai sensi del trattato bilaterale del contratto sottostante alla controversia.

(26) Romak SA v. Uzbekistan, lodo PCA/UNCITRAL del 26 novembre 2009. (27) Sulla base della medesima motivazione relativa alla non qualificabilità come inve- stimento del contratto sottostante risulta essere stata respinta un’analoga domanda contro l’Etiopia relativa al comportamento dei suoi giudici riguardo ad un lodo emanato in base al regolamento arbitrale applicabile ai contratti finanziati dal Fondo Europeo di Sviluppo. Il lodo non è pubblico. (28) GEA Group Aktiengesellschaft v. Ukraine, lodo ICSID No. ARB/08/16 del 31 marzo 2011.

10 V. I casi brevemente riassunti sopra mi paiono dimostrare che effettivamente esistono delle strade che le vittime dei comportamenti degli stati e dei loro giudici che interferiscono in modo inaccettabile con l’arbitrato possono percorrere per ottenere una tutela. E ciò a sua volta comporta che gli stati non godono necessariamente di una totale impunità in relazione a tali comportamenti. Entrambe le tendenze sopra identificate sono oggetto di critiche. I tradizionalisti, tuttora ancorati ad una visione dell’arbitrato come esclusi- vamente incardinato all’ordinamento dello stato della sede, considerano che entrambi i meccanismi sovvertono l’« architettura » dell’arbitrato internazionale basato su una presunta giurisdizione « primaria », e ten- denzialmente esclusiva, della sede. In particolare l’intervento dei tribunali arbitrali di investimento in relazione alle ipotesi di interferenza con l’arbitrato commerciale si configurerebbe come un’intrusione indebita nelle competenze dei tribunali nazionali, ed offrirebbe agli investitori un’opportunità ingiustificata di fare rivedere le decisioni di questi. Inoltre, esso rischierebbe di alimentare le reazioni negative nei confronti dell’ar- bitrato di investimento. Queste critiche non mi paiono giustificate. In primo luogo, quella relativa al sovvertimento della cosiddetta “architettura” dell’arbitrato internazionale è priva di qualsiasi fondamento giuridico, in quanto sem- plicemente non esiste alcuna « architettura » che conferirebbe allo stato della sede una giurisdizione « primaria » sull’arbitrato. Una tale visione non trova in particolare alcun appiglio neppure nella Convenzione di New York (29). Quanto al primo tipo di rimedio, ossia l’autotutela consistente nel- l’inosservanza degli interventi dei provvedimenti dei giudici statali che interferiscono con l’arbitrato, non vi è alcuna ragione né giuridica né di principio in virtù della quale gli arbitri e gli altri stati dovrebbero piegarsi alle decisioni di quegli stati che non si conformano agli standards gene- ralmente accettati, o comunque da quelli seguiti da chi si trova a dover prendere in considerazione il comportamento dei giudici autori dell’inter- ferenza, in particolare quando si tratta dell’annullamento dei lodi. Quanto invece all’intervento dei tribunali di investimento, neppure a questo proposito vi è a mio avviso alcun motivo — giuridico o di principio — perché, in determinate circostanze, i comportamenti statali che pregiu- dicano il corretto svolgimento del meccanismo arbitrale siano assoggettati a controllo, e se del caso sanzionati, ai sensi del diritto internazionale. Nonostante le differenze tra di loro, determinate anche dalle differenze

(29) Per maggiori approfondimenti e per un’analisi critica della teoria dell’“architettura” dell’arbitrato internazionale cfr. LUCA G. RADICATI DI BROZOLO, The Control System of Arbitral Awards: a Pro-Arbitration Critique of Michael Riesman’s ‘Architecture of International Com- mercial Arbitration’, cit.

11 tra i casi di specie, i lodi esaminati sopra dimostrano una crescente presa di coscienza che il trattamento dell’arbitrato da parte dei giudici nazionali non è di per sé sottratto al vaglio internazionale. Ciò è vero non solo quando sono in gioco l’efficacia delle convenzioni arbitrali e il riconosci- mento dei lodi stranieri, direttamente oggetto della Convenzione di New York, ma anche quando si tratta dell’annullamento del lodo o della ricusazione degli arbitri in relazione a cui, come dimostra il caso Saipem, un’interpretazione costruttiva dell’art. II della Convenzione è suscettibile di dare frutti interessanti. Posto che gli stati soggiacciono a precisi obblighi in relazione all’ar- bitrato che discendono da un’importante convenzione internazionale (la Convenzione di New York), non si vede perché il mancato rispetto di tali obblighi non dovrebbero essere sanzionati quando è disponibile un foro in cui farne valere la violazione. Inoltre, posto che l’arbitrato è uno stru- mento essenziale per la tutela dei diritti dei singoli anche nei confronti degli stati e delle entità statali, è più che ragionevole che gli interessi e le aspettative degli investitori quanto al corretto funzionamento di tale strumento siano tutelati mediante l’arbitrato di investimento, esattamente come lo sono tutti i loro interessi economici. Le critiche rivolte a questi sviluppi hanno in parte a che vedere con il fatto che, in tali casi, i comportamenti statali oggetto di valutazione da parte dei tribunali arbitrali di investimento sono quelli dei giudici statali. Tradizionalmente le azioni dei tribunali interni sono valutate con mag- giore deferenza di quelle degli altri organi dello stato. L’accertamento di un diniego di giustizia è soggetto ad una soglia molto elevata e per di più richiede il previo esaurimento dei ricorsi interni. Tuttavia, a me pare che nell’era dei trattati bilaterali di investimento, il cui scopo è appunto l’eliminazione dell’obbligo di esaurimento dei ricorsi interni e la garanzia del rispetto della rule of law a tutela degli investitori, tutto ciò vada messo in discussione. Le ragioni addotte a sostegno della tesi tradizionale e per opporsi all’evoluzione qui prefigurata paiono alquanto formalistiche. In fin dei conti, uno dei principali scopi dell’arbitrato (il quale è peraltro tutelato da una convenzione internazionale) è proprio l’evitare l’intervento dei tribunali interni nella soluzione delle controversie, soprat- tutto nell’interesse della neutralità e del carattere definitivo della deci- sione. È quindi controintuitivo un atteggiamento di particolare deferenza rispetto alle decisioni dei tribunali nazionali, anche quando interferiscono in modo inaccettabile con l’arbitrato secondo i criteri generalmente ac- cettati. Anche per questo è speciosa l’obiezione secondo cui il ricorso all’arbitrato di investimenti offrirebbe indebitamente all’investitore una seconda opportunità per fare valere i propri diritti (il secondo morso alla mela, secondo l’espressione utilizzata dai commentatori anglosassoni). Infatti, in queste situazioni il problema è precisamente che all’investitore è stata indebitamente negata quella che avrebbe dovuto essere la normale

12 opportunità di farli valere, costituita appunto dall’arbitrato, dal momento che i benefici del ricorso a questo strumento vengono compromessi proprio dall’intervento illecito dei tribunali nazionali. Non vi è quindi motivo perché il comportamento dei tribunali nazio- nali in relazione all’arbitrato non dovrebbe sottostare alle medesime regole che valgono per i comportamenti degli altri organi dello stato atti a danneggiare gli interessi degli investitori. Invero, sarebbe illogico che i comportamenti dei giudici nazionali nei confronti dell’arbitrato sfuggis- sero a qualsiasi valutazione, né vi è alcuna giustificazione per consentire agli Stati di invocare il proprio diritto interno per sottrarsi ai loro obblighi internazionali, in deroga al principio cardine di diritto internazionale codificato all’articolo 32 del Progetto di articoli sulla responsabilità degli Stati per atti internazionalmente illeciti del 2001 della Commissione del diritto internazionale. Si tratta ovviamente di questioni delicate, ma che non mi paiono particolarmente più delicate delle altre che si pongono in generale in relazione all’arbitrato di investimento e alle quali i tribunali arbitrali operanti in base ai trattati di protezione degli investimenti sono chiamati a rispondere in modo equilibrato e secondo principi solidi. Ciò detto, i critici dell’evoluzione qui esaminata dovrebbero sentirsi rassicurati dal fatto che i tribunali arbitrali di investimento che finora hanno affrontato la questione si sono attenuti ad un approccio molto prudente ed equilibrato, e oltremodo rispettoso dei giudici nazionali. Ad esempio, nei casi Saipem e Frontier Petroleum gli arbitri hanno adottato un criterio assai rigido per la valutazione delle azioni dei giudici nazionali. Solo nel primo caso il tribunale arbitrale è giunto alla conclusione che i giudici nazionali avevano oltrepassato i limiti del loro ampio potere discrezionale nell’applicare le norme interne in materia di arbitrato ed avevano abusato dei propri poteri. Nel caso Frontier Petroleum, invece, gli arbitri hanno giustamente riconosciuto che il mancato riconoscimento del lodo rientrava nei limiti della discrezionalità nella definizione dell’ordine pubblico riconosciuta ai giudici nazionali dalla Convenzione di New York. Un ulteriore esempio dell’atteggiamento prudente e rispettoso dei tribu- nali nazionali adottato dai tribunali di investimento è il caso White Industries, che si è rifiutato di censurare la prassi, obiettivamente atipica, dei tribunali indiani che si ritengono competenti per annullare lodi resi all’estero e si è mostrato comprensivo dei problemi del sistema giudiziario indiano. Tale atteggiamento dei tribunali arbitrali di investimento si basa ovviamente sull’assunto che, come ho ricordato all’inizio, il diritto dell’ar- bitrato non è ancora armonizzato e che gli stati godono quindi ancora di una considerevole libertà nel disciplinare tale istituto. La giurisprudenza sopra riassunta conferma dunque che gli Stati mantengono un ampio potere discrezionale nella disciplina dell’arbitrato, anche nell’applicazione della Convenzione di New York. Questa giuri- sprudenza conferma semplicemente, e ciò non dovrebbe sorprendere, che

13 tale potere discrezionale non è illimitato e che il suo esercizio deve rispettare i limiti imposti dalla Convenzione di New York e dai trattati bilaterali di investimento. Dopotutto, l’arbitrato è lo strumento primario per la risoluzione delle controversie e per la tutela dei diritti dei privati nei confronti dello stato, ed è quindi essenziale che il diritto ad avvalersene sia tutelato e non venga pregiudicato dagli stati e dai loro giudici. In presenza di un investimento ai sensi dei trattati bilaterali, il diritto all’arbitrato e il relativo lodo devono quindi potere godere appieno della protezione di tali trattati. Quanto al presunto rischio di ripercussioni negative di questi sviluppi per l’arbitrato di investimento, esso non proviene specificamente dalla giurisprudenza di cui si discute qui. Tale giurisprudenza è infatti sempli- cemente una manifestazione ulteriore, ma non fondamentalmente diversa, del crescente riconoscimento dei limiti cui sottostà la discrezionalità degli Stati nel trattamento degli investitori stranieri, che è il risultato degli ultimi venti anni di giurisprudenza in materia di arbitrati di investimento. Non vi è alcun motivo perché la medesima evoluzione non si abbia anche con riferimento ai comportamenti dei tribunali nazionali e al loro tratta- mento dell’arbitrato.

VI. I due sviluppi qui succintamente descritti possono dunque con- tribuire a rafforzare il ruolo dell’arbitrato, tutelandolo da ingerenze statali indebite. Occorre naturalmente essere consci dei loro limiti, ma allo stesso tempo occorre coglierne le potenzialità. Quanto all’arbitrato di investimento, esso può senz’altro costituire un importante strumento per la protezione dell’arbitrato. D’altra parte oc- corre non farsi eccessive illusioni sulla possibilità di ricorrervi sistemati- camente in questo contesto, e ciò non soltanto perché esso è un procedi- mento lungo e dispendioso. Esso soffre infatti di ulteriori limiti quando si tratta di porre rimedio a interferenze abusive con l’arbitrato. Anzitutto, come dimostrano i casi Romak v. Uzbekistan e Gea v. Ukraine in cui il tribunale di investimento si è ritenuto carente di giurisdizione (30), è possibile ricorrervi soltanto quando l’operazione oggetto dell’arbitrato commerciale rispetto a cui si sono verificate le interferenze è qualificabile come investimento ai sensi del diritto sulla protezione degli investimenti. Altrettanto evidentemente è necessario che la fattispecie rientri nell’am- bito di applicazione di un trattato bilaterale di investimento o di un altro accordo internazionale che preveda l’arbitrato come mezzo di risoluzione delle controversie tra il privato e lo stato i cui tribunali sono autori delle interferenze. Inoltre, quanto al merito, occorre la prova di una violazione del diritto internazionale. Questo è uno standard molto elevato, poiché vi

(30) Lo stesso vale per l’arbitrato contro l’Etiopia menzionato alla nota 27 supra.

14 è ancora scarsa chiarezza su quali interferenze con l’arbitrato costituiscano violazioni del diritto internazionale, come dimostra l’ampio margine di discrezionalità che la giurisprudenza discussa sopra ha riconosciuto ai giudici nazionali. Molti comportamenti che possono essere considerati inaccettabili dai cultori dell’arbitrato internazionale non necessariamente assurgono al livello di violazioni del diritto internazionale secondo i trattati sulla protezione degli investimenti o la Convenzione di New York. Ci vorrà ancora del tempo prima che i tribunali internazionali riescano a identificare con maggiore precisione le interferenze con l’arbitrato che sono internazionalmente inaccettabili. Per queste ragioni, quindi, solo in ipotesi relativamente rare sarà possibile avvalersi del tipo di tutela che, come dimostrano il lodo Saipem e i suoi successori, è in grado di offrire l’arbitrato di investimento. Vi sono quindi buone ragioni per riconoscere, laddove possibile, un ruolo maggiore agli altri rimedi contro le interferenze statali nei confronti dell’arbitrato che ho definito di autotutela, ossia quelli che consentono di ignorare le interferenze dei giudici della sede, senza necessità di ricorrere al diritto internazionale ed ai suoi strumenti di tutela. Anche il riconoscimento di lodi annullati e il rifiuto di riconoscere o sottostare ad una sentenza di annullamento straniera, che si giustifica con solidi argomenti di diritto e di « politica dell’arbitrato », può costituire uno strumento efficace per impedire allo stato della sede di approfittare indebitamente della propria posizione. Malgrado gli argomenti spesso invocati contro questa posizione, sono convinto che gli stati dovrebbero assumere un atteggiamento di molto minore deferenza rispetto alle sen- tenze di annullamento straniere. Quali che siano gli inconvenienti pratici in certi casi del mancato riconoscimento degli effetti della sentenza straniera di annullamento, in particolare sotto il profilo del rischio di contrasto di giudicati, esso ha il merito di impedire che i tribunali degli stati con le legislazioni o la prassi meno favorevole all’arbitrato dettino il destino internazionale dei lodi, imponendolo agli stati che invece adottano una visione maggiormente favorevole (31). La possibilità concreta di av- valersi di questa strada dipende però ovviamente dalla disponibilità degli altri stati a superare concezioni ancora molto radicate, ancorché prive di una solida base (32).

(31) Sul punto vedi ancora LUCA G. RADICATI DI BROZOLO, The Control System of Arbitral Awards: a Pro-Arbitration Critique of Michael Riesman’s ‘Architecture of International Com- mercial Arbitration’, cit.; The Enforcement of Annulled Awards: an Important Step in the Right Direction, cit.; The Enforcement of Annulled Awards: Further Reflections in Light of Thai-Lao Lignite, cit., 59 ss. (32) In Italia, per esempio, il riconoscimento di un lodo annullato rischia di essere reso difficile dal tenore letterale dell’art. 840, comma 2, n. 5, c.p.c., il quale pare inopinatamente individuare come motivo tassativo di non riconoscimento l’annullamento nello stato della sede, eliminando così la flessibilità consentita dall’art. V della Convenzione di New York.

15 I due sviluppi paralleli qui descritti sono atti a contribuire a rafforzare l’arbitrato e a proteggerlo da ingerenze indebite dei giudici nazionali. Il caso Commissa v. Pemex menzionato sopra dimostra che le due soluzioni possono operare in alternativa o in via complementare. In quel caso la vittima del comportamento illecito dei giudici della sede, non solo ha perseguito con successo di fronte ai giudici di New York il riconoscimento del lodo annullato, ma ha anche valutato il ricorso ad un arbitrato di investimento in base al NAFTA per violazione dell’obbligo di fair and equitable treatment. Se, come conseguenza di un ricorso più frequente a questi strumenti, i tribunali nazionali acquistano la consapevolezza che le proprie interfe- renze anomale nel corretto svolgimento dell’arbitrato possono essere ignorate all’estero e quindi non sortire effetti concreti, e possono talvolta perfino comportare una responsabilità internazionale del loro stato, essi potrebbero diventare maggiormente propensi a conformarsi ai principi più generalmente accolti in materia di trattamento dell’arbitrato.

Despite the spread of pro-arbitration legislations in a large number of countries and an increasing understanding of the needs and peculiarities of international arbitration, there are occasions in which national courts, especially those of the seat, adopt decisions which may be perceived as contrary to generally accepted principles in international arbitration. This article explores the remedies available to the victims of such breakdowns of the arbitral process. The remedies are essentially of two types. The first type of remedies, are “self-help” remedies which consist in disre- garding the decisions of the courts which are not in line with generally accepted standards of treatment of arbitration. These “self-help” remedies can be adopted by the arbitrators, normally only insofar as they do not risk being directly personally affected by the acts of the state whose decisions are ignored. They can also be the effect of decisions of other states that refuse to countenance foreign decisions jeopardizing the ordinary functioning of the arbitral process. This is particularly the case of decisions which refuse to defer to foreign annulments and recognize and enforce foreign enforced awards. This position is opposed by many on a variety of grounds, but the position defended in this article is that there are serious policy and legal grounds in favor of not granting too much deference to foreign annulment decisions. The second type of remedies consists in the recourse to international tribunals, in particular investment tribunals, in cases where an interference with international arbitration consists also in a violation of international law, and especially the New York Convention or agreements on the protection of investments. It is submitted that a principled recourse to these mechanisms can contribute to a greater respect for arbitration and should contribute to preventing the state of the seat from unduly leveraging on its position to jeopardize the correct functioning of the arbitral process.

16 L’arbitrato sportivo statunitense nelle leghe professionistiche. Sul problema dell’imparzialità del « Commissioner » della NFL (« National Football League ») nel procedimento arbitrale in materia di sanzioni disciplinari

ANDREA PANZAROLA (*)

1. La polemica sull’imparzialità dell’arbitro negli USA nel contesto generale. — 2. La Roberts Court e l’arbitrato. — 3. Alle origini del procedimento arbitrale nello sport professionistico USA: il Collective Bargaining Agreement (CBA), il Labor Management Relations Act (LMRA) ed il Federal Arbitration Act (FAA). — 4. L’art. 46 del CBA della NFL. — 5. Il Commissioner. — 6. I poteri disciplinari del Commissioner della NFL e la nuova « policy » in tema di domestic violence. — 7. Il caso di Adrian Peterson. — 8. Il sindacato giurisdizionale ristretto sul lodo arbitrale. — 9. La pluralità degli ordinamenti sportivi e il modello americano di arbitrato sportivo. Osservazioni conclusive.

1. Negli Stati Uniti d’America mai come in questi ultimi tempi si è imposta all’attenzione generale la questione dell’imparzialità degli arbitri, di solito confinata alla riflessione specialistica e rinserrata nel dominio dei giuristi. Trasmissioni televisive (1) seguite da milioni di americani hanno affrontato il tema diffusamente, dedicando ampio spazio a illustrarne i presupposti e delucidarne le implicazioni. La cosa potrebbe stupire se non si aggiungesse che il dibattito pubblico ha avuto e continua ad avere per oggetto l’arbitrato nella materia dello sport professionistico e in particolare nel contesto del football della NFL (National Football League), che notoriamente primeggia per diffu- sione negli USA (2).

(*) Professore ordinario nella L.U.M. Jean Monnet di Bari (Casamassima). (1) Per limitarsi alla televisione. Lo stesso vale per i giornali e, a maggior ragione, per internet. Per alcuni dati v. infra in nota 143. (2) Alludiamo a coloro che guardano lo sport, non a coloro che lo praticano. Le prospettive sono, come ovvio, assai diverse: v. G. BONIOLO, Le regole e il sudore. Divagazioni su sport e filosofia, Milano, 2013, 61 ss. Si rinvia infra alle note 139 e ss.

17 Non possono sorprendere allora l’elevatissimo numero di coloro che sono stati attratti dalla polemica, i toni perfino accesi con i quali essa è stata condotta e gli argomenti — ora profondi ora ad effetto — che vi sono stati impiegati. D’altronde nessuno potrebbe seriamente dubitare dell’im- portanza dello sport professionistico nella società americana e dell’ecce- zionale peso economico che vi riveste (3). La scelta di procedere alla rivisitazione della discussione nasce per- tanto dalla convinzione che, per la sua sicura centralità, sia possibile trarne indicazioni sul modo nel quale viene davvero inteso il requisito della imparzialità negli Stati Uniti quando sia riferito all’arbitro e per stabilire se la scelta pur concorde delle parti per un arbitro parziale possa essere accettata dall’ordinamento generale (4). Gli americani (5), giuristi e per lo più non giuristi, si sono chiesti: può la stessa persona che ha avviato — nella sua qualità di « capo » di una lega sportiva professionistica — un’azione disciplinare contro un giocatore decidere altresì se debba essergli irrogata una sanzione? Può quella medesima persona — dopo avere inflitto la sanzione in esito al procedi- mento arbitrale — essere chiamata, ancora come arbitro, a giudicare in sede di « impugnazione » circa la correttezza della sua decisione? Può quella persona — ancora ratione officii (vale a dire come « capo » della lega) — scegliere quale arbitro un soggetto comunque legato da vincoli di vario genere (finanziario, lavorativo, ecc.) alla lega sportiva? Nella situa- zione descritta, in che misura è possibile un sindacato giurisdizionale delle Corti sul lodo emesso dall’arbitro? In Italia non vi potrebbero essere dubbi circa l’impossibilità per l’aspirante arbitro in tali ipotesi di svolgere le funzioni arbitrali (6). Negli Stati Uniti tale deduzione è tutt’altro che sicura. Anzi in vari casi — che hanno suscitato vastissimo interesse — il « capo » (Commis- sioner) della lega professionistica del football (National Football League, NFL) ha in effetti, dapprima, istruito il caso e, poi, inflitto la sanzione ed ha infine deciso (ancora) come arbitro il reclamo del giocatore penaliz- zato. In un caso ha designato, in sua vece, quale arbitro una persona di sua fiducia e in rapporti evidenti con la lega.

(3)V.infra in nota 138. (4) Cfr., sul punto, in generale, il quadro comparativo di C. SPACCAPELO, L’imparzialità dell’arbitro, Milano, 2009, 261 ss. V. pure — sui rimedi esperibili in caso di lodo emesso da un arbitro parziale —, oltre al libro della SPACCAPELO (op. cit., 378 ss.), quello di E. MARINUCCI, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma. Motivi ed esito, Milano, 2009, 121 ss.; nonché, se vuoi, A. PANZAROLA, Intorno ai rimedi per denunziare la parzialità dell’arbitro,in questa Rivista, 2010, 671 ss. (5) Tifosi o e non: nell’ambito della mimicry o fuori da esso, per impiegare le categorie di R. CAILLOIS, Les jeux et les hommes. Le masque et le vertige, Paris, 1958, rist. 1991 (trad. it., Milano, 1981). (6) Le conclusioni non mutano se (oltre al c.p.c. o c.p.p.) si esamina il Codice di Giustizia Sportiva del Comitato Olimpico Nazionale Italiano (Coni) adottato lo scorso 15 luglio 2014. Si veda infra al § finale.

18 Nella eco di tali vicende presso la pubblica opinione, obiettivamente enorme, si rintraccia anche la risonanza emotiva destata nei cittadini statunitensi dalla gravità dei comportamenti (di « domestic violence ») addebitati a giocatori molto famosi e posti alla base dei provvedimenti sanzionatori assunti nei loro confronti in esito a procedimenti arbitrali.

2. Anche lo scenario generale — nel quale funziona l’arbitrato nell’ordinamento sportivo statunitense — sospinge a chiarificare la grave questione postasi a proposito dell’imparzialità dell’arbitro nel procedi- mento sanzionatorio della NFL (National Football League). Da un lato, l’incertezza che sembra contraddistinguere ovunque ogni forma di applicazione del diritto notoriamente aumenta quando siano im- piegate norme a struttura aperta e si accresce ulteriormente se la decisione debba essere assunta all’interno di sistemi « complessi » (7). E l’arbitrato sportivo statunitense, a modo suo, è proprio un ordinamento complesso. Vi si utilizzano concetti indeterminati e clausole generali (8) elaborati nel tempo — in una dimensione, si direbbe (9), schiettamente « esisten- ziale » — per soddisfare esigenze concrete (10) riguardanti la disciplina dello sport in ogni sua manifestazione. Al tempo stesso nell’arbitrato sportivo debbono essere rispettati i principi generali che governano (in specie attraverso la Costituzione) la società americana, quelli che regolano i comuni rapporti di lavoro e quegli altri ai quali è improntata la tessitura interna del Federal Arbitration Act (FAA) del 1925. Dall’altro lato, il milieu giuridico-culturale — quale influenzato dalla giurisprudenza della Corte Suprema USA — nel quale si colloca la nostra problematica egualmente appare più che mai propizio per condurre un’indagine che ne spieghi gli esatti contorni. Non sembra di esagerare se si afferma che mai come in questo momento storico l’arbitrato privato ha goduto negli Stati Uniti di così grande fortuna. Da quando John Glover Roberts jr. è a capo (11) della Supreme Court,

(7) Cfr., per il riferimento alla « sfida della complessità », R. POSNER, Reflections on Judging, Harvard, 2013, spec. 3 ss. e 54 ss. (8) Si dirà in seguito della previsione (tipica dello sport professionistico USA) che assegna al Commissioner il potere di adottare ogni misura per tutelare gli « interessi del gioco ». (9) Con N. IRTI, Per la magistratura ordinaria nella storia dell’Italia unita, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2013, 127 ss., spec. 129. (10) Si direbbe di un procedimento « storico-concreto » seguito per forgiare la disciplina del gioco non meno che la organizzazione del business che lo accompagna: utilizziamo liberamente le riflessioni di C. SCHMITT —(Die geschichtliche Struktur des heutigen Welt- Gegensatzes von Ost und West), trad. it. in E. Jünger e C. Schmitt, Il nodo di Gordio. Dialogo su Oriente e Occidente nella storia del mondo, Bologna, 1987, 143 ss. — a proposito del pensare per « polarità ». (11) Roberts è stato nominato nel luglio del 2005 da G.W. Bush « Chief Justice of the

19 l’attenzione per le regole processuali che sovrintendono all’accesso alle Corti si è fatta più marcata. In particolare, attraverso alcune decisioni — altrettanto celebri che controverse (in particolare le due rese nel 2011 e nel 2013 rispettivamente nei casi AT&T Mobility v. Concepcion (12)e American Express v. Italian Colors Restaurant (13)) — i giudici supremi hanno decisamente ridimensionato il ruolo delle Corti e favorito il ricorso alla via arbitrale (14). Ora, se è esatto che queste pronunzie hanno, in modo specifico, toccato l’istituto della class action (traducendosi in un « devastating assault on class action »(15)) e rafforzato le clausoli arbitrali (arbitration agree- ments), è altrettanto certo che da esse traspare un evidente favor abitrati. Gli elementi d’interesse di queste decisioni della Supreme Court sono molteplici. Quanto alle loro matrici ideologiche, è stato detto che, privi- legiando l’arbitrato rispetto al giudizio (in forma collettiva) dinanzi alle Corti, i giudici supremi avrebbero (16) in effetti deciso in modo conforme alle aspettative del ceto imprenditoriale (con una « pro-business opi- nion »). Troverebbe così conferma — si è aggiunto — la tendenza della Roberts Court di « servirsi » delle questioni processuali per perseguire una « politica », non soltanto in sintonia con l’odierna estrazione conservatrice della maggioranza dei suoi membri, ma soprattutto in linea con gli interessi del « big business ». Anche quanto al metodo seguito dalla Corte Suprema non sono mancate le critiche. Si è evidenziato che, nei casi testé ricordati, le motivazioni delle pronunzie sono per lo più opera della penna di Antonin

United States ». Come tale è divenuto capo del sistema di giustizia federale (United States federal court system) e — per quel che qui rileva — giudice capo della Supreme Court of the United States. Come noto, il Chief Justice è uno dei nove giudici della Corte (gli altri otto sono gli Associate Justices of the Supreme Court of the United States). La nomina è avvenuta in sostituzione della dimissionaria Sandra Day O’Connor. (12) AT&T Mobility v. Concepcion, 563 U.S. 321 (2011). (13) La pronunzia del 2013 si può leggere in http://www.supremecourt.gov/opinions/ 12pdf/12-133_19m1.pdf. (14) Cfr. G.A. BERMANN, Arbitration in the Roberts Supreme Court,inAM. U. Int’l L. Rew., 2012, 893 ss. Fra i casi esaminati non vi è ovviamente quello del 2013. Sono considerati Stolt-Nielsen, S.A. v. AnimalFeeds Int’l, Rent-A-Center West v. Jackson,eAT&T Mobility v. Concepcion. (15)L.TRIBE eJ.MATZ, Uncertain Justice. The Roberts Court and The Constitution, New York, 2014, 292. Il tema è trattato in particolare alle pagine 291 ss. (e per riferimenti ulterior ivi, 373 ss.). (16) Il condizionale è d’obbligo. Al di fuori della specifica problematica dei rapporti tra arbitrato e azione di classe, sono numerosi coloro che negli USA antepongono i benefici dell’arbitration rispetto alle complessità del c.d. adversarial legalism che contraddistingue la giustizia civile statunitense: cfr. R.A. KAGAN, Adversarial Legalism. The American Way of Law — 2001 —, rist. Cambridge-London, 2003 123 ss. (trad. it. La giustizia americana. Come il contraddittorio fa diritto, Bologna, 2009, con prefazione di M. Taruffo); nonché, in precedenza, G. HAZARD eM.TARUFFO, American Civil Procedure, New Haven, 1993, 171, trad. it. La giustizia civile negli Stati Uniti, Bologna, 1993 (cit. in R.A. KAGAN, op. cit., 123-124).

20 Scalia (17) e tuttavia, se ne rispecchiano il talento e l’erudizione, non riflettono il suo « originalismo » (18) (o « testualismo » (19), che dir si voglia) (20). Quasi a suggerire l’idea che — nel caso specifico — la tensione ad attuare un certo programma sociale avrebbe fatto premio sulla coe- renza delle idee circa l’interpretazione del diritto: si addebita cioè all’As- sociate Justice Scalia—ediriflesso a tutta la Corte Suprema — di avere assegnato rilievo ai presunti intendimenti del legislatore statunitense del FAA del 1925, anziché praticare — come vorrebbe la dottrina del « te- stualismo » (21) — una lettura dei testi reperendone il contenuto nella loro Entstehungsgeschichte (22). Quale che sia la risposta che si voglia offrire alle obiezioni illustrate, sta di fatto che — per quanto qui interessa — con quelle (recenti e recentissime) decisioni la Corte Suprema USA ha — per comune convin- cimento — offerto « an expansive view of the purpose of the Federal Arbitration Act (FAA) »(23). E se si rammenta che nel dominio del Federal Arbitration Act (FAA) del 1925 rientra pure il procedimento arbitrale sportivo in materia di sanzioni disciplinari all’interno della NFL, viene per altra via convalidata l’idea dell’importanza e attualità del tema indagato in queste pagine.

3. Vogliamo occuparci dei procedimenti arbitrali sanzionatori intra- presi nei confronti di due giocatori di football della NFL, Adrian Peterson

(17) Nel 2009 autorevolmente definito il « più conservatore dei Giudici della Corte Suprema american »: così S. CASSESE, Lezione sulla cosidetta opinione dissenziente, versione ampliata di un seminario tenuto presso la Corte costituzionale il 22 giugno 2009, testo e nota 11 (l’abbiamo consultata in http://www.cortecostituzionale.it/documenti/convegni_seminari/ Opinione_dissenziente_Cassese.pdf). Nello stesso identico modo R. POSNER, Reflections on Judging, cit., 182 (secondo il quale Scalia è il leader del gruppo conservatore in seno alla Corte Suprema). Va detto, peraltro, che giuristi indubbiamente non conservatori come Tribe e Matz, pur affermando che Scalia di regola « leans strongly conservative », talvolta — a causa delle sue convinzioni teoriche più generali — assume « liberal positions ». L. TRIBE eJ.MATZ, Uncertain Justice, cit., 8-9. (18)«Textual originalism »: cfr. Antonin SCALIA e Bryan A. GARNER, Reading Law: The Interpretation of Legal Texts, St. Paul, MN, 2012, con prefazione di F.H. Easterbrook. (19)«Textualism ». (20)L.TRIBE eJ.MATZ, op. cit., 294, 8-9 (cui si rinvia per indicazioni ulteriori). (21) Sovente applicata dietro sollecitazione di Scalia: cfr., per una diffusa ricognizione critica delle premesse e conseguenze della dottrina del « testualismo », R. POSNER, Reflections on Judging, cit., 182 ss. (22) Così, efficacemente, P. RIDOLA, I diritti fondamentali nel pensiero di Carlo Mezza- notte, in AA.VV., La forza ragionevole del giurista. Atti della giornata in ricordo di Carlo Mezzanotte, a cura di A. Baldassarre, Padova, 2007, 88. (23)L.TRIBE eJ.MATZ, Uncertain Justice, cit., 294. Non si deve esagerare, peraltro, la novità di questa posizione della Corte Suprema. Come dimostreremo infra (spec. § 7) lo spiccato favore per l’arbitrato nel settore delle controversie di lavoro (nel cui ambito viene ricondotto l’arbitrato sportivo) discende pure dalla volontà di valorizzare le finalità promozionali dell’ar- bitrato perseguite con il FAA del 1925. Il tema più generale della diffusione dell’arbitrato negli USA è legato a molti fattori, fra i quali emergono — secondo una certa lettura — i difetti del c.d. adversarial legalism: cfr. R.A. KAGAN, op. loc. cit.;G.HAZARD eM.TARUFFO, op. loc. cit.

21 e Ray Rice (24), ed insieme illustrare le linee portanti dell’arbitrato spor- tivo statunitense nell’ambito delle quattro leghe sportive professionistiche più grandi (le c.d. « Big Four »). Per affrontare l’argomento occorre chiarire il ruolo di quello che abbiamo, in via di prima approssimazione, denominato il « capo » delle quattro leghe professionistiche statunitensi (la National Football League — NFL —, la National Basketball Association — NBA —, la National Hockey League —NHL—elaMajor League Baseball, MLB) e che più propriamente deve essere definito il « Commissioner », una figura che non ha eguali nel nostro ordinamento (e non solo). Prima ancora, va sottolineato il modo peculiare nel quale l’autonomia dell’ordinamento dello sport professionistico (25) americano si è venuta organizzando nel corso dei decenni, attraverso lo strumento della contrat- tazione collettiva fra le parti, rispettivamente la lega (dei proprietari delle squadre che vi sono rappresentate) e l’associazione (o sindacato) dei giocatori. Per una serie di circostanze, le relazioni tra le due parti collettive — e di riflesso quelle tra i giocatori e le squadre di appartenenza — hanno finito per essere ordinate nella cornice della comune disciplina dei rap- porti di lavoro in vigore negli Stati Uniti. Il contratto collettivo ha poi effettivamente attribuito all’arbitrato numerose materie, fra cui quella delle sanzioni disciplinari nei confronti dei giocatori per comportamenti (fuori e dentro il campo di gioco) illeciti. Come in molte altre cose, anche dal punto di vista della regolazione dei rapporti di lavoro, il baseball della MLB (Major League Baseball)ha operato da battistrada per le altre leghe professionistiche. Il percorso seguito è stato però assai accidentato. Per decenni tutte le controversie fra i giocatori e le loro squadre — al pari di quelle insorte fra le squadre o fra le due leghe (26) nelle quali è suddivisa la Major League Baseball — sono state deferite alla decisione del Commissioner, che vi provvedeva in attuazione di poteri così vasti che venivano paragonati a quelli di un monarca assoluto.

(24) Raymell Mourice « Ray » Rice, running back (già) dei Baltimore Ravens (ed ora — dall’8 settembre 2014 — free agent) e Adrian Peterson, running back dei Minnesota Vikins. Il primo è stato sottoposto a procedimento disciplinare dalla NFL per avere percosso la (allora fidanzata ed adesso) moglie, lasciandola priva di sensi: l’aggressione (detta dell’ascensore, dal luogo nel quale è accaduta) è stata filmata e i due video resi pubblici (dal sito web TMZ). Quanto a Peterson, uno dei migliori, se non il migliore atleta della sua generazione, egli è stato assoggettato al procedimenti disciplinare sportivo per avere percosso il figlio di quattro anni con il ramo di un albero causandogli ferite in varie parti del corpo (apparse in fotografie divulgate ancora una volta da TMZ.com). Si può menzionare pure la vicenda del defensive end dei San Francisco 49ers, Ray McDonald: fra i vari addebiti indirizzatigli (e che hanno alla fine spinto la sua squadra a licenziarlo: v. USA Today, 19-21 dicembre 2014, 1B e 4B, con articoli di C. Brennan e J. Bell) figurano atti di violenza nei confronti della fidanzata. (25) Rimane al di fuori dello scritto l’ordinamento sportivo non professionistico che ruota soprattutto attorno alla NCAA (National Collegiate Athletic Association). (26)LaAmerican League elaNational League. Per un confronto tra la organizzazione delle leghe professionistiche statunitensi ed il modello dello sport (chiamiamolo per intenderci

22 Soltanto sul finire degli anni ’60 del secolo scorso, l’associazione dei giocatori (Major League Baseball Players Association) — sotto l’impulso di nuovi dirigenti (27) e in un clima sociale in turbinoso mutamento — pretese ed ottenne dalla lega (Major League Baseball) la conclusione di un contratto collettivo di lavoro, il primo (28) nella storia dello sport profes- sionistico americano (29). Due anni dopo (30), nel 1970, l’associazione dei giocatori rivendicò con successo anche il generale diritto al ricorso allo strumento arbitrale « to resolve grievances »(31), proprio come era accaduto in precedenza nei rapporti tra i metalmeccanici e gli imprenditori grazie alla febbrile attività del sindacato di categoria dei primi (32) (la « Steelworkers Union »), pre- sieduto per una certa fase da quel Marvin Miller passato poi a rappresen- tare l’associazione dei giocatori. europeo) — condotto assumendo a termini di confronto il baseball ed il calcio —, v. S. SZYMANSKI-A. ZIMBALIST, National Pastime. How American Play Baseball and The Rest of the World Plays Soccer, Wahington D.C., 2006. (27) Il più importante dei quali è stato senz’altro Marvin Miller, del quale v. A Whole Different Ballgame: The Sport and Business of Baseball, con prefazione di S. Terkel, ed introduzione di B. James, New York, 1991. Leggasi anche al riguardo la recensione di M.J. COZZILLIO, From the Land of Bondage: The Greening of Major League Baseball Players and the Major League Baseball Player Association, già in Cath. U. L. Rev., 1991, ora in Baseball and the American Legal Mind, a cura di Spencer Weber Waller, N.B. Cohen, and P. Finkelman, New York, 1995, 271 ss. Sul punto v. altresì A. ZIMBALIST, Baseball’s economic development,in AA.VV., The Cambridge Companion to Baseball, a cura di L. Cassuto e S. Partridge, Cam- bridge, 2011, 201 ss. (28) Cfr., sul contratto del 1968, il sito della Associazione: cfr. http://mlbplayers.mlb.com/ pa/info/history.jsp; nonché E.L. HAM eJ.MALACH, Hardball Free Agency — The Unintended Demise of Salary Arbitration in Major League Baseball: How the Law of Unintended Conse- quences Crippled the Salary Arbitration Remedy — and How to Fix It,inHarvard J. Sports & Ent. L., 2010, 63 ss. Sulla evoluzione dell’associazionismo dei giocatori per la tutela collettiva dei loro diritti v. R.I. ABRAMS, The Money Pitch. Baseball Free Agency and Salary Arbitration, Philadelphia, 2000, spec. 2-30; C.P. KOOR, The End of Baseball As We Knew It: The Players Union, 1960-81, Urbana, Illinois, 2002; A. ZIMBALIST, Baseball and Billions: A Probing Look Inside the Big Business of Our National Pastime. New York, 1994. (29) Cfr., per tutti, R.I. ABRAMS, Legal Bases: Baseball and the Law, Philadelphia, 1998, spec., 73-90. Sui risvolti economici v. A. ZIMBALIST, Baseball and Billions, cit., spec. 18 ss. (30) La strategia dei piccoli passi seguita (e rivelatasi vincente) venne elaborata da Marvin Miller: cfr. J. HELYAR, Lords of the Realm, New York, 1995, 36 ss. Non a caso si è evocata la vecchia massima del baseball, che invita ad accontentarsi nell’immediato dei « singoli », visto che i « fuori campo » arriveranno (« Swing for the singles. The home runs will come »). (31) Sulla distinzione fra « interest arbitration »e«grievance arbitration », cfr., ad es., Black’s Law Dictionary, 7ª, 1999, 100. Sulle origini della seconda forma di arbitrato citata nell’ambito del baseball v. H.J. GORDON. The Historical Origins of Professional Baseball Grievance Arbitration,inMarq. Sports L. Rev., 2001, 175 ss. Cfr. pure F. DONEGAN, Examining the Role of Arbitration in Professional Baseball,inSports Law. J. 1994, 183 ss.; L.L. FIZEL, Play Ball: Baseball Arbitration After 20 Years,inJ. Disp. Resol., 1994, 42 ss. (32) Sulla evoluzione della posizione (di vera e propria « deference ») assunta dalle Corti nei confronti dell’arbitrato e delle decisioni arbitrali nel settore del lavoro v. infra § 7. Quali espressioni di tale tendenza, solitamente vengono richiamate (cfr., ad es., J. HELYAR, Lords of the Realm, cit., 37) tre decisioni della Corte Suprema note come la « Steelworkers Trilogy » (su cui v., sin d’ora, L.L. FULLER, Collective Bargaining and The Arbitrator, in Wis. L. Rev., 1963, 8 ss.). Vi rientrano: Warrior & Gulf Navigation Co., 363 U.S. 582-83 (1960), quanto alla necessità, ove siano contestate, di affermare la validità delle convenzioni arbitrali; United Steelworkers of Am. v. Am. Mfg. Co., 363 U.S. 564, 568 (1960), circa il divieto per le Corti di sindacare il merito

23 Siamo all’origine di un paradosso: il fatto, tutto sommato casuale, che il dirigente del sindacato dei metalmeccanici (il citato Miller) sia succes- sivamente passato a capeggiare quello dei giocatori di baseball (33) della MLB ha lasciato una traccia indelebile e caratteristica nella maniera di impostare le relazioni fra costoro e la lega, e più in generale fra i giocatori (e le loro associazioni) e le squadre (con le loro leghe) in tutti gli sport professionistici americani. Tali relazioni, non soltanto sono state attratte nell’ordinamento lavo- ristico generale, ma sono state forgiate sullo stampo offerto dalla categoria professionale (almeno in quegli anni) più potente e agguerrita, per la difesa dei diritti di lavoratori sottoposti alle fatiche di una attività — quella metalmeccanica — ben diversa (è inutile rimarcarlo) da quella sportiva. Da allora il contratto collettivo (esteso a regolare in via generale ogni aspetto del rapporto di lavoro) e l’arbitrato obbligatorio (generalizzato per dirimere ogni tipo di controversia) sono gli autentici capisaldi attorno ai quali ruotano i rapporti di lavoro fra i giocatori e le squadre nell’ambito delle quattro leghe (MLB, NFL, NBA e NHL) professionistiche USA. Ne discende che, quando una lite si innesti su rapporti consimili, essa viene regolata, non soltanto nella cornice del ricordato Federal Arbitration Act del 1925 (FAA), ma altresì nel quadro del Labor Management Relations Act del 1947 (LMRA), meglio noto (dal nome dei propo- nenti (34)) come Taft-Hartley Act e volto a modificare il cosiddetto Wa- gner (35) Act (National Labor Relations Act, NLRA) approvato dal Con- gresso nel 1935.

4. Ecco perché, nel contesto della normativa che regola l’attività del Commissioner (NFL Constitution and Bylaws (36)), portiamo l’attenzione dei lodi arbitrali; United Steelworkers v. Enterprise Wheel & Car Corp., 363 U.S. 593, 596-97 (1960), relativamente alla esecuzione delle prescrizioni del lodo arbitrale. Su tale trilogia v., comunque, più ampiamente, la letteratura citata infra al § 7, alle note 166 e ss. (33) Sul modo in cui ciò è avvenuto è utile tornare al racconto che ne fa il diretto interessato: M. MILLER, A Whole Different Ballgame: The Sport and Business of Baseball, cit., spec. 19 ss. Sulla scelta e sul ruolo dell’American Arbitration Association nella gestione dell’arbitrato (obbligatorio), si veda A. MERONE, Il Tribunale arbitrale dello Sport, Torino, 2009, 34, 61-62. (34) Il senatore Robert A. Taft e il membro della Camera dei rappresentanti Fred A. Hartley, Jr. (35) È da rimarcare che il Senatore Wagner (cui si deve il National Labor Relations Act del 1935) era stato in precedenza giudice a New York. In quest’ultimo ruolo aveva deciso nel 1919 una controversia fondamentale per il baseball professionistico fra il club dei New York Yankees e Byron « Ban » Johnson: American League Baseball Club of New York — Yankees — v. Johnson, 109 Misc. 138, 179, N.Y.S. 498 (1919). Passaggi della decisione possono essere letti in P.C. WEILER-G.R. ROBERTS, Sports and the Law, 3ª, St Paul (Minnesota), 2004, 12-13. La lite era nata nel periodo antecedente la istituzione del Commissioner (sul quale v. infra i paragrafi successivi), quando il governo della major league baseball era affidato ad un organo collegiale. (36) Cfr. la versione rivista nel 2006: in http://static.nfl.com/static/content/public/static/ html/careers/pdf/co_.pdf.

24 sul contratto collettivo che fa da sfondo ai procedimenti arbitrali che hanno coinvolto i due atleti menzionati in precedenza, Ray Rice e Adrian Peterson, resisi colpevoli di condotte violente riprovevoli. Nelle vicende sotto esame rileva — insieme alla « NFL conduct policy »(37) — il contratto collettivo (Collective Bargaining Agreement, CBA (38)) stipulato fra la National Football League Players Association (NFLPA) e la lega (NFL) prima dell’inizio della stagione 2011 ed in vigore sino al 2021. Nel contratto collettivo (concluso fra le suddette parti: NFL e NFLPA) sono definiti i poteri del Commissioner del football americano ed i rimedi esperibili avverso le sue decisioni. Ed è rimarchevole (39) che l’associazione dei giocatori (NFLPA) abbia acconsentito a dilatare quei poteri e al contempo a restringere la possibilità di impiegare questi rimedi, assoggettandoli a condizioni assai rigorose. Ebbene, stando alla sezione prima lettera (a) dell’art. 46 (40)(«Com- missioner discipline ») del contratto collettivo (CBA), la « giurisdizione » del Commissioner comprende le controversie relative alle sanzioni disci- plinari (pecuniarie o sub specie di sospensione) irrogate al giocatore per comportamenti scorretti (41) tenuti nel campo di gioco e soprattutto in conseguenza di condotte — giudicate dallo stesso Commissioner — lesive della integrità o della pubblica fiducia nello sport del football professio- nistico (« conduct detrimental to the integrity of, or public confidence in, the game of professional football »). Come ovvio, è questa seconda ipotesi che viene in primo piano nella polemica in corso negli USA, che concerne comportamenti (estranei alle competizione sportive e) penalmente rilevanti di violenza domestica at- tribuiti a Rice e Peterson. Ora, il procedimento arbitrale delineato dall’art. 46 del contratto collettivo ha carattere bifasico. Quando il Commissioner abbia individuato un comportamento pregiudizievole dell’integrità del gioco, la seconda

(37) La NFL ha adottato direttive esplicite (« formal policy ») relative a condotte illecite tenute dai giocatori al di fuori del campo di gioco (« off-field conduct ») sin dal 1997 e le ha rafforzate nel 2007. Nel caso della violenza domestica — come si dirà infra § 6 — l’ultimo intervento è del 10 dicembre 2014. (38) Nel settore del baseball della MLB si parla di Basic Agreement. Mutano i termini non la sostanza. (39) Ma comprensibile se solo si riflette sulla tradizionale posizione di forza riconosciuta al Commissioner. (40) La previsione è molto lunga ed è suddivisa in cinque sezioni: la prima relativa alla disciplina generale, la seconda alla regolazione della udienza arbitrale, la terza ai tempi di durata del procedimento, la quarta alla introduzione del principio del ne bis in idem, la quinta alle sanzioni pecuniarie. (41) I comportamenti in questione vanno però tenuti distinti da quelli descritti nella successiva lettera (b) della Sezione prima, che sono assoggettati ad un procedimento distinto demandato alla cura di soggetti subordinati al Commissioner.

25 parte della lettera (a) della sezione prima dell’art. 46 (42) stabilisce che ne venga data notizia scritta al giocatore, avvertendo anche la associazione alla quale egli appartiene (NFLPA). Una volta adotattata la decisione di punire il giocatore, questi può opporsi (« may appeal ») con atto scritto ancora dinanzi al Commissioner, e cioè alla stessa autorità che ha avviato la azione disciplinare ed ha ritenuto (43) la sussistenza dei presupposti che consentono di qualificare il comportamento denunziato come lesivo della integrità del gioco del football. Questa regola così sorprendente è ribadita pure dalla successiva sezione seconda, lettera (a) (44), dell’art. 46 CBA, che delinea il procedi- mento che il Commissioner deve seguire per decidere la opposizione (« appeal ») del giocatore avverso la sanzione che egli stesso gli ha irrogato. Come trapela dal testo della disposizione, tale potere di decidere « as hearing officer in any appeal under Section 1(a) of this Article »è largamente discrezionale, nel senso che il Commissioner può assumerlo « at his discretion ». L’alternativa, affidata alla scelta insindacabile del Commissioner, consiste nella possibilità per quest’ultimo di designare una o più persone « to serve as hearing officers ». L’ampiezza della formula non assicura, però, che la scelta ubbidisca a criteri di indipendenza o imparzialità del designato. Può capitare che tali criteri, per quanto inespressi, siano comunque osservati nella designazione (45), ma può anche avvenire — ed è avve- nuto (46) — che siano del tutto trascurati e sia perciò elevato alla carica di hearing officer — vale a dire di arbitro incaricato di decidere sull’opposi- zione (« appeal ») del giocatore — un soggetto legato da vincoli di varia

(42) Recita la previsione in parte qua:«the Commissioner will promptly send written notice of his action to the player, with a copy to the NFLPA. Within three (3) business days following such written notification, the player affected thereby, or the NFLPA with the player’s approval, may appeal in writing to the Commissioner ». (43) Sebbene la norma taccia sul punto, è da supporre che il Commissioner possa pervenire a simile conclusione dopo aver condotto una istruttoria. Altra cosa è se poi, nei fatti, egli decida di non farlo, delegando il compito ad altro soggetto per compiere le investigazioni. Oggi, la nuova politica per la repression della violenza domestica lo prevede espressamente (v. infra §§ 7-9). (44) Sotto la rubrica « Hearing Officers », la previsione stabilisce questo: « For appeals under Section 1(a) above, the Commissioner shall, after consultation with the Executive Director of the NFLPA, appoint one or more designees to serve as hearing officers. For appeals under Section 1(b) above, the parties shall, on an annual basis, jointly select two (2) or more designees to serve as hearing officers. The salary and reasonable expenses for the designees’ services shall be shared equally by the NFL and the NFLPA. Notwithstanding the foregoing, the Commissioner may serve as hearing officer in any appeal under Section 1(a) of this Article at his discretion ». (45) Come è avvenuto nel caso di Ray Rice. Il Commissioner Goodell accolse in tale occasione la richiesta del sindacato dei giocatori di designare un arbitro davvero imparziale. Venne prescelta Barbara S. Jones (già giudice distrettuale) per pronunciare il lodo arbitrale sulla opposizione di Rice. Gli argomenti di quest’ultimo vennero infine accolti nel lodo conclusivo. V. infra al§7. (46) Nella vicenda relativa ad Adrian Peterson. V. più diffusamente al § 7.

26 natura con la lega. È anche capitato (47) che il Commissioner si sia alla fine deciso a scegliere un soggetto indipendente (quale arbitro incaricato di decidere sull’appeal) sospintovi (48) dalla circostanza che la decisione arbitrale già assunta era stata impugnata (con judicial Petition for Vacatur) in sede giurisdizionale dal sindacato dei giocatori (NFLPA). Infine, la lettera (b) della sezione seconda dell’art. 46 prevede il carattere vincolante della decisione scritta finale (49) adottata dall’hearing officer sull’appeal del giocatore. Il vincolo tocca quest’ultimo, la squadra e le stesse parti collettive (NFL e NFLPA) del contratto (CBA della NFL) che contempla la procedura arbitrale descritta. In sintesi, nel caso di comportamenti del giocatore « detrimental to the integrity of, or public confidence in, the game of professional football », una previsione espressa del contratto collettivo (art. 46 CBA) consente al Commissioner della NFL di essere ad un tempo « judge, jury and execu- tioner »(50). Un problema di parzialità dell’arbitro si pone pure quando il Commissioner — avvalendosi del potere discrezionale (ex art. 46 cit.) di designare una persona diversa da se stesso a ricoprire il ruolo di arbitro — sceglie di nominare un soggetto con forti legami con la lega (« an in-house guy », come è stato efficacemente detto (51)). Va da sé che, quantunque dia luogo ad una situazione in grado di compromettere la imparzialità dell’arbitro, la associazione dei giocatori ha mostrato inequivocabilmente di accettarla. Ha infatti stipulato il contratto collettivo nel quale figura la previsione in esame (il già citato art. 46). Ed è proprio questa previsione che — nel disciplinare il procedimento arbi- trale relativo alla materia delle sanzioni disciplinari (irrogate anche per condotte estranee alla competizione sportiva e lesive della integrità del gioco del football) — attribuisce al Commissioner tutti gli enormi poteri dianzi indicati.

(47) Nel cosiddetto « Bounty-Gate ». L’arbitro nominato fu Paul Tagliabue, il quale (in quanto ex-Commissioner) inizialmente venne osteggiato dal sindacato dei giocatori. Solo alla fine fu accettato come un giudice imparziale. Tagliabue annullò le sanzioni inflitte ai giocatori. V. infra al§7. (48) In effetti dalla Corte federale dinanzi al quale la decisione era stata impugnata. (49)«As soon as practicable following the conclusion of the hearing, the hearing officer will render a written decision which will constitute full, final and complete disposition of the dispute and will be binding upon the player(s), Club(s) and the parties to this Agreement with respect to that dispute. Any discipline imposed pursuant to Section 1(b) may only be affirmed, reduced, or vacated by the hearing officer, and may not be increased ». (50) L’espressione è utilizzata molto di frequente sia nello scritto che nella conversazione orale (v., come esempio di quest’ultima, la puntata di Outside the Lines del 2 dicembre 2014: su questa trasmissione di giornalismo investigativo v. infra nota 143), con qualche variante. Taluno infatti lamenta che nella NFL il Commissioner si presenti « as police, prosecutor, judge, jury, and executioner ». (51) Così, ad esempio, il conduttore televisivo Michael Wilbon nella puntata di Pardon the Interruption del 10 dicembre 2014 (v. anche infra nota 143).

27 Colpisce l’assoluta posizione di forza che è stata così assegnata dal contratto collettivo NFL al Commissioner. A un soggetto, cioè, che per molti anni — dapprima nel baseball e poi negli altri sport professionistici — ha agito da vero e proprio Richter-König. Attraverso l’art. 46 del Collective Bargaining Agreement (CBA della NFL), si è pertanto realiz- zato un vero e proprio « ritorno all’antico »: nel senso che sono stati restituiti al Commissioner dei poteri che possedeva tanti anni fa e che progressivamente erano andati erodendosi. Ma vi è pure un altro elemento che sospinge ad indugiare sui poteri di questa singolarissima figura tipica del solo ordinamento dello sport professionistico statunitense. Vogliamo alludere alla formulazione stessa della (più volte menzionata) clausola del contratto collettivo della NFL. Ebbene, s’indovina una somiglianza rimarchevole fra questa clausola e una risalente previsione concernente il baseball professionistico.

5. L’indeterminatezza del concetto (usato nel citato art. 46 del contratto collettivo — CBA — della NFL) di condotta « detrimental to the integrity of, or public confidence in, the game of professional football » richiama alla mente una formula (52), non meno generica ma senz’altro più nota, e cioè quella di « best interests » del baseball (53), con la quale siamo ricondotti proprio alla nascita dell’ufficio del Commissioner nella Major League Baseball (MLB) nel biennio 1920-1921. L’origine del Commissioner è stata raccontata più volte dagli storici del gioco, ma anche le Corti statunitensi (54) si sono spesso cimentate nella ricostruzione delle vicende che condussero alla sua istituzione. Basti qui dire che la creazione del « nuovo » organo monocratico del Commissioner del baseball professionistico (MLB) munito di poteri asso- luti — mentre segnalò l’abbandono dell’anteriore modello collegiale della

(52) Cfr., per una panoramic delle clausole impiegate nello sport americano, A. EPSTEIN, An Exploration of Interesting Clauses in Sports,inJournal of Legal Aspects of Sport, 2011, 1 ss. (53) J.M. POLLACK, Take My Arbitrator, Please: Commissioner « Best Interests » Discipli- nary Authority in Professional Sports,inFordham L. Rev., 1999, 1645 ss.; C.J. DANIELS, From the Black Sox to the Sky Box: The Evolution and Mechanics of Commissioner Authority,inTex. Rev. Ent. & Sports L., 2008, 23 ss.; T. CURTIS, In The Best Interests of the Game: The Authority of the Commissioner of Major League Baseball,inSeton Hall J. Sport, 1995, 5 ss.; J.M. REINSDORF, The Powers of the Commissioner in Baseball,inMarq. Sports L.J., 1996, 221 ss.; D. SATHY, Reconstruction: Baseball’s New Future,inSeton Hall J. Sport L., 1994, 27 ss.; L. LAVELLE, From the Diamonds to the Courts: Major League Baseball v. the Commissioner,inN.C. Cent. L. Rev., 1995, 97 ss. (54) In una nota pronunzia: v. Charles O. Finley & Co. v. Kuhn, 569 F.2d 527, 532 (7th Cir. 1978), dove si rivisita la origine dell’ufficio del Commissioner. Leggiamo la sentenza in Baseball and the American Legal Mind, a cura di Spencer Weber Waller, N.B. Cohen, and P. Finkelman, cit., 140 ss. Sulla vicenda di fatto v. B. MARKUSEN, Baseball’s Last Dynasty. Charlie Finley’s Oakland A’s, Indianapolis, 1998, 392 ss.; e soprattutto la ricostruzione dello stesso Commissioner Bowie KUHN (con Martin Appel), Hardball: The Education of a Baseball Commissioner, New York, 1987, rist. 1997, 173 ss. V. infra in note 105, 113, 161.

28 National Commission (55) rivelatosi inefficiente — conseguì a una impo- sizione dall’esterno, alla quale i proprietari delle sedici squadre che al tempo costituivano la Major League Baseball dovettero piegarsi. La richiesta di pieni poteri venne difatti dalla persona designata a rivestire l’incarico (dopo il rifiuto opposto dall’ex Presidente degli Stati Uniti Taft) (56), il giudice Kenesaw Mountain Landis (57), che la pose come condizione per accettare (58) la proposta rivoltagli di essere il primo Commissioner della storia. D’altronde i proprietari delle squadre riunite nella lega (MLB), pur se tradizionalmente gelosi della loro autonomia, decisero di aderire all’ulti- matum del giudice Landis perché erano convinti che fosse l’unico modo per salvare il baseball professionistico. Senza dubbio nel 1920, quando si decise di istituire il Commissioner, si era di fronte ad un bivio: o si restituiva credibilità al gioco sotto la guida ferrea di un soggetto indipen- dente, con amplissimi poteri disciplinari, o la disaffezione fra gli americani avrebbe potuto crescere al punto da mettere in pericolo la sopravvivenza stessa del baseball professionistico.

(55)LaNational Commission, creata nel 1903, era composta da tre membri, uno per ciascuna lega (National League ed American League) ed un terzo nominato sull’accordo dei primi due. Il controllo effettivo della National Commission era però nei fatti saldamente nelle mani del già menzionato Ban Johnson, presidente dell’American League. Il terzo membro, che in teoria avrebbe dovuto essere neutrale (Garry Herrman dei Cincinnati Reds) era considerato « Ban Johnson’s lackey »: così N. ROSENBERG, When the Commissioner Was the Law or When Czardom Was in Flower,inBaseball and the American Legal Mind, 265 ss., spec. 267. (56) William Howard Taft preferì la Corte Suprema dove assunse il ruolo di Chief Justice. (57) Sul quale v., per tutti, D. PIETRUSZA, Judge and Jury: The Life and Times of Kennesaw Mountain Landis. South Bend, Indiana, 1998. Ha ragione C.A. PALMER, The Czar’s Court: The Commissioner of Baseball and The New York Yankees, in AA.VV., Courting the Yankees. Legal Essays on the Bronx Bombers, a cura di E. Ward, Durahm (NC), 2003, 243 ss. quando osserva che Landis « defined the role of the commissioner ». Singolare è la origine del nome (Kenesaw Mountain) che gli fu assegnato dal padre — un medico che vi prese parte — per ricordare la battaglia della Guerra Civile di Kennesaw Mountain. Il nome « Kenesaw » (con una sola « n ») è peraltro il frutto di un errore, che Landis non volle rettificare. (58) La elezione del giudice Landis fu votata alla unanimità dai membri della lega nel novembre del 1920. Contestualmente fu deciso di procedere alla regolamentazione del nuovo ufficio. Fu allora avanzata la proposta di limitare il potere del Commissioner. Al che Landis decise di rinunciare all’incarico. Solo il 12 gennaio 1921 si tenne una riunione fra il giudice ed i membri della lega nella quale questi ultimi rinunziarono a circoscrivere i poteri del Commis- sioner aderendo alle indicazioni di Landis. Si giunse infine alla elaborazione della nuova costituzione del baseball che conferiva al Commissioner poteri sostanzialmente assoluti (Major League Agreement). Vale la pena notare che solo nel 1922 Landis si dimise dalla carica di giudice (dandone notizia al Presidente degli Stati Uniti Harding nel febbraio 1922 e) con effetto dal marzo del 1922. Per oltre quindici mesi (dal novembre 1920 al marzo 1922) egli aveva quindi ricoperto — suscitando numerose critiche — nello stesso tempo il ruolo di commissioner edi giudice. Era stato nominato nel 1905 dal Presidente Theodore Roosevelt alla Corte distrettuale del nord Illinois (« United States District Court for the Northern District of Illinois »). Landis rimase in carica come Commissioner sino alla morte, avvenuta il 25 novembre 1944, quindi per circa 25 anni. Cfr. D. PIETRUSZA, Judge and Jury: The Life and Times of Kennesaw Mountain Landis, cit., 39 ss. (quanto alla nomina a giudice), 165 ss. (sulla nomina a Commissioner), 173 ss. (circa i tentativi fatti per ridurre i poteri del Commissioner in occasione dei lavori per la redazione del nuovo « Agreement »), 199 ss. (sulle critiche a Landis e le successive dimissioni da giudice).

29 Alla base di tutto ciò, vi fu un fatto centrale nella storia sportiva degli Stati Uniti o, per dir meglio, nella « Storia » tout court di quel paese. Accadde, un giorno del 1919, che un uomo (59) decise di « giocare con la fiducia di cinquanta milioni di persone provvisto della determinazione di uno scassinatore che fa saltare in aria una cassaforte »(60). L’episodio, ricordato comunemente come il « Black Sox scandal »(61), si consumò nel 1919 quando alcuni giocatori dei Chicago White Sox — impegnati nelle World Series contro i Cincinnati Reds — accettarono del denaro da vari scommettitori per perdere intenzionalmente alcune partite. L’uomò che truccò (62) le finali del campionato di baseball —il gangster Arnold Rothstein (63)—elasbalorditiva impresa criminale compiuta, s’impressero a fondo nell’immaginario collettivo americano. Al

(59) Il gangster Arnold Rothstein (sul quale v. infra in questo paragrafo), ricordato in modo insolito nel film il Padrino parte II di Francis Ford Coppola. Il gangster Hyman Roth (interpretato nel film da Lee Strasberg) lo evoca (manifestando una inclinazione molto positiva nei suo riguardi) quando osserva: « I’ve loved baseball ever since Arnold Rothstein fixed the World Series in 1919 ». (60) Così l’io narrante (Nick Carraway) del celebre romanzo di Francis Scott FITZGERALD, Il grande Gatsby del 1925 (trad. it. di Franca Cavagnoli, Milano, 2011, 122), in occasione dell’incontro con Meyer Wolfsheim (dead ringer del vero gangster Arnold Rothstein) presen- tatogli da Jay Gatsby. Nella traduzione « storica » di Fernanda Pivano per Mondadori (rist. 2002, Roma, 78), Carraway si soprende che « qualcuno » avesse potuto « scherzare con la buona fede di cinquanta milioni di persone con la freddezza di un ladro che fa saltare una cassaforte ». (61) I calzini « neri » erano quelli degli otto giocatori dei Chicago « White Sox »: per essersi prestati a truccare le World Series i « calzini bianchi »(che danno il nome alla franchigia) divennero appunto « neri ». Sulla vicenda e sullo « scandaloso 1919 » v., in sintesi, Total Baseball, Completely Revised and Updated: The Ultimate Baseball Encyclopedia, 8ª, Wilming- ton, DE, 2004, 96-97. (62) È la traduzione di « to fix », il verbo impiegato da Fitzgerlad (The Great Gatsby, rist. London, 1988, 71). Francamente inappropriato sembra trasporre in italiano quel verbo (in modo anodino) con « alterare » come fa per ben tre volte la Pivano (trad. it. cit., 78). Franca Giovagnoli utilizza felicemente il verbo « truccare » (trad. it. cit., 122). (63) Cfr. il risalente lavoro di L. KATCHER, The Big Bankroll: The Life and Times of Arnold Rothstein, 1959 (rist. New York, 1994); nonché D. PIETRUSZA, Rothstein: The Life, Times and Murder of the Criminal Genius who Fixed the 1919 World Series, New York, 2003; utile per avere un quadro più ampio sono pure i libri di A. FRIED, The Rise and Fall of the Jewish Gangster in America, New York, 1980 e di J. JOSELIT, Our Gang: Jewish Crime and the New York Jewish Community, 1900-1940, Bloomington, 1983. Sulla infondatezza della accusa (mossa da Henry Ford, il fondatore della Ford Motor Company) secondo cui lo scandalo dei Black Sox era il frutto di una cospirazione internazionale v. P. LEVINE, Ellis Island to Ebbets Field: Sport and the American Jewish Experience, New York, 1992, spec. 108. La inconsistente tesi di Ford (che aveva evocato il cosiddetto « Piano Lasker », dal nome di un ricchissimo businessman di Chicago) si riallacciava ai pretesi legami esistenti fra molti dei soggetti in vario modo coinvolti nella vicenda (oltre Rothstein ed il suo « aiutante » — Abe Attell, già campione di pugilato fra il 1900 ed il 1912 —, Arthur Austrian — un noto avvocato di Chicago, già difensore dell’altra squadra della città, i Cubs, e poi coinvolto nella difesa di Comiskey, proprietario dei Chicago White Sox —, Harry Grabiner — segretario dei Chicago White Sox —, Barney Dreyfuss — proprietario dei Pittsburgh Pirates — ed il già citato Albert Lasker). Sui diari di Grabiner e sul ruolo di Lasker v. pure le pagine, come sempre assai vivaci, di uno speciale osservatore, il noto dirigente e proprietario (fra l’altro proprio dei Chicago White Sox) Bill VEECK, The Hustler’s Handbook, New York, 1965, rist., 2009, 252 ss. Si noti infine che il c.d. « piano Lasker » non era segreto. Era anzi di dominio pubblico (E. ASINOF, op. cit., 199), da quando Albert D. Lasker aveva annunciato di volere riorganizzare la National Commission.

30 punto che Francis Scott Fitzgerald — l’elegiaco cantore della Jazz Age — ospitò nel suo romanzo più celebre il personaggio (64) di Meyer Wol- fsheim (65), « giocatore d’azzardo » (66) nel quale si indovina con nettezza il profilo di Rothstein (67). Per recuperare la fiducia di quei cinquanta milioni di americani « traditi » e riportarli a seguire il baseball professionistico della MLB (68), occorreva sostituire la fiacca disciplina assicurata sino a quella data dalla National Commission con una nuova autorità munita di poteri eccezionali. Nacque così l’ufficio del Commissioner (69), al quale — sin dalla « Costi- tuzione » del baseball del 1921 (Major League Agreement) — venne attribuito il potere di reprimere qualsiasi azione « detrimental to the best interests of the National game of baseball ».

(64) Che è parso « comico » a Franca Cavagnoli, La morte del sogno, introduzione a Il grande Gatsby, cit., 24. Non sembra proprio, però, per quanto si tratti di idea diffusa: v., in ultimo, S. CHURCHWELL, Careless People. Murder, Mayhem, and the Invention of The Great Gatsby, New York, 2014, 136: ad avviso della autrice Arnold Rothstein « was the prototype of the comically sinister Meyer Wolfshiem ». Ci sembra che la seconda qualificazione sia senz’altro più appropriata dell’altra. M. CORRIGAN, So We Read On. How The Great Gatsby Came to be and Why It Endures, New York-Boston-London, 2014, 95 allude alla « disturbing figure of Wolfshiem ». (65) La figura di Meyer Wolfsheim ci è nota anche dai film. È stato interpretato sul grande schermo da Howard Da Silva nel film (tratto dal romanzo « Il Grande Gatsby » di Fitzgerald) del 1974 con la regia di Jack Clayton, e, da ultimo (nel 2013, nel film diretto da Baz Luhrmann), nella versione meno convincente, da Amitabh Bachchan. Cosa singolare, nella prima versione cinematografica dell’opera (quella del 1947 diretta da Elliott Nugent) Da Silva (alla nascita Howard Silverblatt) interpretava — non il sodale di Gatsby come nel 1974 — ma George Wilson, che uccise alla fine proprio Gatsby. (66) Così lo definisce Gatsby (« a gambler ») rispondendo — esitando — alle domande di Nick Carraway, che aveva immaginato che fosse un attore o un dentista. « Con freddezza » (« cooly »), il primo aggiunse: « he’s the man who fixed the World’s Series back in 1919 ». (67) Che Fitzgerald conobbe personalmente, come risulta dalle lettere dello scrittore (cfr. S. CHURCHWELL, Careless People. Murder, Mayhem, and the Invention of The Great Gatsby, cit., 136; v. pure A. BOYER,«The Great Gatsby,inMich. L. Rev., 1989, 328 ss. ed ora in Baseball and the American Legal Mind, cit., 436 ss., spec. 440 e nota 13, dove richiama il biografo di Fitzgerald, A. TURNBULL, Scott Fitzgerald: A Biography, London, 1962). Fra i tanti talenti dello scrittore vi fu una vera passione per lo sport (in particolare per il football: A. BOYER, op. cit., 333; e specialmente per la squadra di Princeton, l’università frequentata da Fiztgerald: S. CHURCHWELL, op. cit., 12). Tale passione è rispecchiata in vario modo anche nel suo capolavoro: Jordan Baker è una golfista di professione, Tom Buchanan negli anni universitari a Yale (dove ha studiato — si legge nel romanzo — anche Nick Carraway) era stato un « end » formidabile, ed il gioco del polo è evocato per suggerire l’ambiente sociale nel quale vivono i coniugi Buchanan (Tom e la moglie Daisy « Fay », la « fata »). V. anche F.S. FITZGERALD, Good Luck & Goodbye. Le pagine che raccontano la mia vita, trad. it. di F. Bartocci, Roma, 2013. (68) Che al tempo subiva la concorrenza (non tanto del football e del basket professio- nistici, agli albori) ma (oltre che del college football) della boxe. Se si pensa alla fine che questo sport (per lungo tempo assai diffuso) ha fatto a causa soprattutto degli imbrogli, si comprende la saggezza dei proprietari delle squadre di baseball allorché decisero di istituire il Commissio- ner per tutelare la integrità del gioco. (69) Il collegamento fra la creazione del Commissioner e lo scandalo del 1919 è pacifico ed è parte della cultura popolare statunitense: cfr., ad es., descrivendo la evoluzione dell’istituto in un libro dedicato alla analisi dettagliatissima del gioco (in occasione della partita fra i Brewers ed Orioles del 10 giugno 1982), D. OKRENT, Nine Innings. The Anatomy of a Baseball Game — 1985 —, rist. Boston New York, con prefazione di W. Sheed, 2000, 154 ss.

31 Ci volle poco per capire che si stava per realizzare un cambiamento rivoluzionario. Gli americani lo intuirono confrontando i risultati del processo penale tenutosi contro i giocatori coinvolti nel « Black Sox scandal » con la sanzione disciplinare sportiva loro inflitta. Allo scandalo del 1919 seguì difatti un processo (70) dinanzi ad una Corte di Chicago che, nell’estate del 1921, assolse (71) tutti e otto i giocatori incriminati. Il giorno dopo il Commissioner capovolse il verdetto e li sospese tutti quanti a vita (« regardless of the verdict of juries »(72)), affermando la sua autorità perfino sopra le istituzioni dello stato. A nulla valsero nel prosieguo le proteste dei giocatori puniti (73), ed

(70)Di«sordid trial » parla D. PIETRUSZA, Judge and Jury, cit., 187. Lo stesso autore ha condotto la ricerca più approfondita sulle origini dello scandalo delle World Series del 1919: D. PIETRUSZA, Rothstein, cit., 149 ss.; a suo dire, il notissimo libro di Asinof, per quanto ben scritto, ricostruisce i fatti in maniera inadeguata (ivi, 150). La descrizione del processo di quest’ultimo è comunque avvincente: v. E. ASINOF, Eight Men Out. The Black Sox and The 1919 World Series, New York, 1963, rist. 1987, con introduzione di S.J. Gould, 236 ss. Riguardo alla fase dinanzi al grand jury — che precedette il trial (e sulla quale v. E. ASINOF, op. cit., 152 ss.) — essa si concluse ovviamente con l’autorizzazione a celebrare il processo. Un po’ come avviene oggi: nel 2010, su un totale di 162.000 casi, solo 11 fra essi non sono alla fine pervenuti al trial. Tutti sanno, peraltro, che negli ultimi mesi, ci sono stati alcuni dinieghi che hanno scatenato veementi reazioni negli USA: cfr. The Economist, 13 dicembre 2014 (con il titolo in copertina: « On trial. What has gone wrong with policing in America »). Sul grand jury v. il podcast dell’Economist (« All audio ») del 9 dicembre 2014 (« How a grand jury works »). (71) L’assoluzione fu favorita dalla circostanza che i documenti contenenti le confessioni già rese in precedenza di fronte al grand jury da alcuni giocatori (Eddie Cicotte, Joe Jackson e Claude Williams) scomparvero misteriosamente e non poterono essere impiegati nel trial. Quanto a Rothstein (senza del quale l’affare del 1919 non si sarebbe verificato: P. LEVINE, Ellis Island to Ebbets Field, cit., 105), sebbene avesse ottenuto un cospicuo guadagno dalla vicenda, non subì alcuna conseguenza. Nel romanzo di Fitzgerald, quando Carraway chiede a Gatsby perché Wolfsheim (cioè Rothstein) non fosse finito in cella per l’azione criminale compiuta, si sente rispondere: « They can’t get him, old sport ». E Gatsby chiosa: « He’s a smart guy ». Poco prima, per spiegare in che modo Wolfsheim fosse riuscito a compiere una impresa simile, lo stesso Gatsby aveva affermato: « He just saw the opportunity ». (72) Cfr., per il testo integrale, E. ASINOF, Eight Men Out, cit., 273; D. PIETRUSZA, Judge and Jury, cit., 187. (73) Due giocatori (Weaver e Jackson) agirono anche in giudizio, peraltro contro il proprietario della loro squadra (i Chicago White Sox), quel Charles Comiskey (The old roman, come era soprannominato) ricordato (oltre che per i successi ottenuti prima da giocatore e poi da dirigente: J. TYGIEL, Past Time. Baseball as History, New York, 2000, 35 ss., spec. 41 ss., 61 ss.) per i bassi stipendi che corrispondeva ai propri giocatori (tanto bassi che è diffuso il convincimento — alimentato da Eliot ASINOF, Eight Men Out, cit., 20 ss. — che alla base del « tradimento » del 1919 degli otto giocatori dei « Sox » vi fossero proprio i limitati guadagni assicurati dal loro datore di lavoro: cfr. N. ROSENBERG, When the Commissioner Was the Law or When Czardom Was in Flower, cit., 267; J. TYGIEL, Past Time, cit., 61-62). Benché i due giudizi non riguardassero direttamente il Commissioner, ne mettevano comunque in gioco l’operato, tenuto conto che sia Weaver che Jackson chiedevano alla Corte di accertare il corretto adempimento delle loro prestazioni contrattuali (e, rimanendo in vita la squalifica loro inflitta dal Commissioner Landis per i fatti del 1919, evidentemente le domande dei due non potevano trovare accoglimento). Entrambi i giudizi si conclusero negativamente (E. ASINOF, Eight Men Out, cit., 279 ss.). Jackson, a ben vedere, ottenne un verdetto favorevole della giuria che il giudice però cancellò (« set aside »), sul presupposto che l’attore avesse falsamente rappresen- tato i fatti.

32 in particolare le ripetute richieste di Buck Weaver (74) di rivedere la squalifica e le reiterate istanze dei sostenitori di Shoeless Joe Jackson — il grande (e mai più dimenticato (75)) campione dell’epoca — di emettere un nuovo giudizio. Il Commissioner Landis non mutò in alcun modo la decisione assunta contro di loro nel 1921. Molte furono le conseguenze di questi fatti straordinari. Alcune incisero sul piano della cultura popolare — letteratura, musica, cinema (76) —, altre su quello del linguaggio comune (nel quale è da allora entrata la frase « Say it ain’t so, Joe! »(77)), altre ancora sulla maniera di intendere la giustizia nello sport, con i poteri assoluti e netti del Commissioner paragonati alle procedure garantistiche e complesse delle Corti. Nacque allora, in quel fatidico 1919, nel mondo del baseball, anche la paura per le scommesse, per la loro inesauribile forza inquinante della purezza del gioco (78): una paura che nei decenni successivi ha azionato

(74) Al quale guarda con simpatia, in ultimo, R.C. COTTRELL, Blackball, the Black Sox and the Babe: Baseball’s Crucial 1920, Jefferson, N.C., 2002. Il terza base dei Chicago White Sox acquista (con la interpretazione di John Cusak) un ruolo di primo piano nel film del 1988 di John Sayles Eight Men Out tratto dal libro di Asinof. (75) Anche grazie al libro del romanziere canadese William Patrick KINSELLA — Shoeless Joe (1982), rist. London, 2013 — ed al film che ne è derivato (Field of Dreams del 1989, diretto e sceneggiato da Phil Alden Robinson). Nel film Eight Men Out Shoeless Joe Jackson è interpretato da D.B. Sweeney, in Field of Dreams da Ray Liotta. V. anche il volume di D. FLEITZ, Shoeless: The Life and Times of Joe Jackson, Jefferson, N.C., 2001. (76) D.A. NATHAN, Say It Is So: A Cultural History of the Black Sox Scandal, Champaign, IL, 2005. Nonché, in generale, i contributi di S. PARTRIDGE-T. MORRIS, Baseball in literature, baseball as literature,diG.GRELLA, Baseball at the movies ediC.SMITH, Baseball and mass media, raccolti in AA.VV., The Cambridge Companion to Baseball, a cura di L. Cassuto e S. Partridge, cit., 21 ss., 111 ss., 201 ss. (77) Non si sa con certezza se davvero un bambino — alla uscita della Corte di Chicago dove si celebrava il processo contro i « Black Sox » — abbia pregato Jackson di negare ogni responsabilità. La frase si è affermata comunque. Essa — nota D. PIETRUSZA, Rothstein, cit., 147 —«entered the American Language ». È fra l’altro diventata nel 1975 il titolo di un album di Murray Head (anche se il cantante probabilmente intendeva riferirsi al Watergate che condusse alle dimissioni di Nixon dell’agosto 1974). Ne fece una cover nel 1977 Roger Daltrey (cantante del gruppo “The Who”) e Gary Brooker (tastierista del gruppo « Procul Harum ») un singolo nel 1979. (78) T.J. OSTERTAG, From Shoeless Joe to Charley Hustle: Major League Baseball’s Continuing Crusade Against Sports Gambling,inSeton Hall J. Sport L., 1992, 19 ss. Il contributo di Ostertag è assai interessante anche alla luce del ruolo di « General Counsel » della MLB ricoperto dall’autore. Cosa diversissima da questa è rappresentata dai tentativi, più o meno ortodossi, da sempre compiuti per ottenere un vantaggio sull’avversario nel corso di una partita di baseball (dopo tutto ad essere « gentili » si rischia di arrivare ultimi, come recita il titolo provocatorio del noto libro — scritto con Ed Linn — del celebre giocatore e manager Leo DUROCHER, Nice Guys Finish Last — 1975 —, rist. Chicago & London, 2009). Cfr., per un inventario di tali tentativi, J. TURBOW (con M. DUCA, The Baseball Codes, New York, 2011, 182 ss.); v. pure P. DICKSON, The Unwritten Rules of Baseball. The Etiquette, Conventional Wisdom, and Axiomatic Codes of Our National Pastime, New York, 2009. Vale la pena ricordare un episodio particolarissimo raccontato nel bellissimo libro di J. PRAGER, The Echoing Green: The Untold Story of Bobby Thomson, Ralph Branca and the Shot Heard Round the World, New York, 2006. L’autore vi sostiene la tesi second cui nel 1951 i New York Giants avevano creato un meccnismo per comunicare al battitore — in modo sistematico — il tipo di lancio che avrebbe ricevuto dal pitcher. L’anno al quale si riferisce la indagine è importante perché i Giants

33 meccanismi protettivi così invasivi che nelle maglie del potere sanziona- torio del Commissioner sono rimasti « impigliati » in molti, giocatori, ex giocatori, manager, ecc. (79). Vi è finito anche un autentico eroe sportivo americano (80), quel Pete Rose sostanzialmente costretto a rinunziare (a vita (81)) al baseball ed escluso perfino dalla Baseball’s Hall of Fame di Cooperstown (82).

vinsero il pennant dopo un lungo inseguimento ai danni dei Brooklin Dodgers (consentendo loro di accedere alle World Series poi perse contro gli Yankees); e soprattutto perché, nella partita decisiva contro i Dodgers, Bobby Thomson colpì il famoso colpo (un fuori campo su lancio di Ralph Branca) denominato « Shot Heard Round the World ». Il celeberrimo episodio è fra l’altro ricordato da D. DE LILLO, Underworld (1997), trad. it., Torino, 1999. Sul « cheating » nel baseball v. infine Dav. LUBAN e Dan. LUBAN, in AA.VV., The Cambridge Companion to Baseball, a cura di L. Cassuto e S. Partridge, cit., 185 ss. (79) Potremmo fare numerosi esempi (cfr. D. PIETRUSZA, Judge and Jury, cit., 262 ss., 284 ss.). Fece scalpore a suo tempo la squalifica di Leo Durocher (allora manager dei Brooklin Dodgers) da parte del secondo Commissioner del baseball, Happy Chandler, per tutta la stagione 1947 (l’episodio è narrato in modo accattivante nel volume citato Nice Guys Finish Last, rist. 2009, spec. 236 ss.). Si pensi altresì alla punizione a due figure di eccezione, colpite alcuni anni dopo aver concluso le loro brillanti carriere sportive. Vogliamo dire degli Hall of Famers Willie Mays e Mickey Mantle. A causa dei loro collegamenti con il mondo delle scommesse (precisamente con i « gambling casinos »), il Commissioner Bowie Kuhn proibì ai due (ex-giocatori) di avere qualunque contatto nel futuro con la Major League, inserendoli per la precisione nella c.d. “permanently ineligible list”: « Baseball and casino employment are inconsistent », scrisse Kuhn. Cfr. J. HOLTZMAN, The Commissioners. Baseball’s Midlife Crisis, New York, 1998, 196; nonché il racconto di B. KUHN (con Martin Appel), Hardball: The Education of a Baseball Commissioner, cit., 323 ss. (cap. 24 intitolato « The Casino Conflict »). Mays e Mantle furono finalmente « perdonati » nel 1985 dal Commissioner (il successore di Kuhn) Peter Ueberroth. Merita infine ricordare un caso noto in cui Landis decise di non punire due famosi giocatori (Ty Cobb e Tris Speaker) coinvolti in un affare di scommesse poco chiaro: D. PIETRUSZA, op. loc. cit.; , L.L. BLAISDELL, The Cobb-Speaker Scandal: Exonerated but Probably Guilty,inA Journal of Baseball History and Culture, 2005, 54 ss. (80) Un ex-eroe si direbbe oggi o comunque un « american dilemma », per usare il titolo del recente libro di Kostya KENNEDY, Pete Rose. An American Dilemma, New York, 2014. Nonché — per un parallelo fra il giocatore ed il Commissioner Giamatti (letterato di chiara fama, nipote di due immigrati italiani e molto legato al nostro paese, oltre che a capo della Università di Yale per molti anni) che lo accusò — J. RESTON, Collision at Home Plate. The Lives of Pete Rose and Bart Giamatti, New York, 1991. La intrigante figura di Giamatti è poi indagata da A. VALERIO, A Life of A. Bartlett Giamatti: By Him and About Him, New York, 1991; v. pure le penetranti notazioni di L. BALDASSARO, Beyond DiMaggio. Italian Americans in Baseball, Lincoln and Lon- don, 2011, 416 ss.. Si devono alla penna di Giamatti alcune delle riflessioni più profonde sul significato del gioco del baseball (A Great and Glorious Game: Baseball Writings of A. Bartlett Giamatti, a cura di Kenneth Robson, Chapel Hill, N.C., 1998, con prefazione di David Alberstam; Take Time for Paradise: Americans and their Games, Fort Worth, 1989, rist. 2011, con prefazione di J. Meacham e postfazione di M. Giamatti). Condividiamo il giudizio di L. BALDASSARO, op. cit., XXV, quando evoca l’idea di Giamatti secondo cui il baseball non rappresenta soltanto l’American Dream, ma è una metafora della « American experience as a whole ». V. pure infra in nota 204. (81) L’accordo stipulato fra Rose e Giamatti è nella sostanza il frutto di una imposizione del secondo sul primo. La vicenda è analiticamente descritta in Kostya KENNEDY, Pete Rose, cit., spec. 190 ss. L’accordo si conclude con questa previsione: « Peter Edward Rose is... declared permanently ineligible in accordance with Major League Rule 21 and placed on the Ineligible List ». Il testo dell’accordo si può leggere in http://www.baseball-almanac.com/players/p_rosea.shtml. (82) Che, come noto, negli Stati Uniti è una cosa seria e, nel caso del baseball, molto seria: cfr., sui meccanismi (non di rado discutibili) che sovrintendono alla decisione di ammet- tere taluno nella Hall of Fame,B.JAMES, The Politics of Glory: How Baseball’s Hall of Fame Really Works, New York, 1994.

34 Ma soprattutto da quegli accadimenti del 1919 emerse una nuova figura di « capo » dello sport (il Commissioner) che finì per campeggiare — negli anni a venire — nel panorama delle leghe professionistiche statunitensi e nella cui assoluta originalità si intravedono gli elementi concreti che ne propiziarono la nascita: e cioè le volontà smisurata di due uomini (un giudice — Landis — ed un gangster — Rothstein —) ed un crimine eccezionale (il Black Sox scandal). Con la creazione del Commissioner inizia un’epoca nuova nella gestione dello sport. Davvero il periodo a cavallo fra il 1920 ed il 1921 può essere assunto a spartiacque: prima il baseball era retto da un triumvirato (la National Commission (83) — « Commissione Nazionale » — del 1903) tutt’altro che saldo. Poi si affermò il dominio solitario del Commissioner, volto ad assicurare — al di sopra delle parti — gli interessi generali dello sport. In particolare, i poteri della « Commissione Nazionale » istituita nel 1903 erano stati delimitati dalla decisione assunta — in American League Baseball Club of New York v. Johnson — dal Giudice Wagner, la stessa persona alla quale si attribuisce comunemente la paternità del National Labor Relations Act (NLRA) del 1935. Ebbene, Wagner aveva nel 1919 rigorosamente circoscritto le prero- gative della National Commission e del suo Presidente, fra l’altro stabi- lendo che l’esercizio dei suoi poteri disciplinari doveva essere circoscritto entro limiti ben definiti (« in the performance of his duties ») (84). Inversamente nessun limite incontrava il Commissioner introdotto nel 1920-1921. Poteva agire « in the best interests of baseball »(85), vale a dire con poteri altrettanto vasti, quanto misura in ampiezza la formula degli « interessi del baseball ». Ed è difficile immaginare una formula più ampia e generica di questa. L’istituto del Commissioner fu presto copiato dalle altre leghe pro- fessionistiche USA e trapiantato, dallo sport del baseball,alfootball della NFL (86), al basket della NBA (87) ed anche all’hockey su ghiaccio della NHL (88).

(83) Sugli antecedenti di tale organo, sulle vicende che portarono alla sua creazione ed abbandono v. il chiaro e conciso quadro di A. ZIMBALIST, Baseball’s economic development,in AA.VV., The Cambridge Companion to Baseball, a cura di L. Cassuto e S. Partridge, cit., 201 ss.; nonché ID., Baseball and Billions, cit., 1 ss. (84) La decisione (già citata retro in nota 35) si legge in P.C. WEILER-G.R. ROBERTS, Sports and the Law, cit., 13. (85) Nel prosieguo si eliminò il riferimento (che compariva nell’Agreement originario del 1921) al « National game ». (86) Prima della creazione della NFL, ancora nella fase pionieristica del gioco, nel 1921 Joseph F. Carr divenne il primo « Presidente » della American Professional Football League (due anni dopo rinominata National Football League, sebbene a quella data — osserva M. MACCAMBRIDGE, America’s Game. The Epic Story of How Pro Football Captured a Nation, New

35 Anche la locuzione impiegata nella « Costituzione » (89) del baseball (« in the best interests » del gioco) è stata sostanzialmente recepita negli altri sport professionistici, ora in maniera pressoché identica (90), ora con minime varianti (91).

York, 2005, 7 — non vi fosse nella lega alcuna squadra più ad ovest di Chicago o più a sud di Washington; una lega per niente « nazionale » quindi). La denominazione di Commissioner,al posto di quella di presidente, fu decisa all’indomani delle dimissioni di Carl Storck, il successore di Carr (ivi, 9). Si ritiene, peraltro, che la significativa estensione dei poteri del Commissioner nel football professionistico si ebbe a partire dal 1946, con Bart Bell: cfr. A. PACIFICI, Scope and Authority of Sports League Commissioner Disciplinary Power,inBerkeley J. Ent. & Sports L., 2014, 93 ss., 97. (87) Nel 1949 Maurice Podoloff divenne il primo Commissioner della NBA (National Basketball Association) e rivestì l’incarico sino al 1963. (88) Tradizionalmente governata da un presidente, nel 1993 si passò al Commissioner, con un incremento significativo dei poteri assegnati al nuovo organo. Gary Bettman è ancora oggi il Commissioner della NHL. (89) Cfr. Major League Constitution (originariamente adottata il 12 gennaio del 1921 come « Major League Agreement »), in http://bizofbaseball.com/docs/MLConsititutionJune 2005Update.pdf. L’art. II (dedicato al Commissioner) nella sezione 2 (b) assegna al Commis- sioner il potere « to investigate, either upon complaint or upon the Commissioner’s own initiative, any act, transaction or practice charged, alleged or suspected to be not in the best interests of the national game of Baseball, with authority to summon persons and to order the production of documents, and, in case of refusal to appear or produce, to impose such penalties as are hereinafter provided ». Ancora la sezione 3 dell’art. II stabilisce che una azione punitiva può essere intrapresa dal Commissioner (nei modi indicati sub let. a-g) « in the case of conduct by Major League Clubs, owners, officers, employees or players that is deemed by the Commissioner not to be in the best interests of Baseball ». Le successive sezioni4e5dell’art. II limitano i poteri del Commissioner di agire in attuazione della clausola dei « best interests », a meno che si tratti di agire (ad insindacabile giudizio del Commissioner) a tutela della integrità e pubblica fiducia nel gioco del baseball (« integrity of, or public confidence in, the national game of Baseball »), intendendosi per « integrità » tutto quanto si riferisce al livello delle prestazioni dei giocatori (che debbono giocare « to the best of their abilities ») e per « fiducia pubblica » ciò che riguarda l’equilibrio fra le squadre (vale a dire la nota aspirazione della lega ad assicurare nel lungo periodo la « competitive balance among Clubs »: v., sul punto, le utili notazioni di A. ZIMBALIST, Baseball’s economic development, cit., 210). Quanto alla sezione 5 dell’art. II, vi è la importan- tissima limitazione dei poteri del Commissioner costituita da tutto quello che riguarda la procedura di contrattazione collettiva (« the powers of the Commissioner to act in the best interests of Baseball shall be inapplicable to any matter relating to the process of collective bargaining between the Clubs and the Major League Baseball Players Association »). La successive sezione 6 art. II egualmente richiama i « best interests », assegnando al Commissioner il potere di assumere ogni iniziativa (« appropriate legal remedies » — compreso lo stimolo per « remedial legislation »—e«other steps ») contro coloro (estranei alla organizzazione della lega) che abbiano recato pregiudizio al gioco, « in the interests of the morale of the players and the honor of the game ». Il successivo art. VI (in tema di poteri arbitrali del Commissioner) evoca anch’esso la formula « best interests of baseball », menzionata pure nell’art. VIII, sezione prima e art. XI sezione seconda. (90) Cfr. la « Costituzione » della NBA, dove figura (art. 35 lett. c) l’azione contro le condotte pregiudizievoli o « against the best interests of the Association or the game of basket- ball ». Cfr. « Constitution and By-Laws » della NBA del 29 maggio 2012 in http://mediacentral. nba.com/media/mediacentral/NBA-Constitution-and-By-Laws.pdf. Il richiamo ai « best inte- rests » del gioco del basket figura anche in altri luoghi: v. artt. 5, lett. a), 14A lett. a), 24 lett. k (iii), 35 lett. d). In particolare si noti che l’art. 24 (nel profilare i compiti del Commissioner) stabilisce alla lettera (a) che « The Commissioner shall serve as the Chief Executive Officer of the League and shall be charged with protecting the integrity of the game of professional basketball and preserving public confidence in the League ». (91) Nel football professionistico della NFL si allude alle condotte « detrimental to the

36 Non si può dubitare che il mondo del baseball abbia davvero influen- zato tutti gli altri sport professionistici, pur se — a ben vedere — ha esibito (ed esibisce tuttora) delle peculiarità che si giustificano solo sulla premessa condivisa che costituisca il National Pastime statunitense. Fra tutte le caratteristiche del baseball della MLB, vale la pena ricordare soprattutto l’esenzione (di cui non godono gli altri sport profes- sionistici USA) dalla normativa antitrust (92), che si fa risalire ad alcuna pronunzie della Corte Suprema (93) e più ancora ad uno dei suo compo- nenti più celebri ed autorevoli (94), Oliver Wendell Holmes (95), stando al quale il gioco avrebbe dovuto essere esonerato da quella normativa (applicabile al commercio inter-statale) giacché il business che lo riguar- dava aveva effetti confinati all’interno di ciascuno stato (96).

League or professional football ». In più luoghi della « Costituzione » compare comunque un richiamo ai « best interests » del gioco. Nell’hockey della NHL si profila il potere della autorità su condotte disonorevoli, pregiudizievoli o comunque « against the welfare of the League or the game of hockey ». (92) Cfr., fra gli altri, i contributi raccolti in Baseball and the American Legal Mind, a cura di Spencer Weber Waller, N.B. Cohen, and P. Finkelman, cit., 75 ss.; G.D. HAILEY, Baseball and the Law, in Total Baseball, Completely Revised and Updated: The Ultimate Baseball Encyclo- pedia, 8ª, cit., 574 ss., spec. 576 ss.; R.I. ABRAMS, Before the Flood: The History of Baseball’s Antitrust Exemption,inMarq. Sports L.J., 1999, 307 ss.; A. BORTECK, The Faux Fix: Why a Repeal of Major League Baseball’s Antitrust Exemption Would Not Solve Its Severe Competitive Balance Problems,inCardozo L. Rev., 2004, 1069 ss.; C.M. BURNS, The Scope of Major League Baseball’s Antitrust Exemption,inStetson L. Rev., 1995, 495 ss.; E.P. EDMONDS, Over Forty Years in the On-Deck Circle: Congress and the Baseball Antitrust Exemptions,inT. Marshall L. Rev., 1994, 627 ss.; J.L. LATWIN, De Minimis: Baseball’s Antitrust Exemption,inWestchester Bar Journal, 1992, 71 ss.; W. WRIGHT eM.COCHRANE, Baseball’s Antitrust Exemption: While the Lawyers Warmed Up in the Bullpen, the Game was Called Due to the Reign of Compromise, in AA.VV., Diamond Mines: Baseball and Labor, a cura di P.D. Staudohar, Syracuse, N.Y., 2000. Nel 1998 il Congresso statunitense ha approvato il « Curt Flood Act » che ha ridimensionato l’esenzione: cfr., sul punto, E.P. EDMONDS, The Curt Flood Act of 1998: A Hollow Gesture After All These Years?,inMar. Sports L.J., 1999, 315 ss.; P.R. BAUTISTA, Congress Says ’Yooou’re Out!!!’ To the Antitrust Exemption of Professional Baseball: A Discussion of the Current State of Player-Owner Collective Bargaining and the Impact of the Curt Flood Act of 1998, in Ohio State J. on Disp. Resol., 2000, 445 ss.; H. J. GORDON, Why Baseball’s Antitrust Exemption Still Survives,inMar. Sports L.J., 1999, 391 ss.; A.D. MATHEWSON, Ali to Flood to Marshall: The Most Triumphant of Words,inMar. Sports L.J., 1999, 439 ss. (93) Cfr. Federal Baseball Club of Baltimore v. National League, 259 U.S. 200 (1922); Toolson v. New York Yankees, Inc., 346 U.S. 356 (1953); Flood v. Kuhn, 407 U.S. 258 (1972). Su quest’ultima decisione cfr., per tutti, B. SNYDER, A Well-Paid Slave. Curt Flood’s Fight for Free Agency in Professional Sports, New York, 2006, spec. 145 ss. Per il testo della pronunzia v. P.C. WEILER-G.R. ROBERTS, Sports and the Law, 3ª, cit., 146 ss. Le tre decisioni sono riportate in Baseball and the American Legal Mind, a cura di Spencer Weber Waller, N.B. Cohen, and P. Finkelman, cit., 79 ss., 96 ss., 120 ss. (94) Sulle ragioni di questo giudizio generalmente condiviso v., per tutti, in modo sintetico, L. TRIBE eJ.MATZ, Uncertain Justice, cit., 125-126, 252-253. (95) Nella decisione del 1922 citata retro alla nota 93. Il ruolo avuto da Oliver Wendell Holmes nell’assicurare al baseball una posizione unica nell’ambito dello sport professionistico appartiene alla comune conoscenza, se non altro degli appassionati del gioco: cfr., per un esempio, D. OKRENT, Nine Innings, cit., 142. (96)«The business is giving exhibitions of base ball, which are purely state affairs »: la celebre frase che si legge nella sentenza della Corte Suprema del 1922 (dovuta alla penna di Oliver Wendell Holmes) è riportata in Baseball and the American Legal Mind, cit., 80.

37 Lo statuto particolare del quale ha goduto (e continua a godere (97)) il baseball spiega perché si sia alla fine giunti ad introdurvi la libera « circolazione » dei giocatori (free agency) in modo diverso dagli altri sport professionistici (football, basket ed hockey), nei quali si è pervenuti — negli anni ’70 del secolo scorso — alla sostanziale liberalizzazione del rapporto di lavoro sportivo in applicazione della normativa antitrust (98). Vista l’esenzione riconosciuta al baseball professionistico dalla Corte Suprema in Federal Baseball (99) del 1922 (e ribadita in Toolson (100) del 1953 ed in Flood (101) del 1972), per poter eliminare la cosiddetta « clau- sola di riserva » (102) (la reserve clause) il sindacato dei giocatori di baseball — sbarrato l’accesso al rimedio antitrust — ha dovuto sfruttare le possibilità offerte dalla contrattazione collettiva e dalla strumento arbi- trale contemplatovi, riuscendo infine nel 1976 ad abbattere — grazie ad un lodo notissimo di Peter Seitz — quella clausola e ad introdurre la free agency (103).

6. E qui vogliamo segnalare un altro paradosso. Come evidenziato,

(97) Con i limiti introdotti nel 1998 dal Congresso e ricordati retro in nota 92. (98) Cfr. R.A. MCCORMICK, Baseball’s Third Strike: The Triumph of Collective Bargaining in Professional Baseball, (già in Vand. L. Rev., 1982, e ora) in Baseball and the American Legal Mind, cit., 235 ss., spec. 254-255, 258 ss. Quanto al football americano, si noti che il tentativo di ripercorrere il percorso seguito dalla MLB fu reso impossibile da una decisione della Corte Su- prema del 1957 nel caso Radovich (già giocatore di football al college con gli USC Trojans, Radovich era passato professionista con i Detroit Lions). La Corte affermò che lo sport era sottoposto (diversamente dal baseball) alla legge federale antitrust: Radovich v. National Football League, 352 U.S. 445 (1957). Non meno importante è quanto accadde negli anni ’70 del secolo scorso: vogliamo dire della cosiddetta « Rozelle Rule » (dal nome del Commissioner Alvin Ray « Pete » Rozelle), con la quale si permetteva alla squadra che avesse perduto un giocatore con la free agency di ottenere delle compensazioni in varia forma (il che rendeva complessa la « cir- colazione » dei giocatori). V., sulla vicenda — oltre che i cenni di M. MACCAMBRIDGE, America’s Game. The Epic Story of How Pro Football Captured a Nation, cit., 317, 400 —, A. EPSTEIN, op. cit., 11 e nota 36. Alla fine la clasuola (nella misura in cui ostacolava lo scambio dei giocatori) fu giudicata in contrasto con la Sezione 1 dello Sherman Act: cfr. Mackey v. NFL, 543 F.2d 606 (8th Cir. 1976). Sulla free agency nella NFL v. S.E. BACKMAN, NFL Players Fight for Their Freedom: The History of Free Agency in the NFL,inSports Law J., 2002, 1 ss. (99) Cfr. retro in nota 93. La decisione è ben descritta (pure nei suoi presupposti di fatto) in J.H. MINANA-K.COLE, The Little White Book of Baseball Law, Chicago, 2009, 39 ss. (100) Sulla vicenda del pitcher Toolson v. E. EDMONS, Cornering the market: The Yankees and the Interplay of Labour and Antitrust Laws, in AA.VV., Courting the Yankees. Legal Essays on the Bronx Bombers, a cura di E. Ward, cit., 315-316. (101)V.retro in nota 93 e J.H. MINANA-K.COLE, op. cit., 49 ss.; B. SNYDER, A Well-Paid Slave, cit., spec. 145 ss. (a proposito dello svolgimento del trial). Sulla figura di Flood, v. G. WILL, Dred Scott in Spikes, November 21, 1993, in ID., Bunts, Thorndike, Maine, 1998, 155 ss. (102) Che nella sostanza legava il giocatore alla squadra per tutta la vita. V. la nota seguente per riferimenti. (103) Cfr., se vuoi, per un approfondimento del tema, il nostro scritto, Il « salary arbitration » nella Major League Baseball (MLB), tra « final offer method » e « judicial notice of sorts », in questa Rivista, 2011, 13 ss. Con l’avvento della free agency finì l’età del « feudale- simo », per riprendere una espressione usata da C.C. ALEXANDER, Our Game. An American Baseball History, New York, 1991, 180 ss.; di « New Age » discorre L. KOPPETT, Koppett’s Concise History of Major League Baseball, Philadelphia, 1998, 353 ss.

38 negli ultimi anni si è assistito a un fenomeno generale di ridimensiona- mento (104) dei poteri del Commissioner (105) e, più ampiamente, ad una modifica qualitativa del suo ruolo (106) nella gestione dello sport, un ruolo sempre più simile a quello di un chief executive officer (CEO) che agisce nell’interesse della lega dei proprietari (107). Si è così creata una cesura con la concezione originaria del Commissioner quale guardiano onnipo- tente (108) votato a garantire gli interessi di tutte le parti coinvolte nello sport. Il tema dell’imparzialità del Commissioner ha inevitabilmente ac- quisito nell’epoca presente un’importanza, se possibile, ancora maggiore rispetto al passato. Come sempre il mondo del baseball ha offerto l’esempio migliore di questa tendenza — comune agli altri sport professionistici — dalla quale sono emersi il contratto collettivo e l’arbitrato obbligatorio. La « Costituzione » del baseball, pur riconoscendo il ruolo di arbitro del Commissioner (109) come da tradizione, gli assegna adesso un valore residuale, vale a dire circoscritto a quelle sole ipotesi nelle quali non

(104) Non sono mancate peraltro le eccezioni, anche notevoli: v., ad es., A. EPSTEIN, op. cit., 13-14 che indica casi nei quali (in particolare con il Commissioner del baseball Bud Selig) la interpretazione della clausola (« best interests ») si è andata evolvendo ed anche espandendo. Lo stesso è stato notato con riferimento alla NBA, sotto la guida del Commissioner Stern: cfr. il saggio (il cui titolo si affida ad un gioco di parole) di M. WILSON, Why So Stern? The Growing Power of the NBA Commissioner?,inDepaul J. Sports L. & Contemp., 2010 ; B.D. SHOWALTER, Technical Foul: David Stern’s Excessive Use of Rule-Making Authority,inMarq. Sports L. Rev., 2007, 205 ss. La tendenza generale è però di segno opposto. A maggior ragione se il confronto si istituisce — come intendiamo fare in queste pagine — con i poteri originariamente conferiti al Commissioner. V., ad es., M.T. GOULD, In Whose ‘Best Interests’? The Narrowing Role of Baseball’s Commissioner,inEntertainment and Sports Lawyer, 1994, 1; C.F. ARCELLA, Major League Baseball’s Disempowered Commissioner: Judicial Ramifications of the 1994 Restructu- ring,inColum. L. Rev., 1994, 2420 ss.; e, in ultimo, A. PACIFICI, Scope and Authority of Sports League Commissioner Disciplinary Power: Bounty and Beyond, cit., 93 ss. (105) In effetti già all’indomani del decesso di Landis nel 1944, i membri della Major League decisero di restringere la autorità del Commissioner: cfr. quanto si legge nella già citata (v. retro nota 54) decisione Charles O. Finley & Co. v. Kuhn del 1978, in Baseball and the American Legal Mind, cit., 144. Segno evidente di quanto la concreta fisionomia dell’ufficio del Commissioner sia stata influenzata dal soggetto che per primo assunse l’incarico. (106) Nel caso del baseball la circostanza parve evidente quando nel 1992 i padroni delle squadre scelsero uno di loro: venne difatti prescelto Bud Selig — il proprietario dei Milwaukee Brewers — come « acting » Commissioner. Cfr. A. ZIMBALIST, In the best interests of baseball? The Revolutionary Reign of Bud Selig, Hobone, N.Y., 2006; G.D. HAILEY, Baseball and the Law, in Total Baseball, Completely Revised and Updated: The Ultimate Baseball Encyclopedia, 8ª, cit., 579. (107) Cfr. A. ZIMBALIST, Baseball’s economic development, cit., 207. (108) Vi è chi paragona il Commissioner ad un giudice della Corte Suprema: v. lo stimolante saggio di A. ZELINSKY, The Justice as Commissioner: Benching the Judge-Umpire Analogy,inYale L. J. Online, 2009, 113 ss. (in critica all’equiparazione — più volte effettuata dal Chief Justice Roberts — del ruolo di giudice della Corte Suprema a quello di un umpire). (109) Cfr. art. VI, sezione 1: « All disputes and controversies related in any way to professional baseball between Clubs or between a Club(s) and any Major League Baseball entity(ies) (including in each case, without limitation, their owners, officers, directors, employees and players ») « shall be submitted to the Commissioner, as arbitrator, who, after hearing, shall have the sole and exclusive right to decide such disputes and controversies and whose decision

39 possano operare i rimedi contemplati in altre fonti (110), soprattutto nel contratto collettivo con il sindacato dei giocatori (il cosiddetto Basic Agreement (111)). Il che significa che un potere originariamente concepito come absolutus (il potere di uno zar (112), è stato detto, che può fare quel che vuole, addirittura annullare le cessioni sgradite di giocatori da una squadra all’altra (113)) soggiace ora ai vincoli discendenti dalla contratta- zione collettiva. Per di più, se in passato si poteva dire — ed è stato detto (114) — che le decisioni del Commissioner non potevano essere contestate dinanzi alle Corti (« the Commissioner may not be appealed »(115)), oggi non è infre- quente che il lodo emesso in esito al procedimento arbitrale previsto dal contratto collettivo sia impugnato in sede giudiziaria. Si consideri altresì che — oramai da alcuni lustri — si è stabilito (nella sezione quinta della Major League Constitution (116)) che il potere (117) del Commissioner di agire « in the best interests of baseball » non può essere applicato proprio con riferimento al contratto collettivo stipulato fra le

shall be final and unappealable ». Ma tale regola incontra la limitazione indicata nella nota successiva e comunque non incide sui poteri del Commissioner « to act in the best interests of Baseball under Article II ». (110) L’art. VI, sez. 1, menziona — oltre che la Costituzione stessa — le « Major League Rules, the Basic Agreement with the Major League Baseball Players Association, or the collective bargaining agreement with any representative of the Major League umpires ». (111) In vigore dal 2012 sino al 2016. Leggilo in http://mlb.mlb.com/pa/pdf/cba_engli- sh.pdf. Di estrema importanza è la « grievance procedure » disciplinata dall’art. XI. In partico- lare, quanto ai poteri arbitrali comunque riconosciuti al Commissioner, v. art. XI A, 1(a)(b). (112) L’appellativo è impiegato di frequente: cfr., ad es., C.A. PALMER, The Czar’s Court: The Commissioner of Baseball and The New York Yankees, cit., 243 ss.; N. ROSENBERG, When the Commissioner Was the Law or When Czardom Was in Flower, cit., 265 ss. J. HELYAR, Lords of the Realm, cit., 7, riferendosi al primo Commissioner del baseball, scrive che « Landis looked like God »e«acted like God as well ». (113) V. l’episodio già ricordato (retro in nota 54) della cessione di tre giocatori da parte di Finley annullata dal Commissioner Bowie Kuhn nel giugno 1976 (con decisione poi confer- mata in sede giurisdizionale, in primo grado e in appello). Un acuto osservatore — B. MARKUSEN, Baseball’s Last Dynasty, cit., 393 — ha parlato (a proposito della decisione di Kuhn) di « shockingly unprecedented ruling ». Il richiamo agli « interessi del gioco » divenne con il Commissioner Kuhn un « common refrain »(ivi, 393). Il « bad boy » Billy Martin (manager al tempo dei fatti degli Yankees) paragonò Kuhn al primo Commissioner, il giudice Landis (il che conferma ancora una volta il persistente fascino di quest’ultimo, alla origine dei poteri amplissimi del Commissioner). Quanto ai fatti, va detto che, agendo nell’interesse del gioco (B. KUHN, Hardball, cit., 178), il Commissioner vietò la cessione di tre giocatori della squadra degli Oakland A’s di proprietà di Charles Finley. Si trattava di due lanciatori — il partente Vida Blue eilrelief pitcher Rollie Fingers — e dell’esterno sinistro Joe Rudi. Tutti veri campioni. (114) Cfr. — nel periodo in cui Landis era Commissioner del baseball — Milwaukee American Assoc. v. Landis. 49 F2d 298 (N.D. Ill. 1931). (115) Così C.A. PALMER, The Czar’s Court, cit. 247 e, per le note, 434. (116) Come detto, questo è il nome dato alla carta fondamentale della lega, in passato denominata « agreement ». (117) Sul potere disciplinare tradizionale del Commissioner nel baseball v. J.A. DURNEY, The Commissioner and Major League Baseball’s Disciplinary Process,inEmory L. J., 1992, 581 ss.

40 squadre associate nella Major League ed il sindacato dei giocatori (« to the process of collective barganining between the Clubs and the Major League Baseball Player Association »). Le cause di questo fenomeno di complessivo indebolimento del Commissioner sono senz’altro da ricondurre alla forza progressivamente assunta dal sindacato dei giocatori in tutte le leghe professionistiche. Nel caso della National Football League (NFL), basti dire che i difficili rapporti tra la lega e il sindacato hanno determinato l’instaurazione di molti giudizi di fronte alle Corti. Fra questi, svetta per importanza un processo in materia antitrust intrapreso dinanzi alla Corte distrettuale del Minnesota e poi definito con un accordo di conciliazione stipulato nel 1993 tra la Players Association e la NFL. Fra le clausole dell’accordo figurava anche la previsione relativa alla nomina giudiziale — per dirimere talune controversie che vi erano menzionate — di uno special master per la NFL. È così accaduto che — in attuazione di quell’accordo del 1993 — il giudice distrettuale del Minnesota (David Doty) ha nominato uno « spe- cial master »(118) (sia pure col consenso preventivo della lega — NFL — e del sindacato dei giocatori, NFLPA), vale a dire un « delegato » della Corte col compito di espletare talune attività (119). Chiaramente, le funzioni disimpegnate da questo soggetto (« special master ») sono valse — in vario modo — a circoscrivere le prerogative già spettanti al Commissioner della NFL, in numerosi casi ben noti al grande pubblico, coinvolgenti singoli giocatori (si pensi alle vicende di Terrell Owens, di Michael Vick e di Plaxico Burress (120)), o interessi di categoria (come quelli, ad esempio, connessi ai contratti televisivi). La natura dello special master ha poi introdotto una forma di pene- trante controllo giudiziale, spettante allo stesso giudice che ne aveva curato la nomina (121), cioè a David Doty del Minnesota. Il più noto special master (il terzo, scelto nel 2002) è stato un

(118) In attuazione di una clasuola di un previgente contratto collettivo fra la lega e il sindacato dei giocatori. In qualche modo, quindi, anche lo special master è il frutto della contrattazione collettiva. Sta di fatto, però, che la sua nomina spetta al Giudice, diversamente da quel che accade oggi con il System Arbitrator. (119) Non è questa la sede per illustrare la figura dello special master. Negli ultimi anni il più noto special master non è stato però quello della NFL, ma Kenneth Feinberg. I compiti (assai più seri) assegnatigli ruotano nell’ambito del VCT (Victim Compensation Fund, per i noti fatti dell’11 settembre 2001). Si tratta di un meccanismo che assegna ai prescelti un risarcimento in cambio della rinuncia ad agire in giudizio. (120) Nel caso di Owens, lo special master dovette decidere se il campione (wide receiver) poteva giocare con gli Eagles di Philadelhpia ancorché già ceduto ai Baltimore Ravens. Nel caso del quarterback Vick, se egli poteva trattenere un consistente bonus concessogli dagli Atlanta Falcons, dopo essere stato sospeso per attività illegali legate ai combattimenti dei cani. Nella vicenda di Burress, se il wide receiver poteva godere di un bonus concessogli dai New York Giants dopo stato sospeso per essersi accidentalmente sparato in una gamba in un night club. (121) Nel caso dei contratti televisivi, la decisione di Burbank sostanzialmente a favore della lega è stata ribaltata in sede di impugnazione dal giudice Doty (che, come detto, lo aveva elevato alla carica di special master).

41 professore di diritto (122) dell’Università della Pennsylvania, Stephen Bur- bank. L’attività di Burbank è proseguita nel tempo e sta continuando ancora adesso, anche se, alla base di essa, non vi è più la designazione giudiziale (della Corte del Minnesota e del giudice Doty) ma la base pattizia del vigente Collective Agreement (CBA) (123) della NFL, laddove contempla una nuova figura di arbitro (il cosiddetto System Arbitrator) chiamato in talune ipotesi a decidere al posto del Commissioner. Pertanto anche nell’attuale contratto collettivo del football professio- nistico della NFL si coglie, in modo distinto, il segno del processo generale in atto di contrazione dei poteri del Commissioner. L’art. 15, Sezione 1 del CBA prevede, difatti, la designazione ad opera delle parti (la lega e il sindacato dei giocatori) del « System Arbitrator », con « giurisdizione » esclusiva per la attuazione di talune specifiche parti del contratto collettivo che hanno una attinenza con la quantificazione del salario dovuto ai giocatori. Evidentemente, in rapporto a tali materie, i tradizionali poteri del Commissioner sono stati sostanzialmente annullati dal Collective Bargai- ning Agreement (CBA) con riferimento ad ogni fase del procedimento arbitrale. Tra l’altro, la supervisione dell’attività del System Abitrator è stata assegnata a un panel arbitrale apposito. Perciò in numerose controversie devolute in arbitrato, la decisione è in prima battuta oggi assegnata al professore di diritto Stephen Burbank (non più quale special master di David Doty, bensì nella sua qualità di “System Arbitrator” previsto dal CBA) e non a Roger Goodell, il Com- missioner della NFL. Le implicazioni di questa scelta si sono già in parte manifestate. Non soltanto la « giurisdizione » arbitrale di Burbank è stata esercitata (o comunque sollecitata) in un ampio spettro di liti — dalla controversia sull’assegnazione di un certo ruolo ad un giocatore (124), al c.d. « Bounty-

(122) Precisamente « Professor for the Administration of Justice ». (123) Non è rara la tesi secondo cui a Burbank (nel 2002 prescelto quale « special master » dal giudice Doty) sarebbe stato chiesto di continuare a fare (come « system arbitrator ») quel che faceva come « special master ». Il tema, pur interessante, fuoriesce dall’oggetto del presente scritto. Possiamo solo dire che capita spesso che i commentatori si riferiscano ancora oggi al ruolo di Burbank come se fosse ancora quello di special master. Da ultimo (alla fine di settembre del 2014) Doty ha deciso di astenersi dal trattare un processo (sul tema della collusione) fra NFL e NFLPA (che egli aveva già deciso in primo grado con pronunzia poi annullata in sede di appello). (124) Da un ruolo all’altro mutano anche i salari e scatta pertanto la « giurisdizione » arbitrale di Burbank (System Arbitrator). In un caso deciso in arbitrato il 2 luglio del 2014, il System arbitrator ha stabilito che il giocatore (dei New Orleans Saints) Jimmy Graham deve essere considerato un « tight end » in termini di « franchise tag purposes ». Se fosse prevalsa la tesi sostenuta nell’interesse del giocatore — che Graham (pur essendo formalmente schierato in campo come « tight end ») svolge in effetti i compiti di un « wide receiver » — la condizione economica complessiva del giocatore sarebbe stata migliore. La decisione arbitrale di Burbank si può leggere in http://www.nola.com/saints/index.ssf/2014/07/complete_ruling_from_stephen

42 Gate »(125), ecc. —, ma la esistenza di un « concorrente » del Commisio- ner ha spinto i giocatori ad eccepirne la « incompetenza » (126) nel corso del procedimento arbitrale, sulla premessa che ricorressero i presupposti per fondare il potere decisorio del System Arbitrator. Spicca perciò in questo sfondo — di complessiva riduzione dell’auto- rità del Commissioner — la previsione contenuta nel contratto collettivo del football americano (127) illustrata retro (art. 46 CBA) e relativa al procedimento arbitrale concernente le sanzioni disciplinari. Con l’art. 46 CBA cit., nella sostanza, l’associazione dei giocatori (NLFPA) ha restituito al Commissioner nella materia disciplinare poteri assai ampi, compreso quello di decidere circa la correttezza di una sua sanzione contro un giocatore, anche in sede di opposizione (appeal). Si può pensare ad un « ritorno al passato » conseguente — non già ad avvenimenti eccezionali come quelli che portarono negli anni venti del secolo scorso alla creazione del Commissioner nel baseball della MLB, ma piuttosto — ad una libera scelta dei giocatori e dei loro rappresentanti « sindacali ». Al posto della clausola generale dei « best interests » del gioco del baseball, vi è nella NFL — lo si è detto — l’obiettivo di reprimere condotte « detrimental to the integrity of, or public confidence in, the game of professional football », ma non può sfuggire che la genericità delle due formule è molto simile. I poteri che sono stati conferiti nel 2011 al Commissioner della NFL in materia disciplinare pertanto eguagliano, se non superano, quelli in

_b.html. Chi la legga, noterà che Burbank si preoccupa innanzi tutto di affermare la propria « giurisdizione » (nella nota 1 si legge infatti che « The enforcement of this provision of the CBA » — vale a dire l’art. 10, sez. 2, a,i, — « is within the exclusive jurisdiction of the System Arbitrator under Article 15, Section 1 »). (125) Sul quale v. infra il§7. (126) Nel c.d. Bounty-Gate, la strategia perseguita dai giocatori è stata, per l’appunto, di negare la « giurisdizione » del Commissioner ed affermare quella del System Abitrator. Nel caso di specie, Burbank ha però negato (nel giugno 2012) la propria giurisdizione ed affermato la giurisdizione del Commissioner quanto alla sanzione da lui inflitta ai giocatori dei Saints: cfr. in http://www.nfl.com/news/story/09000d5d8298de65/article/unions-bounty-grievance-against-n fl-rejected-by-arbitrator. (127) Sul potere disciplinare del Commissioner nelle altre leghe professionistiche v., per tutti, A. PACIFICI, op. cit., 94 ss. Anche le rules of procedure sono servite a frenare la discrezionalità del Commissioner. Nel baseball professionistico della MLB la forza frenante di tali regole di procedura è emersa spesso. Basti qui dire del celebre caso della squalifica irrogata al padrone dei New York Yankees (oggi deceduto) George Steinbrenner dall’allora Commis- sioner Fay Vincent. Gran parte delle contestazioni del primo nei riguardi dell’operato del secondo si concentrarono proprio sulla inosservanza delle regole di procedura. Tanto che Vincent, alla fine, si decise a revocarle. Cfr. il vivace racconto di B. MADDEN, Steinbrenner: The Last Lion of Baseball, New York, New York, 2010, rist. 2011, 325-326, 334-335. Quanto alle regole di procedura — che disciplinano il procedimento arbitrale — attualmente contemplate nella Major League Baseball v. l’allegato A al contratto collettivo stipulato fra la lega ed in sindacato dei giocatori (Basic Agreement 2012-2016): in http://www.ipmall.info/hosted_re sources/SportsEntLaw_Institute/2012MLB_MLBPA_CBA.pdf.

43 principio assegnati al Commissioner del baseball nel 1920, quel Giudice Kenesaw Mountain Landis che nei fatti impose alla Major League di scrivere sotto « dettatura » le regole del nuovo istituto. Però il Commissioner del 2014 non è più quello del 1920, che poteva agire con enormi poteri per la tutela dell’interesse generale del gioco in posizione di indipendenza dalla lega e dai giocatori. Oggi si tende a percepire l’attività del Commissioner come quella di un comune ammini- stratore (CEO) che si adopera per soddisfare le aspettative dei proprietari delle squadre associate nella lega (« on behalf of the owners »(128), quindi, sovente contro i giocatori). Sotto la lente d’ingrandimento dell’opinione pubblica statunitense, i poteri consegnati al Commissioner della NFL dall’art. 46 del contratto collettivo (CBA) del 2011 sono parsi eccessivi. Tanto che la lega ha creduto necessario intervenire (129), sia pure unilateralmente, sul procedi- mento arbitrale da seguire per irrogare le sanzioni disciplinari nel caso in cui il comportamento addebitato al giocatore rientri in un certo elenco (130). In ultimo, il 10 dicembre 2014 la National Football League ha deciso di approvare la nuova policy (The Personal Conduct Policy)(131) relativa alla condotta personale dei giocatori (e non solo (132)). Tra le numerose previsioni (133), merita segnalare quella con la quale si è (indirettamente) inciso — sia pure in parte qua — sull’art. 46 CBA, laddove, come sappiamo, la disposizione permette al Commissioner della NFL « to wear two hats »(134), dapprima impiegando il « cappello » della autorità che si attiva per indagare circa l’illecito, poi il « cappello » dell’arbitro che stabilisce, una volta che sia stata irrogata, se la sanzione inflitta al giocatore sia o meno corretta. Questa previsione è stata oggi eliminata, in relazione ai comporta-

(128) Impieghiamo l’espressione usata (con riguardo al baseball)daA.ZIMBALIST, Base- ball’s economic development, cit., 207. (129) Cfr. il quadro di M. A. MAHONE, Jr., Sentencing Guidelines for the Court of Public Opinion: An Analysis of the National Football League’s Revised Personal Conduct Policy,in Vand. J. Ent. & Tech. L., 2008, 181 ss. (130) Per la verità — nella ultima versione della policy — molto vasto, se non vastissimo. Vi è ricondotta anche la « domestic violence » insieme a moltissime altre condotte, illegali o legali che siano. (131) Cfr., in sintesi, in http://static.nfl.com/static/content/public/photo/2014/12/10/ 0ap3000000441677.pdf. (132) Applicabile a tutto il complesso mondo della NFL, non solo ai giocatori (la lista comprende « owners, coaches, players, other team employees, game officials, and employees of the league office, NFL Films, NFL Network or any other NFL business »). (133) Impossibile enumerarle. (134) Nel variegato mondo delle ADR statunitensi tale possibilità sussiste anche in capo al mediatore che voglia diventare poi arbitro nella stessa vicenda. Cfr, se vuoi, PANZAROLA A, Il d.lgs. n. 28 del 2010 tra mediazione ed arbitrato: Arb-Med, Med-Arb. e MEDALOA, in Materiali e commenti sulla mediazione civile e commerciale, a cura di R. Martino, Bari, 2011, 143 ss.

44 menti contemplati dalla citata Personal Conduct Policy del 10 dicembre 2014. Senza dubbio con questa innovazione si è voluto agire nella dire- zione di assicurare l’imparzialità dell’arbitro, precludendo al Commissio- ner di essere ad un tempo prosecutor e judge. Non a caso le reazioni suscitate negli osservatori sono state — almeno sul punto — positive ed hanno messo in secondo piano le perplessità destate da un intervento effettuato — sull’ambito di operatività di una clausola del contratto collettivo — senza coinvolgere l’associazione sindacale dei giocatori. Rimane irrisolta però, anche nel caso di comportamenti di « violenza domestica » (135), la questione più importante posta dall’art. 46 CBA: se è giusto che un arbitro (il Commissioner NFL) possa occuparsi anche del giudizio di opposizione (« appeal ») avverso la decisione già assunta dal medesimo soggetto — nella prima fase del procedimento arbitrale — di sanzionare il giocatore. De iure non si può dubitare ancora adesso che — nella situazione descritta — il Commissioner possa essere investito dell’opposizione (ap- peal) del giocatore (136) pur avendo già emesso la sanzione contro di lui. La condizione di parzialità che ne può derivare in capo al Commis- sioner finisce per essere al centro di discussioni che interessano milioni di americani. Né la cosa può stupire. In genere, lo sport occupa una porzione significativa della vita di ciascun cittadino (137) e rappresenta una quota ancor più cospicua della economia USA (138). In particolare, da tempo il football professionistico è lo sport più seguito negli Stati Uniti (139) ed il giorno del Superbowl è divenuto una

(135) Ma in genere per tutte le ipotesi contemplate dalla nuova policy. (136) Le opposizioni alle sanzioni irrogate continuano ad essere governate dall’art. 46 del « Collective Bargaining Agreement ». (137) Basti dire che un appassionato di sport nella media trascorre circa sei ore alla settimana in una delle varie piattaforme della ESPN (radio, TV, magazine, internet, mobile apps, ecc.). Se poi si ha a che fare con una persona che segue — come è frequentissimo — anche il variegato mondo del « fantasy sport », le ore salgono addirittura a 18: cfr. M. BERRY, Fantasy Life, New York, 2013, 11-12. (138) Il peso relativo è evidentemente difficile da quantificare. Per dire solo della punta dell’iceberg, si noti che le quattro leghe professionistiche statunitensi (« Big 4 », e cioè National Football League - NFL —, National Basketball Association - NBA —, National Hockey League -NHL—eMajor League Baseball - MLB) « bring in about $23 billion in revenue during a typical year »: v. Introduction to the Sports Industry, in http://www.plunkettresearch.com/sports- recreation-leisure-market-research/industry-and-business-data. (139) Da tempo il football professionistico della NFL ha strappato il primato al baseball della Major League. Non si è trattato di un fatto improvviso, ma ovviamente di un fenomeno realizzatosi gradualmente. Vi è però un episodio che ha per sempre mutato l’atteggiamento del pubblico americano nei confronti del football professionistico preparandone la straordinaria diffusione attuale. Vogliamo dire della finale (National Football League championship game) disputatasi il 28 dicembre 1958 fra i New York Giants ed i Baltimore Colts allo Yankee Stadium di New York (« The House That Ruth Built »: uno stadio famosissimo ma alcuni anni fa demolito per far posto — ancora nel Bronx e a pochissima distanza — al « nuovo » Yankee Stadium, inaugurato il 2 aprile 2009). Sulla importanza di tale partita (« The Greatest Game Ever Played ») per l’affermazione del football professionistico v., per tutti, M. MACCAMBRIDGE,

45 vera e propria festa nazionale (140). Sembra difficile dubitare che, se il baseball èl’America’s pastime (141), il football èl’America’s passion. E davvero poche cose (142) ne mettono in pericolo la posizione di straordi- naria forza.

7. L’attenzione di milioni di americani (143) si è perciò focalizzata sulle vicende di Ray Rice e ancor più di Adrian Peterson, sovente

America’s Game. The Epic Story of How Pro Football Captured a Nation, cit., IX ss. Si segnalano anche le pagine dedicate al tema nella classica biografia di Vince Lombardi di D. MARANISS, When Pride Still Mattered (1999), New York, rist. 2010, 185 ss. (spec. 189, dove l’a. nota che, con il suo touch down — che concluse l’incontro ai supplementari a favore della squadra di Baltimore —, il fullback dei Colts, Alan Ameche, « ran pro football to a place in the American consciousness that it had never been before »). Per una descrizione dell’evento incentrata sulla figura di Johnny Unitas, il celebre quarterback dei Colts, v. T. CALLAHAN, Johnny U. The Life and Times of John Unitas, New York, 2006, spec. 170 ss. (spec. 172-173: già subito dopo la conclusione della partita il Commissioner della NFL Bell comprese che si era dinanzi ad un evento epocale per la NFL: « this was a watershed for the NFL »). Il football professio- nistico della NFL ha superato per importanza anche il football praticato dagli studenti-atleti nel settore del dilettantismo: ancora oggi popolarissimo, il « college football » per lungo tempo era preferito al football professionistico, fra l’altro per i benefici sociali che venivano associati ad uno sport praticato da studenti delle università che organizzavano le competizioni. Cfr. J.S. WATTERSON, College Football. History, Spectacle, Controversy, Baltimore, 2000. (140)C.YABLON, On the contribution of baseball to American legal theory,inYale L. J., 1994, 227 ss.: « American football » — scrive l’a. — « has acquired a quasi religious significance » negli USA (ivi, 227). Sbagliano gli osservatori stranieri — lascia capire l’a. — che se ne disinteressano. Rischiano di non capire un aspetto centrale della società americana. (141) Sembra utile rammentare che alla affermazione del gioco hanno dato un contributo determinante anche gli italo-americani: cfr. il magnifico volume di L. BALDASSARO, Beyond DiMaggio. Italian Americans in Baseball, cit., dedicato ai giocatori italo-americani (celebri e non) nella Major League Baseball. Basti dire dei membri della Baseball’s Hall of Fame (Tony Lazzeri, Ernie Lombardi, Roy Campanella, Joe DiMaggio, Yogi Berra, Phil Rizzuto). Si ricordino pure, fra i managers, Lasorda, Torre, La Russa, Billy Martin. Fra i giornalisti dell’epoca d’ora del gioco (anni ’20) Paul Gallico, e nel prosieguo Harry Caray (alla nascita, Carabina) e Joe Garagiola (pure buon giocatore oltre che voce televisiva per molti anni). Di Giamatti si è già parlato retro alla nota 80. Infine, ogni appassionato di football NFL sa della origine italiana di Joe Montana e Dan Marino. (142) Non può essere taciuta la questione postasi attorno alla « natura » violenta del gioco del football: Mark FAINARU-WADA e Steve FAINARU, League of Denial: The NFL, Concussions and the Battle for Truth, New York, 2013 (dove sono evidenziati i silenzi e le contraddizioni della NFL sui danni al cervello provocati dal gioco agli atleti). (143) Consideriamo, per curiosità, solo i mesi di novembre e dicembre 2014 e limitiamoci alla programmazione della ESPN (Entertainment and Sports Programming Network). Non si contano le edizioni quotidiane di SportsCenter dedicate al tema. Due programmi televisivi molto seguiti — Pardon the Interruption (in breve, PTI)eAround the Horn (ATH) — hanno riservato ampio spazio alla problematica, soprattutto all’indomani della pubblicazione delle nuove direttive della NFL relative alle regole di condotta dei giocatori riguardo al problema della violenza domestica (« Personal Conduct Policy for domestic violence » del 10 dicembre 2014). Il progamma di giornalismo investigativo Outside the Lines (o anche OTL) ha appro- fondito a più riprese la questione nelle puntate del 12 novembre (dedicata in generale alle violenze domestiche delle quali si sono resi responsabili i giocatori della NFL),1e2dicembre (sulle specifiche vicende di Ray Rice e Adrian Peterson), 10 dicembre (sulle nuove regole della NFL dianzi ricordate sulla violenza domestica), 15 dicembre (sulle circostanze che hanno condotto a sanzionare Peterson ed in particolare su una telefonata — registrata segretamente e poi divulgata — fra il dirigente Troy Vincent e lo stesso Peterson), 17 dicembre 2014 (su Ray McDonald, « licenziato » dalla sua squadra a causa dei ripetuti atti di violenza compiuti dal giocatore ). E via seguitando.

46 accomunate a un altro notissimo episodio di alcuni anni fa (il c.d. « Bounty-Gate »(144)), ancorché le condotte addebitate ai giocatori in quest’ultimo caso non avevano niente a che vedere con la « violenza domestica » (off-field violence) e si riferivano invece ad un piano concer- tato (c.d. « pay-for-injury program ») per premiare gli atleti disposti a « far male » agli avversari on-field, sul campo da gioco (145). L’elemento comune in queste vicende è che il Commissioner della NFL (Roger Goodell) ha avviato il procedimento arbitrale (contemplato dall’art. 46 del contratto collettivo), raccolto gli elementi contro i giocatori ed irrogato lui stesso la sanzione disciplinare a loro danno. Per tutte e tre le vicende si è posto e si pone l’interrogativo se in questa maniera sia assicurata — e non sembra proprio che lo sia — l’imparzialità dell’arbitro, che pure disimpegni funzioni (arbitrali) asse- gnategli dalla normativa di settore ed in particolare dal contratto collettivo stipulato fra la lega ed il sindacato dei giocatori. Vi sono invece differenze — nei tre giudizi ricordati (contro Rice e Peterson e nel « Bounty-Gate ») — quanto alla fase successiva del proce- dimento arbitrale ed a proposito della persona incaricata di rivestire il ruolo di arbitro nel giudizio disciplinare avviato dall’appeal del giocatore contro la sanzione inflittagli. Nel caso del « Bounty-Gate », il Commissioner ha scelto (146) alla fine di nominare quale arbitro Paul Tagliabue, giudicato imparziale un po’ da tutti — compresa la associazione dei giocatori (147) — per quanto egli avesse per lungo tempo rivestito i panni del Commissioner (148) NFL. E,

(144) Sul quale v., per tutti, l’ampia disamina di A. PACIFICI, Scope and Authority of Sports League Commissioner Disciplinary Power: Bounty and Beyond, cit., 105 ss. (145) Alcuni giocatori dei New Orleans Saints (fra il 2009 and 2011) sono stati sospesi dal Commissioner NFL per la loro presunta partecipazione nel “Bountygate”. Alla fine di indagini iniziate nel 2010, gli atleti sospesi sono stati Jonathan Vilma (per l’intera stagione 2012), Anthony Hargrove (per otto partite), Will Smith (per quattro partite), and Scott Fujita (per tre partite). Le sanzioni sono state alla fine annullate dall’arbitro Tagliabue. Conviene segnalare il coinvolgimento nell’affare (e la conseguente sospensione irrogata dal Commissioner) di Gregg Williams (Defensive Coordinator dei Saints ed indicato come l’organizzatore del piano), dell’head coach Sean Payton, del general manager Mickey Loomis, dell’assistant head coach Joe Vitt. Sono stati multati anche i Saints (con la sanzione massima di $500,000), costretti pure a rinunziare alle scelte (second round picks) nei drafts NFL. (146) Per la verità soltanto dopo che la associazione dei giocatori aveva proposto ricorso in sede giurisdizionale contro la sua decisione arbitrale. Come è nella tradizione statunitense, si è istituito un « dialogo » fra la Corte federale e le parti, da cui è derivata la decisione del Commissioner (stimolata senz’altro dalla Corte) di utilizzare come arbitro un soggetto impar- ziale. Una volta ripreso il giudizio arbitrale dinanzi a Tagliabue, e una volta conclusosi questo giudizio con l’annullamento delle sazioni disciplinari, il sindacato dei giocatori ha abbandonato il processo di fronte alla Corte federale. (147) Anche se, a ben vedere, all’inizio la associazione dei giocatori aveva messo in discussione la imparzialità di Tagliabue per il ruolo di Commissioner rivestito negli anni (il suo vice era per di più stato proprio l’attuale Commissioner Goodell). (148) Cfr. M. MACCAMBRIDGE, America’s Game. The Epic Story of How Pro Football Captured a Nation, cit., spec. 379 ss. Già avvocato presso Covington & Burling (ivi, 346),

47 nel suo lodo dell’11 dicembre 2012, Tagliabue si è pronunziato (149)in favore dei giocatori « appellanti », annullando le sanzioni loro irro- gate (150). Quanto poi all’appeal contro la sanzione inflitta a Ray Rice, anch’esso è stato deciso da un arbitro (davvero) imparziale (151), Barbara S. Jones (già giudice distrettuale (152)), che ha accolto la opposizione (appeal) nel lodo arbitrale conclusivo del 28 novembre 2014 (153). L’insegnamento che si può trarre da questi due episodi è relativo tanto all’importanza del « disciplinary appeal » ex art. 46 CBA, quanto al peso decisivo che vi occupa la imparzialità dell’arbitro che vi sovrintende. Se l’arbitro chiamato a decidere la opposizione (appeal) dei giocatori (a mente dell’art. 46 CBA) è imparziale (come lo erano Jones e Taglia- bue), vi è la possibilità di porre rimedio alla sicura parzialità (154) del Commissioner allorché infligge la sanzione disciplinare all’atleta, pur avendo avviato ed istruito il procedimento arbitrale. In questo modo, per quanto imperfetto, il meccanismo arbitrale trova al suo interno un anti- doto efficace: la istituzionale « parzialità » del Commissioner è superata dalla imparzialità dell’arbitro designato a pronunciarsi sull’appeal, che può mettere nel nulla (155) la prima decisione arbitrale. Viceversa, se l’appeal è deciso dal Commissioner o da un suo incari- cato di fiducia legato alla lega — come è permesso ancora oggi dall’art. 46 coinvolto in numerosi giudizi (cinquanta almeno: ivi, 381) nell’interesse della lega, Tagliabue svolse un ruolo cruciale come consulente di Pete Rozelle (uno dei più importanti — se non il più importante — fra i Commissioner NFL). Gli successe infine come Commissioner il 6 novembre 1989 (e tenne la carica per diciassette anni). (149) Il lodo Tagliabue si può leggere in http://espn.go.com/photo/preview/121211/espn _bountyruling.pdf. (150) Nelle conclusioni del lodo (a pag. 22: v. nota prec.), è vero che si legge quanto segue: « I (vale a dire l’arbitro Tagliabue) affirm the factual findings of Commissioner Goodell; I (ancora Tagliabue) conclude that Hargrove, Smith, and Vilma engaged in ‘conduct detrimental to the integrity of, and public confidence in, the game of professional football’ ». Ciò che davvero conta, però, è che alla fine Tagliabue decide di annullare le sanzioni (di « vacate all player discipline »). (151) Stavolta il Commissioner non ha avuto bisogno (come nel « Bounty-Gate ») di essere « stimolato » da una Corte federale: si è subito accordato con il sindacato dei giocatori per nominare la Jones. (152) La circostanza che abbia svolto le funzioni di arbitro un ex-giudice distrettuale non deve ovviamente indurre a credere che vi sia stata una decisione di una Corte federale. Il grave equivoco si rinviene purtroppo nella pagina Wikipedia (in http://en.wikipedia.org/wiki/ Ray_Rice) dedicata a Ray Rice consultata il 27 dicembre 2014, dove si legge: « Rice appealed his indefinite suspension by the NFL in Federal Court, and won ». Niente di più falso. La vicenda di Rice (a differenza di quella di Adrian Peterson) si è definitivamente conclusa in sede arbitrale. Allo stato Rice, dopo aver vinto l’appeal,èunfree agent, libero di stipulare un contratto con qualunque squadra. (153) Il lodo Jones si può leggere in http://espn.go.com/pdf/2014/1128/141128_rice-sum mary.pdf. (154) Almeno secondo la nostra opinione. (155) Il che capita spesso: v. il lodo arbitrale di Barbara Jones, già citato retro alla nota 153.

48 CBA e dalla nuova policy della NFL del 10 dicembre 2014 dianzi illustrata —, tutto il sistema rischia di crollare sotto il peso di una doppia « parzia- lità »: dell’arbitro che infligge la sanzione e dell’arbitro chiamato a pro- nunciarsi (sull’appeal e quindi) sulla legittimità di essa. Ebbene, nell’episodio che ha coinvolto Adrian Peterson, il Commis- sioner (ancorché non abbia riservato a se stesso, come pure avrebbe potuto, le funzioni di arbitro nel giudizio di — appeal e cioè di — opposizione) ha comunque deciso di scegliere come arbitro — incaricato di decidere l’appeal del giocatore Peterson contro la sanzione inflittagli — una persona (Harold Henderson (156)) organicamente legata alla lega (NFL) (157). Con il suo lodo arbitrale, Henderson ha respinto la opposizione (appeal) di Peterson e confermato integralmente la sanzione irrogatagli (in esito alla prima parte del procedimento arbitrale) dal Commissioner della NFL Roger Goodell. Ne è seguito il 15 dicembre 2014 un ricorso (158) in sede giurisdizio- nale proposto dal sindacato dei giocatori (NFLPA) nell’interesse di Adrian Peterson (di fronte alla Corte distrettuale del Minnesota). Tale ricorso si innesta sulla censura di « parzialità » dell’arbitro designato dal Commissioner Goodell per decidere l’opposizione del giocatore. Chi legga il ricorso del sindacato (159) ricava la netta impressione che la questione dell’imparzialità, per quanto ampiamente trattata, non lo sia abbastanza. Il che non è difficile da comprendere, se si rammenta che l’art. 46 del contratto collettivo — dal quale discendono gli amplissimi poteri del Commissioner nell’ambito del procedimento arbitrale per la irroga- zione della sanzione disciplinare (160) — è stato inserito solo pochi anni fa proprio dal sindacato dei giocatori: quello stesso sindacato che adesso intraprende il giudizio dinanzi alla Corte del Minnesota nell’interesse di Peterson contro la NFL. Di qui lo sforzo — ma anche l’estrema difficoltà — del sindacato ricorrente di dimostrare che le specifiche circostanze del caso (161), per la loro gravità, sfuggono alla stessa logica che ispira l’art. 46 CBA.

(156) Per molto tempo « NFL Executive », a capo delle relazioni in materia di lavoro con il sindacato dei giocatori. (157) Henderson non ha aderito alle richieste avanzate sia da Peterson che dal sindacato dei giocatori. Non si è astenuto. (158) Traduciamo liberamente il termine « petition ». (159) Cfr. « Redacted petition to vacate arbitration award »: disponibile in formato pdf in internet (in https://nflpaweb.blob.core.windows.net/media/Default/NFLPA/12.15.14%20redac ted%20petition.pdf). (160) Nella sua decisione sull’appeal di Ray Rice, Barbara Jones allude (a pag. 16 del lodo citato retro alla nota 153) alla « broad deference afforded to [Commissioner Goodell] through Article 46 [of the CBA] ». (161) Le particolarità del caso — quali descritte nel ricorso del sindacato dei giocatori — sono sostanzialmente le seguenti: a) il fatto che il Commissioner aveva reso una testimonianza nel precedente caso di Ray Rice su fatti rilevanti anche nel giudizio contro Peterson; b) il fatto poi — del tutto inusuale — che il Commissioner aveva collocato Peterson in una lista speciale,

49 La designazione di Henderson — sostiene in definitiva l’associazione dei giocatori — ha leso il diritto di Adrian Peterson ad essere giudicato da un arbitro imparziale nella sua opposizione in materia disciplinare (« di- sciplinary appeal »). Ancora più dell’altra censura — con la quale il sindacato ricorrente (NFLPA) si duole di fronte alla Corte federale del Minnesota dell’appli- cazione retroattiva della « New Policy » (menzionata in precedenza) in tema di « personal conduct » del giocatore —, la contestazione della parzialità dell’arbitro appare molto seria. Ma non è detto che la serietà della contestazione sia sufficiente per ottenere una decisione favorevole da parte del Giudice federale e non solo a causa dell’ampia formula contenuta nell’art. 46 del contratto collettivo (CBA) o dei poteri assegnati al Commissioner dalla « Costituzione » del football NFL, in linea con le « Costituzioni » delle altre leghe professio- nistiche, ad iniziare da quella della MLB (162). e cioè nella c.d. Commissioner’s Exempt List; c) il fatto infine che Troy Vincent (NFL Executive Vice President) aveva anticipato (in una telefonata privata poi resa pubblica: v. retro nota 143) a Peterson — quando ancora il procedimento arbitrale era in corso — che, se avesse collaborato, sarebbe stato sospeso solo per due partite. (162) È stato ricordato in precedenza il caso dell’annullamento, da parte del Commis- sioner Bowie Kuhn, della cessione di tre giocatori eseguita da Finley, proprietario degli A’s. La decisione del 18 giugno 1976 era motivata sulla base della generica formula dei « best interests » del baseball. Secondo il Commissioner, la cessione di tali giocatori fortissimi (Rudi e Fingers ai Red Sox, Vida Blue agli Yankees: G.D. HAILEY, Baseball and the Law, in Total Baseball, Completely Revised and Updated: The Ultimate Baseball Encyclopedia, 8ª, cit., 579) avrebbe alterato l’equilibrio del campionato di baseball. L’intervento del Commissioner era assoluta- mente originale. Neanche Landis, il primo Commissioner, aveva mai osato tanto. Né si poteva con certezza dire se i presupposti invocati da Kuhn fossero davvero presenti. Si noti in particolare che, se è vero che la squadra degli Oakland A’s aveva vinto per tre anni consecutivi le World Series (1972, 1973 e 1974), è altrettanto sicuro che, poco tempo prima, Finley aveva ceduto (nell’aprile del 1976) agli Orioles altri due « pezzi » importanti del gruppo dei campioni (Ken Holtzman e Reggie Jackson, divenuto poi celebre, con gli Yankees, come « Mr October »: cfr., su questo episodio, evidentemente importante per capire il senso della successiva decisione del Commissioner,B.MARKUSEN, Baseball’s Last Dynasty, cit., 389-390; per di più dopo la conclusione della stagione 1974 il lanciatore James « Catfish » Hunter era già passato agli Yankees: ivi, 345). In ogni caso, bloccato il trasferimento dei giocatori (del giugno 1976) dal Commissioner, gli A’s « rischiarono » di vincere l’American League West nello stesso anno, giungendo secondi dietro ai Royals. In questo contesto, va valutato il successivo intervento delle Corti sulla decisione del Commissioner Kuhn. Il primo Giudice (McGarr) evocò gli ampi poteri conferiti dalla Costituzione del baseball al Commissioner, con la clausola secondo cui egli può perseguire gli « interessi » del gioco. Da tale decisione non si discostò il Giudice di appello (« United States Court of Appeals, Seventh Circuit », in Charles O. Finley & Co. v. Kuhn, cit., in Baseball and The American Mind, cit., spec. 143 e 144) che riconobbe — in sintonia con la Corte inferiore — la « broad authority expressly given by the Major League Agreement » — oggi « Constituion »—«to the Commissioner »(ivi, 145). Si aggiunga, infine, per completezza, che il declino degli anni successivi degli Oakland Athletics dipese da altre e più generali ragioni, vale a dire dalla introduzione della free agency su larga scala, che svuotò gli A’s dei suoi talenti (nel 1977, ad esempio, gli A’s arrivarono ultimi nella AL West con una squadra largamente modificata; v., sul punto, la sintetica ricognizione di D. SCHOENFIELD, The strange saga of the 1978 Oakland A’s, in http://espn.go.com/blog/sweetspot/post/_/id/46880/the-strange-saga-of-the-1978- oakland-as). Si confermava in questo modo una tradizione di questa celebre squadra, nota per raggiungere il picco e poi ripiombare nel fondo della classifica. Era già accaduto due volte quando

50 8. Non è ovviamente la prima volta che una decisione arbitrale emessa in ambito sportivo viene impugnata di fronte alle Corti (163). Dopo tutto, fin dal celeberrimo lodo arbitrale con il quale Seitz abolì la famige- rata clausola di riserva (164) si assiste al tentativo di ottenere l’annulla- mento del verdetto arbitrale ad opera di un Giudice. Ma le Corti, in questo caso fondamentale, ed in molti altri (165)— dalle sanzioni inflitte ai giocatori, alle controversie di lavoro stricto sensu,

gli A’s (gli « Athletics », meglio) erano collocati a Philadelphia (cfr. W.C. KASHATUS, The Phila- delphia Athletics, Charleston, S.C., 2002; D.M. JORDAN, The Athletics of Philadelphia. Connie Mack’s White Elephants. 1901-1954, Jefferson, N.C., 1999, 42 ss. — sulla prima « dinastia », dal 1910 al 1914 —, 107 ss., sulla seconda, per il periodo 1929 e 1931; R. NEYER eE.EPSTEIN, Baseball Dynasties. The Greatest Teams of All Time, New York-London, 2000, 45 ss. e 112 ss., rispetti- vamente sui Philadelphia Athletics del 1911 e del 1929; su quest’ultima squadra v. W.C. KASHATUS, Connie Mack’s ’29 Triumph. The Rise and Fall of the Philadelphia Athletics Dynasty, Jefferson, N.C., 1999; B TOPEL, The Story of the 1929-31 Philadelphia Athletics, 2011). A Philadelphia gli Athletics rimasero dall’anno della fondazione (1901) al 1954, giocando nel celebre Shibe Park (poi ribattezzato « Connie Mack Stadium »: R. WESTCOTT, Shibe Park-Connie Mack Stadium, Char- leston, S.C., 2012). Gli Athletics si spostarono poi a Kansas City (per restarvi sino al 1967: per un certo periodo gli A’s operarono nella sostanza come « farm team » dei potenti New York Yankees, sino a quando Charles O. Finley rilevò la gloriosa franchigia dal precedente proprietario Arnold Johnson: v. J. KATZ, The Kansas City A’s & The Wrong Half of the Yankees, Hingham, 2007). Arrivarono ad Oakland nel 1968. Si consideri, infine, che alla origine del tradizionale andamento altalenante degli « Athletics » sul campo di gioco, vi era una straordinaria figura di giocatore, allenatore e dirigente (padrone e manager della squadra per i suoi primi cinquant’anni, sino al 1950), Connie Mack (uno di quei caratteri che gli americani chiamano « larger than life »): su Cornelius McGillicuddy, Sr. — meglio noto come Connie Mack (« Mr Baseball »o«the Grand Old Man of Baseball ») — v. l’imponente lavoro di N.L. MACHT, Connie Mack and the Early Years of Baseball, Lincoln and London, 2007, con prefazione di Connie Mack III (sul primo periodo di vita sportiva di Mack, sino al 1914). Per il periodo successivo sino al 1931 (quando Mack costruì la squadra che molti ritengono la più forte di sempre, con i vari Foxx, Simmons, Cochrane, Grove, Earnshaw, Miller, Haas, Bishop, Dykes, ecc.) v. ID., Connie Mack: The Turbulent and Triumphant Years, 1915-1931, Lincoln and London, 2012. Utile e divertente è il volume autobiografico di C. MACK, My 66 Years in the Big Leagues, Philadelphia, 1950, rist. Mineola, N.Y., 1999, con una nuova introduzione di R. Wescott (e un eccellente apparato fotografico, nel quale figura anche il Com- missioner Landis); v. anche From Sandlot to Big League. Connie Mack Baseball Book, Phila- delphia, 1950, 2ª rivista 1960. (163) Altra cosa è notare che di fronte alle Corti si è svolto negli ultimi decenni il conflitto fra le leghe ed i sindacati dei giocatori. Ciò è accaduto molto spesso anche nel football della NFL. Si è dianzi ricordato il ruolo svolto sin dal 1993 — per la gestione di tali controversie — dal giudice distrettuale del Minnesota, David Doty. Si sono offerti poi, in precedenza, numerosi esempi in materia antitrust. (164) Il lodo Seitz fu confermato in sede di appello: Kansas City Royals Baseball Corp v. Major League Baseball Players Ass’n, 532, F.2d 615 (8th Cir. 1976). (165) Ed anche quando i Giudici di appello hanno ribaltato la decisione arbitrale è capitato che la Corte Suprema USA abbia « cassato » la pronunzia di secondo grado, riportando in vita il lodo originario. Per un caso celebre, relativo alla pretese condotte collusive tenute dai proprietari delle squadre di baseball, cfr. J. PERRON, Administrative Law — Courts’ Scope of Review of Arbitration Decisions — Supreme Court Overturns the Ninth Circuit’s Rejection of the Arbitration Panel’s Decision That Found No Collusion Activities by the Baseball Owners — Major League Baseball Players Ass’n v. Steve Garvey, 121 S.Ct. 1724 (2001), in Seton Hall J. Sport L., 2002, 131 ss. L’autore — nel commentare l’esito del giudizio intrapreso da Steve Garvey — osserva (ivi) che la Corte Suprema ha ribadito (in contrasto con il giudice di appello) principi consolidati, i quali, se fossero stati abbandonati, avrebbero posto in pericolo l’arbitrato sportivo. V. altresì T. LIPINSKI, Major League Baseball Players Ass’n v. Garvey Narrows the Judicial Strike Zone of Arbitration Awards,inAkron L. Rev., 2003, 325 ss.

51 comprese quelle salariali, ecc. —, hanno esibito estrema cautela nel sindacare i lodi arbitrali sportivi, procedendo al loro annullamento solo in ipotesi molto particolari. Al quadro dei principi ai quali le Corti si sono nel tempo riferite, ubbidisce adesso anche la controversia che vede coinvolto Adrian Peter- son, una volta che il sindacato dei giocatori (NFLPA) ha assunto — come ricordato — l’iniziativa di impugnare il lodo arbitrale emesso da Hender- son (la persona, come detto, delegata dal Commissioner della NFL per decidere l’appeal del giocatore sanzionato) di fronte alla Corte distrettuale del Minnesota. Le ragioni dell’atteggiamento delle Corti — di « rispetto » verso i lodi — sono numerose e non è qui possibile enumerarle. Alcune sono legate alle « eterne » peculiarità delle competizioni sportive (166). Altre discen- dono dalle particolari condizioni storiche che hanno attratto negli Stati Uniti le controversie legate allo sport nell’ambito dell’ordinamento lavo- ristico generale. A quest’ultimo proposito merita sottolineare — una volta di più — la circostanza che il procedimento di arbitrato obbligatorio in vigore nello sport professionistico statunitense, in generale, e nel football della NFL in particolare, è il frutto di contratti collettivi stipulati fra associazioni private (le leghe da un lato, i sindacati dei giocatori dall’altro) e sottoposti alla comune regolamentazione lavoristica. Ora, nei confronti dei lodi arbitrali emessi nel contesto della contrat- tazione collettiva, le Corti manifestano — per lunga consuetudine — uno spiccato self-restraint o, come spesso si dice, una vera e propria « defe- rence ». Il « rispetto » per il lodo si arresta, beninteso, se vi è stato un evidente « tradimento » dello « spirito » del contratto (167) ovvero quando l’arbitro

(166) Le quali, per intima natura, in ogni luogo, per poter funzionare debbono esibire il connotato — in vario grado e misura — delle autonomia. Per una penetrante indagine sul punto, connessa alle ragioni che sconsigliano di sottoporre a judicial review le contravvenzioni alle regole del gioco, C.H. CLANCY e J.A. WEISS, A Pine Tar Gloss on Quasi-Legal Images, già in Cardozo L. Rev., 1984, ora in in Baseball and the American Legal Mind, cit., 45 ss. Le considerazioni degli autori posseggono un valore generale per l’ordinamento sportivo, quan- tunque traggano origine da un accadimento altrettanto specifico che noto, il c.d. Pine Tar Case (verificatosi allo Yankee Stadium di New York il 24 luglio 1983, quando un fuori campo di George Brett venne annullato dall’arbitro per pretesa violazione della regola del gioco 1.10, che prescrive fino a quale punto della mazza — non più di 18 inches — può essere applicata una qualunque sostanza — pine tar compresa — per migliorare la presa del battitore). Non meno argute paiono le pagine al riguardo di J.T. FINKELSTEIN, In Re Brett: The Sticky Problem of Statutory Construction, ivi, 34 ss. (e già in Fordham L. Rev., 1984). (167) Viene qui in rilievo la c.d. « law of the shop » (di cui si dirà infra in questo paragrafo). Cfr. Trailways Lines, Inc. v. Trailways, Inc. Joint Council, 807 F.2d 1416, 1426 (8th Cir. 1986); United Paperworkers Int’l Union v. Misco, Inc., 484 U.S. 29, 38 (1987); nonché le già citate United Steelworkers v. Warrior & Gulf Navigation Co., 363 U.S. 574, 581-82 (1960) e United Steelworkers of America v. Enterprise Wheel & Car Corp., 363 U.S. 593, 597 (1960).

52 eccede dai confini dei poteri attribuitigli dal contratto collettivo (168). E non solo. Ad esempio, mentre le Corti riconoscono ampia autonomia all’arbitro circa le modalità da impiegare per trattare il procedimento ed emettere il lodo (169), al contempo il sindacato giudiziale colpisce le più gravi violazioni del due process (170) e le decisioni manifestamente arbi- trarie (171) che ne risultino. Per questo motivo si giunge all’annullamento del lodo arbitrale se la Corte rinviene « fundamental unfairness and misconduct »(172) nell’operato degli arbitri. Questo perché il rispetto dovuto all’arbitrato non può spingersi sino al punto di « convalidare » decisioni che vi sono state ottenute senza osservare i « requisites of fairness or due process »(173) o senza assicurare un « fair hearing »(174). Cosa rimarchevole, anche l’evidente parzialità dell’arbitro può con- durre all’annullamento del lodo arbitrale (175), vuoi in dipendenza dei suoi legami sostanziali con una delle parti (ad es. nella forma di « substantial interest » in una società in affari con i soggetti in arbitrato (176)), vuoi in contemplazione della condotta complessiva dell’arbitro (ad es. nella forma di omissione nella esposizione di dati rilevanti ai fini della valutazione della sua condizioni soggettiva (177)), ecc. L’esame compiuto sin qui può perciò servire per esprimere una valutazione circa il ricorso di Adrian Peterson pendente dinanzi alla Corte del Minnesota. Se è infatti esatto che la normativa di settore (178) consente espressamente — nella situazione descritta — al « capo » della lega (il Commissioner NFL Roger Goodell) o al suo « delegato » (nel caso di

(168) Doerfer Eng’g, a Div. of Container Corp. of Am. v. N.L.R.B., 79 F.3d 101, 103 (8th Cir. 1996). (169) L’idea di fondo è legata alle differenze fra i compiti dell’arbitro e quelli di una comune Corte. L’arbitro « is not a public tribunal imposed upon the parties by superior authority which the parties are obliged to accept ». Egli è « rather part of a system of self-government created by and confined to the parties »: v. United Steel Workers of Am. v. Warrior and Gulf Nav. Co., cit., 574, 581. Ciò che rileva è la« flexibility in meeting a wide variety of situations ». Alla fine deve prevalere la volontà decisoria dell’arbitro, che deve mirare« to bring his informed judg- ment to bear in order to reach a fair solution of a problem »: cfr. United Steel Workers of Am. v.Enter. Wheel and Car Corp., cit., 593, 596. (170) El Dorado Sch. Dist. No. 15 v. Cont’l Cas. Co., 247 F.3d 843, 848 (8th Cir. 2001); Tempo Shain Corp. v. Bertek, Inc., 120 14 F.3d 16, 20-21 (2d Cir. 1997); Kaplan v. Alfred Dunhill of London Inc., No. 96 Civ. 0258(JFK), 1996 WL 640901, at *7 (S.D.N.Y. Nov. 4, 1996). (171) Qi Xing Huang v. Bureau of Citizenship & Immigration Servs., 269 F. App’x 138, 139 (2d Cir. 2008). (172) Cfr. Tempo Shain Corp. v. Bertek, Inc., cit. retro in nota 170. (173) Cfr. Kaplan v. Alfred Dunhill of London Inc., cit. retro in nota 170. (174) Cfr. El Dorado Sch. Dist. No. 15 v. Cont’l Cas. Co., cit. Retro in nota 170. (175) Commonwealth Coatings Corp. v. Cont’l Cas. Co., 393 U.S. 145, 147, 150 (1968); Olson v. Merrill Lynch, Pierce, Fenner & Smith, Inc., 51 F.3d 157, 159 (8th Cir. 1995); Williams v. Nat’l Football League, 582 F.3d 863, 885 (8th Cir. 2009). (176) Cfr. Olson v. Merrill Lynch, Pierce, Fenner & Smith, Inc., cit. alla nota precedente. (177) Cfr. Williams v. Nat’l Football League, cit. retro in nota 175. (178) In primis — come detto — le clausole del contratto collettivo (Collective Bargaining Agreement, CBA) stipulato fra la National Football League Players Association (NFLPA) e la lega (NFL) nel 2011.

53 specie Harold Henderson) di assumere l’incarico di arbitro (art. 46 CBA), non è però sicuro se tale possibilità (pur concordata tra la lega e il sindacato dei giocatori) si concilii con quei principi tramandati testè ricordati (e che disciplinano il sindacato giudiziale dei lodi arbitrali) e se possa quindi essere tollerata dall’ordinamento generale. Si noti inoltre che le conclusioni tratte sin qui sono confortate anche dalle prescrizioni del « Federal Arbitration Act » e in particolare dal suo § 10, che fissa le condizioni per ottenere da una Corte l’annullamento di un lodo arbitrale. La sua applicabilità all’arbitrato lavoristico (e pertanto a quello sportivo) ha spinto l’associazione dei giocatori a fondarvi (179)il ricorso giurisdizionale di fronte alla Corte del Minnesota (180). Ora, il citato § 10 del FAA stabilisce — alla lettera (a) — che su richiesta della parte interessata il Giudice adito può emanare « an order vacating the award », fra l’altro quando il lodo è frutto di frode o corru- zione (se sia procurato, in altri termini, « by corruption, fraud, or undue means »(181)), o se gli arbitri abbiano ecceduto dai limiti dei poteri loro conferiti (precisamente se essi « exceeded their powers, or so imperfectly executed them that a mutual, final, and definite award upon the subject matter submitted was not made »(182)). L’esigenza che siano assicurate le garanzie essenziali del due process è alla base della previsione del § 10 del FAA secondo la quale il lodo può essere annullato quando « arbitrators were guilty of misconduct in refusing to postpone the hearing, upon sufficient cause shown, or in refusing to hear evidence pertinent and material to the controversy; or of any other misbe- havior by which the rights of any party have been prejudiced »(183). In collegamento con questa disposizione, viene fatta assurgere — dal § 10 del FAA citato — a causa di annullamento del lodo anche la situazione di « evidente » parzialità dell’arbitro (in caso — per dir meglio —di«evident partiality or corruption in the arbitrators, or either of them »(184)).

(179) Insieme al § 185 del già citato Labor Management Relations Act (« Suits by and against labor organizations »). La lettera c) delinea le regole in punto di giurisdizione. La lettera a) abilita le organizzazioni sindacali ad agire in giudizio in caso di violazione contrattuale (« Suits for violation of contracts between an employer and a labor organization representing employees in an industry »«or between any such labor organizations »«may be brought in any district court of the United States having jurisdiction of the parties, without respect to the amount in controversy or without regard to the citizenship of the parties »). (180) Cfr. l’atto giudiziario del sindacato dei giocatori nel caso Peterson citato retro in nota 159. (181) Sezione 10, § 10, lett. a) n. 1. (182) Sezione 10, § 10, lett. a) n. 4. (183) Sezione 10, § 10, lett. a) n. 3. (184) Sezione 10, § 10, lett. a) n. 2.

54 Tanto chiarito sul piano generale, si vorrà sapere quale sia l’origine della posizione restrittiva delle Corti statunitensi nella specifica materia dei rapporti di lavoro (comprensiva — per quanto detto — anche delle relazioni arbitrali nell’ambito dello sport professionistico). In tale settore (185), la « deference » delle Corti verso i lodi arbitrali discende da varie ragioni (186), in vario modo legate all’efficienza ed effettività dell’arbitrato. Anzitutto, la rapidità delle decisioni garantita dal ricorso alla via arbitrale concorre ad assicurare la stabilità delle relazioni industriali più di quanto sarebbe permesso dalla instaurazione di giudizi di lunga durata dinanzi alle Corti. Poi, la speciale competenza degli arbitri — rispetto alle cognizioni generali possedute dai giudici — favorisce la definizione di controversie nelle quali la discussione verte su questioni d’interpretazione di previsioni contrattuali elaborate con linguaggio altrettanto tecnico che settoriale. Per di più, nel disimpegnare tale compito occorre, non soltanto considerare il testo delle clausole del contratto, ma utilizzare anche i principi non scritti intorno ai quali si è strutturato nel tempo il rapporto tra le parti collettive contraenti: tali principi, per quanto in continua evolu- zione, sono ricavabili dai lodi arbitrali già resi ed anche dagli accordi raggiunti a composizione di una vertenza in un certo settore. Se a ciò si aggiunge che sovente si tratta « principi » riferibili a contesti lavorativi molto particolari, si capisce che è più che mai opportuno, per non dire indispensabile, il coinvolgimento quali arbitri di soggetti (diversi dalle comuni Corti) che, per le proprie esperienze maturate o per gli studi condotti o per aver ricoperto in passato il ruolo di arbitro, siano in

(185) Cfr., senza pretese di completezza, in termini generali, H.T. EDWARDS, Judicial Review of Labor Arbitration Awards: The Clash Between the Public Policy Exception and the Duty to Bargain, Chi.-Kent L. Rev., 1988, 3 ss.; C.B. CRAVER, Labor Arbitration as a Continua- tion of the Collective Bargaining Process,inChi.-Kent. L. Rev., 1990, 571 ss.; M.H. MALIN, The Evolving Schizophrenic Nature of Labor Arbitration,inJ. Disp. Resol., 2010, 57 ss.; E. SPOSITO, The Evolution and Enforceability of Pre-Dispute Agreement to Arbitrate Statutory Claims,in Rutgers Conflict Resol. L.J., 2010, 1 ss.; E. ROMA, Mandatory Arbitration Clauses in Employment Contracts and the Need for Meaningful Judicial Review,inAm. U.J.Gender, Soc. Pol’y & L., 2004, 519 ss.; J. GIESBRECHT-MCKEE, The Fairness Problem: Mandatory Arbitration in Employ- ment Contracts,inWillamette L. Rev., 2014, 259 ss. Sulla evoluzione della posizione della Corte Suprema circa la contrattazione collettiva (la interpretazione delle clausole non meno che la loro esecuzione) è proficua pure la consultazione di L.L. FULLER, Collective Bargaining and The Arbitrator, in Wis. L. Rev., 1963, 8 ss.; D.P. O’GORMAN, Promises, Policies, and Principles: The Supreme Court and Contractual Obligation in Labor Ralations,inCornell JL & Pub. Pol’y, 2012, 93 ss. Ci è stato utile pure (anche per il confronto con due significativi ordinamenti europei) C.D. RASNIC eR.RESCH, Limiting High Earnings of Professional Athletes: Would the American Concept of Salary Caps be Compatible with Austrian and German Labor Laws?,inWillamette Sports LJ, 2010, 57 ss.: pur se affronta il tema del salario nei vari sport professionistici, il testo è ricco di informazioni generali (ed indugia sul diritto europeo come limite al c.d. salary cap: ivi, 68 ss.). (186) Che non si rinvengono nel caso di clausole arbitrali inserite in contratti individuali di lavoro.

55 condizione di padroneggiare quei principi, felicemente denominati nel linguaggio corrente « common law of the shop » (o semplicemente « law of the shop »). Si riannodano facilmente a queste peculiari qualità soggettive degli arbitri — alla loro « industrial expertise » — altri vantaggi attribuiti all’ar- bitrato in materia di lavoro nella cornice della contrattazione collettiva, che sarebbero altrimenti difficili da comprendere se non come espedienti retorici. Quando si dice, ad esempio, che gli arbitri possono decidere meglio di come farebbe una Corte perché quelli, ma non questa, possono agire così come agirebbero le parti per risolvere la controversia insorta tra loro; o quando si afferma che solo gli arbitri possono penetrare lo « spirito del contratto », si introducono nel discorso senz’altro delle finzioni, che ri- specchiano però un dato certo alla base della fortuna del rimedio arbitrale e del rispetto che le Corti nutrono — in linea di principio — verso i lodi: vogliamo dire del convincimento diffuso secondo il quale, se queste ultime (le Corti) sono chiamate ad applicare « the law of the land », a quegli altri (gli arbitri) tocca sovrintendere alla attuazione di quella congerie di elementi di varia estrazione che, come « law of the shop », con la forza del principio, integrano le disposizioni espresse del contratto collettivo. Per il reperimento di quegli elementi con valore normativo, non meno che per la loro adeguata interpretazione, la « industrial expertise » degli arbitri costituisce una condizione essenziale, che decreta il successo dello stru- mento arbitrale. Nello specifico settore delle controversie di lavoro nello sport questa circostanza testè riferita acquista, se possibile, un’importanza ancora maggiore. Si potrebbero addurre numerosi esempi per dimostrarlo, il più importante dei quali è probabilmente il procedimento arbitrale (cosid- detto « salary arbitration ») impiegato nel baseball professionistico statu- nitense (Major League Baseball) per determinare il compenso del gioca- tore (187). Nella scelta degli arbitri ad opera delle parti è molto grande il rilievo assegnato al loro bagaglio di conoscenze e all’esperienza acquisita nella decisione di casi simili, per l’ovvia ragione che la natura della controversia trattata impone di tenere conto di numerosi fattori legati al funzionamento del mercato del « lavoro » nel particolarissimo mondo del baseball. E tali fattori non sono conosciuti evidentemente da tutti, ma sono appannaggio di un ristretto gruppo di specialisti. Peraltro, quando si passi dal piano dei principi non scritti a quello dei

(187) Cfr., se vuoi, per più ampia svolgimenti, A. PANZAROLA, Il « salary arbitration » nella Major League Baseball (MLB), tra « final offer method » e « judicial notice of sorts », cit., 13 ss. Il procedimento è regolato dalle clausole del contratto collettivo stipulato fra l’Associazione dei giocatori e la Lega. La selezione degli arbitri è annualmente opera della Associazione dei giocatori e del Major League Baseball Labor Relations Department (LRD).

56 fatti specifici rilevanti ai fini della decisione, quella che appariva una condizione di favore per la scelta dell’arbitro può talora tramutarsi nella premessa per contestarne l’autorità. Si pensi al caso ricorrente in cui i componenti del panel arbitrale acquisiscano le loro informazioni dalla lettura o dall’ascolto di « media reports ». Ancora più grave è la questione che si pone se, anziché di notizie di pubblica conoscenza — capaci di assurgere al grado di fatti notori (188) —, si sia in presenza di fatti di privata conoscenza. È facile intuire che questa problematica di rilievo generale acquista nei riguardi degli arbitri — prescelti per le loro specifiche qualità subiet- tive — un posto centrale (189). Negli arbitrati che si innestino su clausole di un contratto collettivo di lavoro, la importanza della questione è ancora maggiore, ed è massima nel campo dello sport professionistico statuni- tense, come testimonia pure la recentissima vicenda di Adrian Peter- son (190), nella quale l’addebito all’arbitro di avere impiegato fonti di conoscenza « personali » serve quale ulteriore premessa per lamentarne la parzialità di fronte alla Corte del Minnesota.

9. In definitiva, l’eccezionalità della previsione contenuta nell’art. 46 del contratto collettivo (CBA) concluso fra NFL (lega dei proprietari delle squadre di football) e NFLPA (sindacato dei giocatori) dipende da molti fattori. Anzitutto tale clausola contrattuale profila un procedimento arbitrale per il football professionisitico che ruota intorno al particolarissimo « uf- ficio » del Commissioner, nato nell’ambito del baseball della Major League e poi impiegato anche nelle altre leghe (NBA e NHL), compresa soprat- tutto la NFL. Se è vero che è difficile immaginare due sport più diversi fra loro del baseball e del football — le regole secolari (191) in lentissima e sorvegliata

(188) Sulla estensione del concetto di « notorio arbitrale » v., se vuoi, A. PANZAROLA, Arbitrato e « fatto notorio »,inSull’arbitrato. Studi offerti a Giovanni Verde, Napoli, 2010, 603 ss.; nonché, sulla nozione base, ID., Notorious Fact in Italian Law,inMegatrend Review, The international review of applied economics, 2010, 69 ss. (189) V. le note che precedono. (190) Non possiamo indugiare sul punto. Merita comunque segnalare che, nel ricorso giurisdizionale (retro nota 159) contro la sanzione irrogata in grado di appello contro Adrian Peterson, la associazione dei giocatori (che ha agito in giudizio a favore di Peterson) osserva, fra le altre cose, che l’uso indebito di informazioni da parte dell’arbitro ha inciso sulla sua imparzialità: « The fact that Arbitrator Henderson dismissed what Mr. Peterson actually said in favor of unverified and out-of-context news reports speaks volumes about his evident partiality ». (191) Cfr. sulla evoluzione delle regole del gioco, D. NEMEC, The Official Rules of Baseball Illustrated, Guilford, Connecticut, 2006. Sul paragone fra le regole del baseball e quelle della common law, v. Aside, The Common Law Origin of the Infield Fly Rule,inU. Pa. L. Rev., 1975, 1474 ss. ed ora in Baseball and the American Legal Mind, cit., 4 ss. L’autore dello scritto — apparso anonimo — risultò essere Will Stevens. Cui adde i saggi di J.J. FLYNN (Further Aside: A Comment on « The Common Law Origin of the Infield Fly Rule ») e M.W. COCHRAN (The

57 evoluzione dell’uno, di contro alla vorticosa e continua (192) riscrittura delle regole dell’altro (193) —, sta di fatto che l’organizzazione di entrambi gli sport è affidata al Commissioner. La stessa cosa vale per il basket (NBA) e l’hockey su ghiaccio professionistici (NHL). Un istituto nato « dalle cose » (194) — per fronteggiare esigenze

Infield Fly Rule and The Internal Revenue Code: An Even Further Aside), ivi, 13 ss., 21 ss. V. però la satira di A. D’AMATO, The Contribution of the Infield Fly Rule to Western Civilization (and vice versa),inNw. U. L. Rev., 189 ss. In argomento v. pure A.J. SCHIFF,«The Father of Baseball ». A Biography of Henry Chadwick, Jefferson, North Carolina, 2008 (su H. Chadwick, che ha concorso in maniera determinante allo sviluppo del gioco « on the field », oltre che — fuori dal campo di gioco — alla diffusione delle statistiche e del c.d. « box score »). Nonché S.P. GIETSCHIER, The rules of baseball, in AA.VV., The Cambridge Companion to Baseball, a cura di L. Cassuto e S. Partridge, cit., 9 ss. (192) Cfr., sul punto, il lavoro fondamentale di D.M. NELSON, The Anatomy of a Game: Football, the Rules, and the Men who Made the Game, Newark, 1994, con prefazione di F. Evashevsky. La tendenza ad « armeggiare » con le regole del gioco del football è risalente. Si direbbe, anzi, che il gioco come lo conosciamo (più o meno) oggi nacque con le riforme del 1906 (introdotte — dietro sollecitazione fra l’altro del Presidente USA Theodore Roosevelt — per limitare la violenza in campo). Fra le altre regole vi era quella fondamentale che consentì il passaggio in avanti della palla (forward pass), recidendo una volta per tutte i legami con il rugby: cfr. J.J. MILLER, The Big Scrum. How Teddy Roosevelt Saved Football, New York, 2011 208 ss., spec. 209 (dove la notazione secondo cui, fino a quel momento, il football era un gioco di corsa e calcio, non di lancio della palla). Non si può poi non considerare — a conferma della estrema mutevolezza delle regole del football — che l’one-platoon system (nel quale uno stesso giocatore giocava sia in attacco che in difesa, a causa delle regole che limitavano le sostituzioni) è stato definitivamente sostituito dall’altro sistema (“two-platoon system” o semplicemente “platoon system”, con separazione di attacco e difesa assegnati a giocatori differenti) solo in tempi relativamente recenti: cfr. D.M. NELSON, The Anatomy of a Game, cit., spec. 254 ss., 312 ss. Si consideri, infine, che pure il campo di gioco è stato modificato: le brevi linee all’interno del campo di football (hash marks) sono state introdotte nella NFL nel 1932. La distanza fra loro è stata poi ridotta nei primi anni ’70 del secolo scorso. (193) Per semplificare il discorso si può dire che è diversissima la « filosofia » del gioco del football (sulla quale v. i saggi raccolti in AA.VV., Football and Philosophy: Going Deep — The Philosophy of Popular Culture —, a cura di M.W. Austin, con prefazione di J. Posnansky), se non del business della NFL. Si è dimostrato nelle note che precedono che l’attaccamento alla tradizione che si trova nel baseball non si rinviene nel football. Certo, anche nel baseball vi sono state delle modifiche alle regole del gioco (basti pensare a quella sensazionale del « designated hitter ») ed anche al campo (ad es. quanto alla altezza del monte di lancio, abbassato dopo l’anno dei pitchers nel 1968: sul quale v. W.B. MEAD, Two Spectacular Seasons, 1990, spec. 121 ss.; tutti sanno peraltro della diversità nella conformazione dei campi di gioco: v. Z. HAMPLE, Watching Baseball Smarter. A Professional Fan’s Guide for Beginners, Semi-experts, and Deeply Serious Geeks, New York, 2007, 102 ss.). Nulla di paragonabile, però, ai cambiamente diuturni nell’ambito del football. L’adattamento delle regole del gioco alle nuove esigenze suggerisce, infine, di considerare il loro significato, se ne hanno. Si ricordi la diffusa veduta (posta alla base del bel libro di F. MACIOCE, La lealtà. Una filosofia del comportamento processuale, Torino, 2005, spec. 8 ss.) secondo cui « non c’è alcuna ratio inespressa » per le regole del gioco « che non sia la regola stessa » (« il gioco » — si dice: ivi, 8 e note — « è pura forma » e « non rimanda a nulla di ulteriore »). Per la sottolineatura del carattere convenzionale della regola del gioco (com- prensiva di quella dello sport) v. G. BONIOLO, Le regole e il sudore. Divagazioni su sport e filosofia, cit., 55 (sull’abbrivio delle riflessioni contenute nelle Ricerche filosofiche di Wittgen- stein: ivi, 37). Non si sa dire, però, in che modo si concili la (pretesa) autoreferenzialità della regola del gioco con il suo mutamento, quando esso sia perseguito per raggiungere obiettivi definiti. Si dovrebbe allora probabilmente distinguere nell’ambito di tali regole. Ve ne sono talune, per di più, nelle quali si sorprende una ratio più alta. Il caso della infield-fly rule (citato retro in nota 191) ne è un esempio. (194) Anche da questo punto di vista merita di essere segnalata la differenza con le

58 contingenti (il « Black Sox scandal », Rothstein, la paura dei padroni (195) che il gioco scomparisse, ecc.) e plasmato dalle caratteristiche di una persona (196) (il giudice Landis) — ha guadagnato un successo duraturo e generale. A distanza di quasi cento anni il Commissioner è ancora il fulcro della gestione delle leghe professionistiche, anche se non può più esercitare — al lume dei vincoli discendenti dal contratto collettivo con il sindacato dei giocatori — i poteri immensi che a suo tempo esercitava Landis e si trova invece a fare i conti nella NFL anche con la « nuova » figura del System Arbitrator. I dubbi avanzati sulla « parzialità » del Commissioner della lega del football professionistico si riannodano alla molteplicità di ruoli che tale soggetto può ricoprire nello stesso procedimento arbitrale della NFL e pure al fatto che negli ultimi anni il Commissioner non è più percepito — come nel passato — come soggetto imparziale ed indipendente che cura l’interesse dello sport: non è più avvertito, in altri termini, come la « coscienza del gioco »(197). È piuttosto visto come l’amministratore de- legato (il CEO) della lega dei proprietari. soluzioni europee (e quindi nazionali). Va meditata la affermazione generale riferita alle regole del gioco (in Aside, The Common Law Origin of the Infield Fly Rule, cit., 10), che può essere estesa anche al di là di esse: « The rules of baseball and of the Anglo-American jurisprudence are thus to be contrasted with the continental system of complete codes designed to remedy society’s ill with a single stroke of the legislative brush ». (195) Con i quali come evidente il gioco diventa business. La compenetrazione dei due profili è antica ed evidente nella storia dello sport professionistico del baseball statunitense sin dalle origini (R.J. BURK, Never Just a Game. Players, Owners, and American Baseball to 1920, Chapel Hill & London, 1994). Sugli aspetti economici dello sport professionistico USA v. A: ZIMBALIST, May the Best Team Win: Baseball Economics and Public Policy, con prefazione di B. Costas, Washington, D.C., 2003; ID., Baseball’s economic development, cit., 201 ss.; R.F. LEWIS II, Marketing the Myth and Managing the Reality of Major League Baseball, Jackson, 2010; D.G. SURDAM, The Ball Game Biz: An Introduction to the Economics of Professional Team Sports, Jefferson, N.C., 2010. Naturalmente il modo di fare business è cambiato nel tempo insieme ai mutamenti nei rapporti di lavoro: v., quanto al baseball, il quadro di G.R. MCKELVEY, For It’s One, Two, Three, Four Strikes You’re Out at the Owners’ Ball Game: Players Versus Manage- ment in Baseball. Jefferson, N.C., 2001; sulla situazione attuale cfr. M. LEWIS, Moneyball. The Art of Winning an Unfair Game, rist. New York, 2004 (intorno al visionario general manager degli Oakland A’s Billy Beane in grado di competere con un budget assai limitato; ne è stato tratto il film omonimo del 2011 diretto da Bennett Miller). Si segnala pure, per il periodo successivo, nell’ambito di una letteratura assai vasta, J. KERI, The Extra 2%. How Wall Street Strategies Took a Major League Baseball Team from Worst to First, New York, 2011, con prefazione di M. Cuban (a proposito della squadra dei Tampa Bay Rays — già Devil Rays — finalmente in grado di competere con Red Sox e Yankees nella American League East e perfino di vincere il pennant). Illuminanti sono pure i due volumi — scritti con Ed Linn e che coprono l’arco di una vita (dal 1933 al 1986) dedicata al baseball (come promoter e proprietario di squadre) — di Bill VEECK, Veeck-as in Wreck, New York, 1962, rist. Chicago, 2001, con prefazione di B. Verdi; ID., The Hustler’s Handbook, New York, 1965, rist., 2009, cit. (196) Il caso volle che il prescelto fosse tutt’altro che modesto. Anzi: agiva sentendosi un Dio in terra, come ha scritto uno che se ne intendeva, John HELYAR.V.retro in nota 112. Nel volume scritto con Ed Linn, Bill VEECK, The Hustler’s Handbook, cit., 253, osserva che Landis aveva « a Shakespearian bearing and a most commendable instinct for the center of the stage ». (197) Dal titolo del libro di L. MOFFY, The Conscience of the Game. Baseball’s Commis- sioners froma Landis to Selig, New York, 2006.

59 L’osservatore italiano che indaghi tale modello, mentre ricava ele- menti per suffragare la tesi della pluralità degli ordinamenti sportivi (198), non fatica a notare la profonda differenza con le soluzioni praticate nel nostro paese. Nell’ordinamento sportivo nazionale, insieme ad altri principi fonda- mentali (199), è accolto anche quello che impone di distinguere fra il ruolo di chi decide e quello di colui che è parte (ne procedat judex ex offi- cio (200)). Proprio la distribuzione dei ruoli fra il giudice e il procura- tore (201) ha rappresentato sino ad oggi una sicura linea di demarcazione fra il sistema di giustizia sportiva italiano (quale attualmente profilato dal Codice del 2014) rispetto ad altri modelli. Negli USA segnali di novità si giustappongono all’impiego di conge- gni originali e risalenti. Ancora oggi il Commissioner del football profes- sionistico della NFL « has the broadest powers of any of the four profes- sional league commissioners »(202). E se è vero che le sanzioni possono variare al mutare della condotta addebitata (203), sta di fatto che l’art. 46 del contratto collettivo (CBA) della NFL crea davvero una figura senza eguali di « arbiter in causa propria », che può funzionare anche nel caso in cui le condotte perseguite siano contemplate nella nuova personal conduct policy del 10 dicembre 2014, per quanto sia adesso — come veduto al§6—inlinea di massima vietato al Commissioner — ad instar della soluzione praticata in Italia — di svolgere sia le funzioni investigative che quelle decisorie dell’arbitro di prima istanza. Sul piano generale, il ruolo assegnato al Commissioner nel procedi- mento arbitrale della NFL in tema di sanzioni disciplinari rimane davvero speciale e i poteri dei quali tale soggetto dispone superano senz’altro quelli previsti nelle altre leghe professionistiche. La cosa singolare è che tali poteri gli sono attribuiti dal contratto collettivo (art. 46 CBA) stipu- lato tra la lega e il sindacato dei giocatori. Se in linea generale la

(198) Come dimostrato, da ultimo, da A. MERONE, Il Tribunale Arbitrale dello Sport, cit., 2009, 1 ss. (199) Cfr., se vuoi, A. PANZAROLA, Sui principi del processo sportivo. Riflessioni a margine dell’art. 2 del codice di giustizia sportiva,inwww.rivistadirittosportivo.coni.it/it/rdds.html. (200) V., peraltro, art. 18, primo comma, lettera a) prima parte del Codice di giustizia, che rappresenta una deroga ad un principio di segno opposto (attuato, ad es., negli artt. 27, 44). (201) V. la nota che precede. (202) Cfr. A. PACIFICI, Scope and Authority of Sports League Commissioner Disciplinary Power: Bounty and Beyond, cit., 105. In una intervista al The Baltimore Sun del 2 agosto 2014, l’a. nota che “The NFL system is clearly the worst system of the four. It provides no independent review and grants Commissioner Goodell near unlimited power”. (203) Non c’è una sola « NFL discipline policy »; ne esistono varie « depending on whether the infraction is game-related, or a violation of the league’s code of conduct or its substance abuse rules. Violations of the latter, for example, carry varying penalties depending on whether the player is a first-time or repeat offender »: J. MARBELLA,inThe Baltimore Sun,2 agosto 2014.

60 contrattazione collettiva ha funzionato come base per limitare sempre di più i poteri del Commissioner (nella MLB, nella NBA, nella NHL, nella stessa NFL con riguardo al System Arbitrator), nel caso dell’arbitrato in tema di sanzioni disciplinari del football professionistico della NFL è accaduto il contrario. Certo, non sbaglia chi nota che il Commissioner delle leghe sportive professionistiche americane non è più quel monarca assoluto (204) che è stato per tanto tempo grazie alla volontà del primo Commissioner del baseball (il Giudice Landis (205)) ed alla irripetibile catena di eventi che ne

(204) Per farsi una idea dei poteri effettivamente goduti dal Commissioner è molto utile consultare anche la letteratura di taglio non giuridico (ad es., quanto alla NFL, M. MACCAM- BRIDGE, op. cit., spec. le parti dedicate alle figure più importanti, Bart Bell, Pete Rozelle, Paul Tagliabue; quanto al baseball della MLB, J. HOLTZMAN, The Commissioners. Baseball’s Midlife Crisis, cit.; A. ZIMBALIST, In the Best Interests of Baseball? The Revolutionary Reign of Bud Selig, cit. L. MOFFI, The Conscience of the Game. Baseball’s Commissioners from Landis to Selig, cit.; D. OKRENT, Nine Innings, cit., 154 ss.; B. VEECK, Veeck-as in Wreck, cit.; ID., The Hustler’s Handbook, cit.; C.C. ALEXANDER, Our Game, cit.; L. KOPPETT, Koppett’s Concise History, cit.). In questo quadro risalta la importanza dei volumi scritti (pure nella forma di autobiografia o di memorie, ecc.) dalle persone che nel tempo si sono succedute nel ruolo di Commissioner della MLB dopo il primo « regno » di Landis (dal 1920 al 1944): cfr., quanto alla MLB, il libro del secondo Commissioner (in carica dal 1945 al 1951) Albert Benjamin, « Happy », CHANDLER, Heroes, Plain Folks, and Skunks: The Life and Times of Happy Chandler, con prefazione di B. Hope, Chicago, 1989 (si tratta della autobiografia — scritta assieme a Vance Trimble — del potente senatore del Kentucky; la parte del volume davvero interessante per delineare in concreto la figura del Commissioner si trova dal quindicesimo capitolo in avanti); il volume del terzo Commissioner (dal 1951 al 1965), il giornalista sportivo Ford Christopher FRICK, Games, Asterisks, and People: Memoirs of a Lucky Fan, New York, 1973; l’opera del quinto Commis- sioner (1969-1984) Bowie KUHN (con Martin Appel), Hardball: The Education of a Baseball Commissioner, cit.; il lavoro dell’ottavo Commissioner (dal 1989 al 1992) Fay VINCENT, The Last Commissioner: A Baseball Valentine, New York, 2002. Sul periodo nel quale è stato chiamato ad operare il primo Commissioner, il più volte menzionato Landis, v. pure (oltre alle opere citate retro in nota) il volume (del figlio del fondatore della « Bibbia » del baseball,«The Sporting News », che l’erede diresse dal 1914 sino alla morte nel 1962) J.G. TAYLOR SPINK, Judge Landis and Twenty-Five Years Baseball, New York, 1947. Essendo dedicato alla organizzazione delle Olimpiadi di Atlanta del 1984 (che egli gestì da presidente del comitato olimpico), il volume del sesto Commissioner (in carica dal 1984 al 1989), Peter Victor UEBERROTH — scritto con Peter Levin and Amy Quinn, His Own Story, New York, 1985 — può servire per comprendere la personalità ed il retroterra culturale di questa figura per molti versi contrad- dittoria (e che, fra l’altro, tenne l’incarico nel periodo passato alla storia come « Collusion Era », dal 1985 al 1988, quando i padroni si accordarono per congelare la free agency e bloccare la crescita dei salari). Quanto ad Angelo Bartlett, « Bart », Giamatti (il settimo Commissioner del baseball, nel solo anno 1989), questo raffinato intellettuale di chiare origini italiane non ebbe il tempo di riflettere sulla attività svolta di « capo » del baseball (la morte lo colpì pochi mesi dopo essere stato eletto Commissioner, appena cinquantunenne). Ci restano i suoi profondi scritti dedicati al gioco e ricordati retro alla nota 80. Non soprende infine che il quarto Commissioner (dal 1965 al 1968) — il generale William Dole, “Spike”, Eckert — non abbia lasciato nulla di significativo a proposito delle funzioni disimpegnate in quel ruolo. Pur ammesso che non sia stato eletto per sbaglio (come vuole la leggenda), sta di fatto che l’Unknown Soldier — come fu ribattezzato — fu una vittima del sistema più che un fallimento personale (così, nella sostanza, Leonard Koppett, storico del gioco e celebre giornalista, citato da J. HOLTZMAN, The Commis- sioners, cit., 131 e da D. OKRENT, Nine Innings, cit., 156). (205) Chiamato ad operare — come detto — in una situazione eccezionale e nel corso di un anno « cruciale » (il 1920): v. R.C. COTTRELL, Blackball, the Black Sox and the Babe: Baseball’s Crucial 1920, cit. Nel mondo del baseball la stagione del 1920 è stata « fatale » anche

61 propiziarono la istituzione. Occorre però segnalare la importantissima eccezione costituita dal procedimento arbitrale NFL nel settore — effet- tivamente cruciale — delle sanzioni disciplinari: qui il Commissioner torna ad essere, col consenso del sindacato dei giocatori, un vero e proprio « giudice-re ». Ma anche su questo punto non bisogna esagerare. L’indagine con- dotta ci ha rivelato che, in ogni caso, i poteri del Commissioner debbono essere collocati all’interno dell’ordinamento generale. La loro estensione, misura e modalità di esercizio, non meno che i limiti del controllo esterno delle Corti, vanno commisurati alla disciplina lavoristica contenuta nel National Relations Act (NLRA), laddove assicura il rispetto delle clausole dei contratti (206) conclusi fra le parti collettive (nel caso di specie, dalla lega e dal sindacato dei giocatori), fissandone ancor prima i contenuti obbligatori (« mandatory terms and conditions of employment ») e vietan- done la modifica unilaterale. Anche la regolamentazione (« private asso- ciation law ») che sovrintende al funzionamento delle associazioni private (e le leghe professionistiche sono prima di tutto delle private associations, al pari dei sindacati dei giocatori) concorre a definire i poteri del Com- missioner. Un riflesso di queste considerazioni si rintraccia nel fatto che il controllo giurisdizionale delle Corti sull’attività del Commissioner, quan- tunque limitato, comunque può essere in taluni casi esercitato (207). Nel- l’ipotesi del procedimento arbitrale NFL (ex art. 46 CBA) in tema di sanzioni disciplinari sembra lecito assumere che le Corti possano stabilire se il Commissioner abbia agito in buona fede nell’irrogare la sanzione, se lo abbia fatto nel legittimo esercizio dei poteri conferitigli e finalmente se per un’altra ragione (la morte di Ray Chapman colpito da una palla lanciata da Carl Mays) narrata nel « classico » libro di M. SOWELL, The Pitch That Killed: Carl Mays, Ray Chapman, and the Pennant Race of 1920, New York, 1989. Sul piano del gioco era in corso un’altra rivoluzione: Babe Ruth nel 1920 colpì 54 fuori campo (« a baseball landmark »: così R.W CREAMER, Babe. The Legend Comes to Life, 217 ss., spec. 226), segnando il definitivo tramonto della c.d. « dead-ball era » e l’inizio della « live-ball era » (cfr., per la illustrazione di tali locuzioni, P. DICKSON, The Dickson Baseball Dictionary, 3ª, a cura di Skip McAfee, New York-London, 2009, 243-244). Fra i vari motivi solitamente indicati per questa esplosione offensiva si ricorda anche il (presunto) intervento sulla palla (« livelier than ever before », scrive, ad es., W.C. KASHATUS, Almost a Dynasty. The Rise and Fall of the 1980 Phillies, Philadelphia, 2008, 20). Per una recente rivisitazione della questione v. Z. HAMPLE, The Baseball: Stunts, Scandals, and Secrets Beneath the Stitches, New York, 2011, 89 ss., spec. 116-117 (sulla stagione 1920). Molti storici del gioco ritengono, peraltro, che il cambiamento descritto sia stato frutto di modifiche nelle regole (ad es. il divieto per i lanciatori di usare la « spitball ») e nei materiali impiegati (P. DICKSON, The Dickson Baseball Dictionary, cit., 243). (206) Il potere del Commissioner è stato davvero ridisegnato dal « contratto », la « più avida categoria giuridica » secondo Maitland (citato da R. POUND, Lo spirito della Common Law — 1921 —, trad. it. Milano, 1970, a cura di G. Buttà, con presentazione di E. Paresce, 27). (207) Nella loro serrata critica alla recente posizione della Corte Suprema in tema di arbitrato (v. retro sub§1)L.TRIBE eJ.MATZ, Uncertain Justice, cit., 294, assumono che la decisione arbitrale non è impugnabile « except in rare cases of manifest injustice in arbitration proceedings ».

62 abbia rispettato — nella forma iudicii — i principi fondamentali di « procedural fairness ». Fra questi ultimi è senz’altro contemplata la ga- ranzia della imparzialità ed indipendenza dell’arbitro, che permette di chiedere la invalidazione del lodo — per riprendere la formula del § 10 del FAA cit. — in ipotesi di « evident partiality in the arbitrators ». Come detto, la particolarità del caso di Adrian Peterson — esaminato in queste pagine — è data dal fatto che l’associazione dei giocatori, pur essendo a conoscenza della speciale posizione del Commissioner (della « sua » at- tuale, istituzionale parzialità), ha egualmente acconsentito (nell’art. 46 CBA) ad indicarlo come « arbitro » in tutte le fasi del procedimento arbitrale in tema di sanzioni. La « sfida » lanciata dall’associazione dei giocatori di football (NFLPA) — con il ricorso giurisdizionale di fronte al Giudice del Min- nesota — per l’annullamento del « lodo Peterson » verte su questo impor- tantissimo profilo della « evidente parzialità » dell’arbitro (Harold Hen- derson). Dal modo in cui le Corti decideranno il caso, si potranno ricavare indicazioni importanti e di rilievo generale sul tema. Vediamo come andrà a finire.

There are many complex legal issues that can arise out of the system of self-governance of sports leagues (NFL — National Football League —, MLB — Major League Baseball —, NBA — National Basketball Association —, NHL — National Hockey League) in the United States. The CBA (Collective Bargaining Agreement) is the most important source of law concerning employment in profes- sional leagues. The enforcement of the provisions of the CBA is within the exclusive jurisdiction of an arbitrator. The arbitration process also deals with disciplinary matters. In the National Football League (NFL), the process allows the league Commissioner, subject to appeal, to serve as prosecutor and judge, but it is the process that the players’union (the National Football League Players Association, NFLPA) agreed to in the deal. The position of the NFL Commissioner has evolved to the point where the Commissioner alone has sole disciplinary authority over the game’s players. The appointment of an evidently partial arbitrator, as opposed to an independent arbitrator, deprives the party of the right to an impartial arbitration in the disciplinary appeal. In considering the arbitration process, this article reviews not only the power of the Commissioner to discipline the players for conduct detrimental to the league, but also the role of the Courts with regard to player discipline, and examines the issue of when a reviewing Court can vacate an arbitrator’s awards. The MLB was the first league to establish the position of Commissioner. Since the appointment of Judge Kenesaw Mountain Landis to the position, it has been the job of baseball’s Commissioner to act in the « best interest of the game ». The NFL and NBA installed their own commissioners shortly thereafter. The position was created in the National Hockey League in 1993. The NFL’s Collective Bargaining Agree- ment (CBA) governs the scope of the Commissioner’s authority and the right to challenge his authority. Under Article 46, the Commissioner has broad authority to

63 determine the procedure and ultimate outcomes on the merits of matters entrusted to him. He is also entitled to great deference in the review of his decisions. The Courts may nevertheless vacate the arbitration award under the Federal Arbitration Act (“FAA”).

64 Trascrizione della domanda di arbitrato (alla luce della l. n. 162 del 2014 e della sentenza della Corte Costituzionale n. 223 del 2013) (*)

GIAMPAOLO FREZZA (**)

1. Premessa: la l. n. 162 del 2014 e la sentenza della Corte Costituzionale n. 223 del 2013. — 2. Trascrizione della domanda di arbitrato. — 3. Identificazione dell’atto del giudizio arbitrale che contiene la domanda suscettibile di trascrizione. — 4. Traslatio iudicii e giudizio arbitrale. « Degiurisdizionalizzazione » e domanda di arbitrato. — 5. Art. 111, comma 4, c.p.c. e giudizio arbitrale. — 6. Conservazione degli effetti della trascrizione e procedimento arbitrale. — 7. Applicabilità dell’art. 2658 c.c. al procedimento arbitrale. — 8. Cancellazione della trascrizione della domanda di arbitrato.

1. L’art. 1, comma 3, del decreto legge 12 settembre 2014 n. 132, convertito in legge 10 novembre 2014 n. 162 — recante Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile (1) — prevede, fra l’altro, che con il trasferi- mento alla sede arbitrale dei procedimenti pendenti dinanzi all’autorità

(*) Il presente lavoro riproduce una riflessione già pubblicata in G. FREZZA, Trascri- zione delle domande giudiziali, Artt. 2652 e 2653 c.c., in Il codice civile, Commentario diretto da F.D. BUSNELLI, 2014, 161 ss., adattandola alle novità introdotte dal decreto legge 12 settembre 2014 n. 132, convertito in legge 10 novembre 2014 n. 162 e da un importante intervento della Corte Costituzionale in materia (Corte cost. 19 luglio 2013 n. 223), novità delle quali non si è tenuto presente nell’opera edita. (**) Professore ordinario nella LUMSA di Palermo. (1) Per un primo commento, A. BRIGUGLIO, Nuovi ritocchi in vista per il processo civile: mini-riforma ad iniziativa governativa, con promessa di fare (si confida su altri e più utili versanti) sul serio,ingiustizia civile.com, 15 settembre 2014; C. DI SALVO, Trasferimento in sede arbitrale di procedimenti pendenti dinanzi all’autorità giudiziaria,inLa nuova riforma del processo civile, a cura di F. SANTANGELI, Milano (Dike - giuridica edizioni), 2015, 3 ss.; G. NAVARRINI, Riflessioni a prima lettura sul nuovo « arbitrato deflattivo » (Art. 1, d.l. 12 settembre 2014 n. 132),in www.judicium.it;D.CERRI, « Degiurisdizionalizzazione » (trasferimento alla sede arbitrale di procedimenti pendenti), ibidem, il quale ritiene che l’espressione « degiurisdizionalizzazione » sia impronunciabile, che la locuzione « translatio » sia tecnicamente scorretta, e che la defini- zione « arbitrato deflattivo » sia efficace ma traditrice: il procedimento in esame, ad onta della intitolazione della legge, anziché essere una misura « deflattiva » tende a complicare più che a semplificare!

65 giudiziaria « (...) restano fermi gli effetti sostanziali e processuali prodotti dalla domanda giudiziale e il lodo ha gli stessi effetti della sentenza », compresi quelli prenotativi riconducibili alla trascrizione della domanda, posta in essere dal soggetto interessato, ex artt. 2652 e 2653 c.c. L’attribuzione alla giustizia arbitrale di una funzione, come dire, « sostitutiva » della giustizia pubblica è stata di recente ribadita anche da una sentenza della Corte Costituzionale (2), la quale, sul presupposto secondo cui il nostro ordinamento riconosce espressamente che le parti possano tutelare i propri diritti anche ricorrendo agli arbitri (la cui decisione ha l’efficacia propria della sentenza), ha ritenuto che l’errore dell’attore nell’individuare come competente il giudice piuttosto che l’ar- bitro non deve pregiudicare la possibilità di ottenere, dall’organo compe- tente, una decisione di merito, onde l’art. 819 ter, comma 2, c.p.c. deve ritenersi costituzionalmente illegittimo, perché contrario agli artt. 3, 24 Cost., nelle parti in cui esclude tale translatio. Da qui, la necessità di una riflessione avente ad oggetto l’analisi dei rapporti fra processo ordinario e arbitrato rituale, presi in considerazione dal punto di vista della trascrizione dell’atto con il quale si dà impulso al giudizio arbitrale.

2. Il sistema della trascrizione delle domande giudiziali è informato, secondo un consolidato orientamento, al principio della tipicità (3), onde è opportuno immediatamente individuare la disposizione che ammette la trascrizione della « domanda di arbitrato » (4) e quale sia la funzione tipica riconducibile a tale formalità. Per lungo tempo, posta la carenza legislativa in tale ambito, la dottrina e la giurisprudenza hanno cercato di individuare una soluzione che permettesse, com’era opportuno, la trascrivibilità della « domanda » di arbitrato. Prevalente era la soluzione positiva al quesito, basata non solo su

(2) Corte cost. 19 luglio 2013 n. 223, in Giur. cost., 2013, 3296; in questa Rivista, 2014, 81 ss. (3) Indicazioni di dottrina in G. FREZZA, op. cit.,51ss. (4) Si usa per ora l’espressione generica « domanda » di arbitrato. In seno alle presenti riflessioni, si affronterà il problema della identificazione dell’atto che contiene la domanda di arbitrato suscettibile di trascrizione, questione complessa e assai spinosa, sulla quale si conten- dono il campo svariati orientamenti di dottrina, onde la necessità di un approfondimento particolare. Per una prima rassegna sull’argomento, vedi G. SICCHIERO, La trascrizione e l’intavolazione,inGiurisprudenza sistematica di diritto civile e commerciale, fondata da W. BIGIAVI, Torino, 1993, 199-200, e, più di recente, C. CORBI, La trascrizione della domanda arbitrale, in questa Rivista, 2010, 729 ss. Si badi, inoltre, che anche gli artt. 2943 e 2945 c.c. in tema di prescrizione equiparano, sul piano degli effetti sostanziali, l’atto notificato con il quale la parte dichiara l’intenzione di promuovere il processo arbitrale, propone la domanda e procede alla nomina degli arbitri alla domanda giudiziale. Sul punto, S. MENCHINI, La nuova disciplina dell’arbitrato, Padova, 2010, 203, nt. 66; S. LA CHINA, L’arbitrato. Il sistema e l’esperienza, Milano, 2011, 147.

66 ragioni di opportunità, quanto sull’interpretazione estensiva dell’art. 2658, comma 2, c.c., in base al quale « per la trascrizione di una domanda giudiziale occorre presentare (al Conservatore, n.d.r.) copia autentica del documento che la contiene, munito della relazione di notifica alla contro- parte ». Se in tale contesto, come osservato, il legislatore « avesse inteso riferirsi al solo atto di citazione, non avrebbe adoperato una così ampia locuzione. La norma di cui all’art. 2658 cpv. può essere, dunque, riferita anche alla domanda proposta davanti al collegio arbitrale » (5). Nell’ambito di quel sistema normativo, inoltre, si riteneva che il riferimento contenuto nell’art. 2658, comma 2, c.c. ad una domanda « giudiziale » non contrastasse con la « domanda » di arbitrato, in sé non giudiziale, ma diretta a dar luogo ad un provvedimento giurisdizionale complesso, ovvero il lodo combinato con il decreto del Pretore (oggi, ex art. 825, comma 1, c.p.c. con il decreto del Tribunale). Allo stesso risultato giungeva la giurisprudenza di merito, anche se con argomentazioni in parte diverse (6). Si proponeva un’interpretazione estensiva, oltre che dell’art. 2658, comma 2, c.c., anche della locuzione « domanda giudiziale » contenuta negli artt. 2652 e 2653 c.c., nozione coincidente con l’atto introduttivo del procedimento arbitrale: quest’ul- timo, infatti, avrebbe avuto, nell’ottica di tale orientamento, la stessa natura di una domanda giudiziale, in quanto volto a far conoscere, alla controparte e al giudice, il petitum elacausa petendi. La mancata trascrizione dell’atto introduttivo, infine, avrebbe deter- minato un effetto negativo sulla trascrizione del lodo arbitrale, effettuata ex art. 2643 n. 14 c.c.: si osservava, a tal proposito, che « la trascrizione della sentenza arbitrale, indubbiamente prescritta a norma dell’art. 2643 n. 14 c.c., sarebbe privata, in caso di accoglimento della domanda, del suo effetto principale, che è quello di prevalere sulle trascrizioni e sulle iscrizioni eseguite contro il convenuto solo a condizione che la domanda stessa sia stata a sua volta trascritta anteriormente » (7). Il dibattito è, però, venuto meno da quando il legislatore ha intro- dotto, come era necessario, precise disposizioni legislative, e cioè gli artt. 2652 e 2653, ultimi commi, c.c. In base a tale norma, possono essere trascritte tutte le domande di arbitrato che si riferiscono ai casi tipici di cui all’art. 2652 nn. 1-9 e 2653 nn. 1-5 c.c. e la funzione riconducibile all’adempimento di tale formalità è, come per regola generale, prenotativa e cautelare rispetto all’effetto ultra partes del lodo che accoglierà tali domande nel merito (8). Si tratta,

(5)A.PROTO PISANI, La trascrizione delle domande giudiziali, Napoli, 1968, 405. (6) Trib. S. Maria Capua Vetere decr. 1 aprile 1958, in Temi nap., 1958, I, 525. (7)P.DE LISE, Della trascrizione,inCommentario al codice civile teorico-pratico, Novara, Milano, 1970, 389-390. In tal senso, precedentemente, A. PROTO PISANI, op. cit., 407. (8) Sulla funzione « prenotativa », in generale, G. FREZZA, op. cit.,73ss.

67 dunque, di una formalità con effetto non già definitivo ma provvisorio: la funzione prenotativa è, per sua natura, destinata ad essere assorbita dall’efficacia ultra partes del lodo.

3. L’art. 2668, comma 2, c.c. fa sorgere, innanzitutto, la necessità di identificare l’atto del giudizio arbitrale che contiene la domanda suscetti- bile di trascrizione. La questione non può essere risolta in astratto, ma dipende, secondo autorevole dottrina, dalle peculiarità che assumono in concreto la clausola compromissoria ed il compromesso (9). Come conseguenza di questa impostazione, le diverse soluzioni pro- spettate sono state considerate eccessivamente astratte, non potendo esse valere indistintamente per ogni fattispecie concreta: si pensi all’imposta- zione di chi ritiene che gli effetti sostanziali della domanda debbano collegarsi direttamente al compromesso, oppure, in caso di clausola com- promissoria, alla formulazione dei quesiti (10). Eccessivamente generica è apparsa, inoltre, la posizione di chi iden- tifica l’inizio del procedimento arbitrale con l’atto di accettazione degli arbitri, accettazione che renderebbe perfetto il vincolo (11). Autorevole dottrina ha, invece, prospettato una soluzione, come dire, più cauta (12), identificando il momento iniziale dell’arbitrato con quello in cui si perfeziona l’ultimo degli elementi costitutivi della domanda, diversi in base alle ipotesi concrete, quali possono essere la individuazione delle parti, l’accettazione degli arbitri, l’individuazione dell’oggetto e della causa petendi, la formulazione dei quesiti, ecc. Le impostazioni descritte hanno tutte il limite di conferire un potere fortemente discrezionale e latamente interpretativo al Conservatore: egli, infatti, dovrebbe, di volta in volta, individuare se il procedimento arbitrale abbia avuto inizio, onde tali impostazioni devono respingersi perché farebbero venir meno il carattere, come dire, « meccanico » della trascri- zione. Il dibattito appare oggi sopito alla luce della più recente legislazione in materia di arbitrato, dalla quale si evince che la domanda arbitrale coincide necessariamente con l’atto introduttivo (13), atto nel quale si

(9) L’impostazione è di A. PROTO PISANI, op. cit., 406, nt. 50. (10) Si tratta dell’orientamento dottrinale dominante prima della riforma introdotta con la l.n. 25 del 1994: per riferimenti, V. ANDRIOLI, Commentario al codice di procedura civile, IV, Napoli, 1964, 556; E. FAZZALARI, Arbitrato rituale,inNoviss. Dig. it., I, 2, Torino, 1958, 896; V. COLESANTI, Cognizione sulla validità del compromesso in arbitri,inRiv. dir. proc., 1958, 244 ss., 253; C. PUNZI, Arbitrato (rituale e irrituale),inEnc. giur. Treccani, I, Roma, 1988, 17; G. SCHIZZEROTTO, Dell’Arbitrato, Milano, 1988, 441 ss. (11)T.CARNACINI, Arbitrato rituale,inNov. Dig. it., I, 2, Torino, 1958, 874, 881-882. (12)V.ANDRIOLI, Arbitrato rituale ed effetti sostanziali della domanda giudiziale,inRiv. dir. proc., 1964, 481. (13) Così, infatti, G. GABRIELLI, La pubblicità immobiliare,inTrattato di diritto civile,

68 devono indicare la nomina dell’arbitro e, con chiarezza, l’oggetto della controversia. Autorevole dottrina, alla quale sembra doversi aderire, ritiene che il contenuto minimo dell’atto introduttivo, considerato a struttura com- plessa, consti di tre elementi: a) la manifestazione dell’intento; b)la formulazione puntuale e non generica della pretesa; c) l’indicazione dell’arbitro (14). La più recente giurisprudenza contribuisce, con precisione, a chiudere il cerchio affermando che, a tal fine, occorre porre l’attenzione, oltre che sulla enunciazione chiara della pretesa, anche sulla notificazione dell’atto introduttivo: si osserva che « la notifica della domanda di arbitrato segna, a tutti gli effetti (sostanziali e processuali), l’inizio del procedimento rituale » (15). Per quanto sopra trattato, deve escludersi, allora, che « possa trascri- versi, al pari delle domande giudiziali, l’atto con cui viene promosso un arbitrato irrituale, al fine di definire, con valore di determinazione con- trattuale anziché di sentenza, una controversia, benché rientrante fra quelle che sono da segnalarsi nei registri immobiliari, se pendenti davanti ai giudici ordinari o ad arbitrati rituali » (16), e ciò in ragione, appunto, della natura contrattuale dell’arbitrato irrituale. D’altro canto, l’effetto tipico della trascrizione della domanda, ovvero quello prenotativo rispetto agli effetti che si conseguiranno con la sen- tenza (nel nostro caso, il lodo) di accoglimento, non potrebbe operare nel caso che qui ci occupa, perché il negozio-lodo che conclude l’arbitrato irrituale non può essere, ex art. 808 ter c.p.c., omologato. Come conse- guenza di questa condivisibile impostazione, l’eventuale pubblicità data a tale domanda dovrà ritenersi indebita e, quindi, sarà onere della parte interessata procedere alla cancellazione (17).

4. Posta la funzione prenotativa della trascrizione della domanda di

diretto da R. SACCO, Torino, 2012, 37. V., inoltre, F. MURONI, La successione nella res litigiosa nell’arbitrato rituale interno e con profili di internazionalità: analisi retrospettiva dell’ultimo comma del nuovo art. 816-quinques c.p.c.,inRiv. trim. dir. proc. civ., 2007, 903 ss. (14)G.VERDE, Lineamenti di diritto dell’arbitrato, Torino, 2006, 93 ss. Si discute, poi, se i tre elementi debbano essere concentrati in un unico documento oppure possano essere scissi attraverso la notifica di diverse istanze: v., a tal proposito, D. BORGHESI, La domanda di arbitrato,inRiv. trim. dir. proc., 1997, 914 ss. (15) Cass. 8 aprile 2003 n. 5457, in Foro it., 2003, I, 1385; altre indicazioni in C. CORBI, op. cit., 732, nt. 24. (16)G.GABRIELLI, op. loc. cit., 37, il quale rinvia alla dottrina di S. MAZZAMUTO, La trascrizione di atti preparatori del lodo che produce gli effetti del contratto definitivo non concluso,inContr. e impr., 1994, 473 ss. Trattazione e riferimenti in F. MURONI, La pendenza del giudizio arbitrale, Torino, 2008, 274-292. (17) La dottrina si è posta l’interrogativo se oggi esistano, al di là della trascrizione, strumenti idonei a produrre effetti simili. Si esclude, però, il ricorso al provvedimento cautelare per mancanza dei presupposti legali pretesi dall’art. 669 quinquies c.p.c.; in tal senso, per tutti, F. MURONI, La pendenza del giudizio arbitrale, cit., 285.

69 arbitrato, occorre ora interrogarsi se tale effetto, latamente cautelare e conservativo, sia destinato ad esplicarsi nel caso di translatio iudicii e nella ipotesi in cui, ex art. 1 d.l. n. 132 del 2014, il procedimento pendente davanti all’autorità giudiziaria sia trasferito in sede arbitrale. Quanto al primo aspetto, occorre osservare che la questione dei rapporti fra il giudice statuale e quello arbitrale, ha, a lungo, impegnato la dottrina e la giurisprudenza ed oggi, alla luce di un recente intervento della Corte Costituzionale (18), potrebbe ritenersi definitivamente risolta. Sul punto si sono contesi il campo, in estrema sintesi, due orienta- menti. Secondo il primo, la dichiarazione di incompetenza del giudice ordi- nario, con affermazione di quella arbitrale, fa venir meno gli effetti pre- notativi della trascrizione della domanda, con conseguente necessità, per il soggetto interessato, in caso di riassunzione del processo innanzi agli arbitri, di curare nuovamente l’adempimento della trascrizione. In questa prospet- tiva si ritiene che la prima trascrizione sia certamente valida, ma inefficace perché condivide, per così dire, le sorti della controversia, onde l’estinzione del processo (per declaratoria di incompetenza) farebbe venir meno l’ef- ficacia della trascrizione (19). Alla fattispecie in esame non possono, in sin- tesi, applicarsi le norme del codice di rito sulla translatio iudicii. Le ragioni di una simile impostazione restrittiva si fondano sulla complessa tematica relativa ai rapporti tra arbitrato e giudizio ordinario, ultronea rispetto all’economia della presente indagine. Affermare, tutta- via, l’inapplicabilità delle norme sulla translatio iudicii significa ritenere che il processo arbitrale sia « eterogeneo » rispetto a quello ordinario e ciò « porta a escludere che, nell’ipotesi esaminata, si possa far capo al con- cetto della unità del rapporto processuale » (20), fondamento della tran- slatio. A livello pratico poi la translatio iudicii non potrebbe aver imme- diatamente luogo per la mancanza del Collegio arbitrale, almeno fino a quando gli arbitri siano nominati e si siano costituiti. Nel caso in cui l’incompetenza sia dichiarata dagli arbitri, essi, inoltre, non potrebbero indicare il giudice ordinario competente, non essendo questo un potere attribuito a loro dalla legge (21). L’orientamento giurisprudenziale appena analizzato è definito da autorevole dottrina contraddittorio e formalistico. È questo l’altro orientamento dottrinale al quale poco sopra si accen- nava, secondo il quale, essendo il lodo arbitrale destinato ad assumere

(18) Corte cost. 19 luglio 2013 n. 223, cit. (19) Cass. 7 febbraio 1962 n. 241, in Foro it., 1962, I, 1123 e in Giust. civ., 1962, I, 202; Cass. 24 giugno 1967 n. 1570, ivi, 1967, I, 2024. (20)P.DE LISE, op. cit., 392. (21) Sono queste le argomentazioni su cui si fonda Cass. 27 maggio 1961 n. 1261, in Foro it., 1962, I, 1123; in Giur. it., 1961, I, 1, 881, con osservazioni di V. COLESANTI.

70 attraverso il decreto del Tribunale l’efficacia di una sentenza, le norme sulla translatio iudicii devono applicarsi analogicamente ai rapporti tra arbitri e giudici ordinari (22); conseguentemente gli effetti prenotativi della domanda (o dell’atto introduttivo dell’arbitrato, nel senso chiarito) decor- rerebbero dalla data della prima ed unica trascrizione. Prima dell’intervento della Corte Costituzionale si è ritenuto prefe- ribile, nonostante un’apertura di una parte della giurisprudenza di legit- timità (23), il primo dei detti orientamenti, basando le nostre argomenta- zioni non già sui profili funzionali della fattispecie, ma sul dispositivo dell’art. 819 ter c.p.c., allora vigente, il cui dato letterale ci appariva, formalmente, ineccepibile (24). Come abbiamo accennato, tuttavia, tale ultima disposizione è stata dichiarata costituzionalmente illegittima, perché ritenuta contraria agli art. 3, 24 Cost., nella parte in cui esclude la translatio: secondo la Corte, il nostro ordinamento riconosce espressamente che le parti possano tutelare i propri diritti anche ricorrendo agli arbitri, la cui decisione ha l’efficacia propria della sentenza, onde l’errore dell’attore nell’individuare come competente il giudice piuttosto che l’arbitro non deve pregiudicare la possibilità di ottenere, dall’organo competente, una decisione di merito. La Corte, di conseguenza, ritiene « necessario che l’ordinamento giuridico preveda anche misure idonee ad evitare che tale scelta abbia ricadute negative per i diritti oggetto delle controversie stesse. Una di queste misure è sicuramente quella diretta a conservare gli effetti sostanziali e processuali prodotti dalla domanda proposta davanti al giudice o all’arbitro incompetenti, la cui necessità, ai sensi dell’art. 24 Cost., sembra porsi alla stessa maniera, tanto se la parte abbia errato nello scegliere tra giudice ordinario e giudice speciale, quanto se essa abbia sbagliato nello scegliere tra giudice e arbitro. Ed invece la norma censu- rata, non consentendo l’applicabilità dell’art. 50 c.p.c., impedisce che la causa possa proseguire davanti all’arbitro o al giudice competenti e, conseguentemente, preclude la conservazione degli effetti processuali e sostanziali della domanda » (25). L’intervento della Corte Costituzionale, definito « saggio » e « salu- tare » dalla dottrina più autorevole (26), lascia tuttavia aperte alcune

(22)A.PROTO PISANI, op. cit., 408. (23) Cass. ord. 6 dicembre 2012 n. 22002, secondo cui la translatio non è possibile nel caso in cui siano gli arbitri ad escludere la loro competenza, ma invece lo è nell’ipotesi opposta, quella in cui, cioè, l’incompetenza sia dichiarata dal giudice ordinario a favore di quello arbitrale. Sul punto, vedi le pertinenti osservazioni di L. BIANCHI, Translatio iudicii tra giudice statuale ed arbitri?,inwww.judicium.it. (24)G.FREZZA, op. cit., 167. In tale lavoro, però, non si è preso in considerazione proprio l’intervento della Corte Costituzionale di cui qui al testo. (25) Corte cost. 19 luglio 2013 n. 223, cit. (26) Vedi le note di M. BOVE,A.BRIGUGLIO,S.MENCHINI,B.SASSANI, pubblicate in questa Rivista, 2014, 88 ss.

71 questioni. È stato sostenuto che « la direzione della sentenza non può che trovare concordi gli interpreti, malgrado che, risolvendo un problema di fondo, essa ne apre altri, anche in considerazione del fatto che ormai translatio è divenuta una sparkling word, buona a tutto (finanche all’im- pensabile) (...) » (27). Da un lato, vi è chi ritiene che spetti al legislatore il compito di intervenire immediatamente allo scopo di colmare la lacuna così creatasi: in altre parole, « la Consulta » non avrebbe reso applicabile l’art. 50 c.p.c. all’ipotesi che qui ci occupa, ma avrebbe solo eliminato il divieto di applicare una regola analoga a quella contenuta nella disposizione da ultimo citata, tanto più che, secondo tale prospettiva, i rapporti tra giudice statuale e giudice privato non sarebbero inquadrabili in termini di com- petenza ma nell’ambito delle questioni di giurisdizione (28). Dall’altro, invece, si osserva che la declaratoria di incostituzionalità affida all’interprete il compito di individuare la soluzione ad ogni pro- blema applicativo, con particolare riguardo alla individuazione dei mec- canismi di riassunzione per la prosecuzione (29). L’impossibilità di indivi- duare il modello di riferimento, fra riassunzione-prosecuzione o riproposizione della domanda, affonda, però, nella mera discrezionalità, onde, come autorevolmente osservato, la necessità dell’intervento del legislatore (30). Ciò che però interessa ai fini della nostra indagine è che, ammessa la traslatio, devono ritenersi salvi gli effetti sostanziali e processuali ricon- ducibili alla trascrizione della domanda giudiziale o arbitrale. Diversa dalla translatio è l’ipotesi in cui il procedimento, pendente dinanzi all’autorità giudiziaria, sia trasferito alla sede arbitrale, ex art. 1 d.l. n. 132 del 2014: a norma del comma 3 di tale disposizione, restano fermi gli effetti sostanziali e procedurali prodotti dalla domanda giudi- ziale, compresi quelli riconducibili alla sua trascrizione ex artt. 2652 e 2653 c.c. Può sorgere, tuttavia, almeno a livello teorico una questione: avve- nuto il trasferimento nelle modalità di cui all’art. 1 d.l. n. 132 del 2014, qualora l’attore non avesse trascritto la domanda giudiziale e vi sia ancora l’interesse all’adempimento di tale formalità, perché, ad esempio, il su- bacquirente non aveva, a suo tempo, provveduto a trascrivere il suo acquisto dal convenuto, quale atto occorrerà presentare al Conservatore, unitamente alla nota di trascrizione in doppio originale?

(27)B.SASSANI, op. cit., 109, il quale, poi, evidenzia con lucidità tutte le discrasie del funzionamento del meccanismo in esame, arrivando a ritenere persino « umoristici » alcuni aspetti della questione. (28)M.BOVE, op. cit., 89. (29)A.BRIGUGLIO, op. cit., 95, ove una possibile soluzione al problema. (30)S.MENCHINI, op. cit., 105.

72 Sarebbe errato pensare che tale atto debba identificarsi con il prov- vedimento con il quale, ex art. 2 d.l. n. 132 del 2014, il giudice, rilevata la sussistenza delle condizioni pretese dalla legge, dispone la trasmissione del fascicolo al Presidente del consiglio dell’ordine del circondario in cui ha sede il Tribunale o la Corte d’appello, per la nomina degli arbitri, perché, anche in tal caso, deve ritenersi applicabile l’art. 2658, comma 2, c.c., a norma del quale « per la trascrizione di una domanda giudiziale occorre presentare » al Conservatore « copia autentica del documento che la contiene, munito della relazione di notifica alla controparte », onde deve presentarsi l’originaria domanda giudiziale, dalla quale è possibile indivi- duare l’oggetto del contendere. Dai registri immobiliari, di conseguenza, nulla risulterà riguardo al trasferimento attuato ex art. 1 d.l. n. 132 del 2014, onde i terzi non avranno conoscenza, dalla loro consultazione, di tale vicenda modificativa, come non sono edotti, all’evidenza, di tutte le vicende del processo diverse da quelle tipiche riconducibili alle pubblicità secondarie (annotazioni e can- cellazioni). È questa, a nostro avviso, una ulteriore conseguenza (e conferma) dell’impostazione, ampiamente sostenuta in altra sede (31), secondo cui la funzione unica della trascrizione delle domande giudiziali è quella preno- tativa, cautelare e conservativa rispetto agli effetti ultra partes della sentenza e, per quanto qui ci occupa, del lodo che accolgono nel merito tale domanda, mentre la conoscenza o conoscibilità di tali vicende rap- presenta, al più, solo un effetto ulteriore ed indiretto.

5. L’art. 816 quinquies, ultimo comma, c.p.c. prevede che al proce- dimento arbitrale si applica l’art. 111 c.p.c., compresa, per quanto in questa sede interessa, la disciplina della successione a titolo particolare inter vivos nel diritto controverso (32). Con specifico riguardo a quest’ultimo aspetto — e con esclusione, dunque, dell’analisi delle problematiche riguardanti la successione mortis causa a titolo universale o particolare nel diritto controverso — occorre riferire una breve rassegna di dottrina sorta prima e dopo l’emanazione dell’art. 816 quinquies, ultimo comma, c.p.c., allo scopo di verificare la compatibilità fra arbitrato e successione nel diritto controverso.

(31)G.FREZZA, op. cit., 213 ss. (32) Sull’applicazione dell’articolata disciplina di cui all’art. 111 c.p.c. all’arbitrato, per una prima analisi, G. VERDE, Lineamenti di diritto dell’arbitrato, cit., 94; B. SASSANI, L’opposi- zione del terzo al lodo arbitrale, in questa Rivista, 1995, 211; L. SALVANESCHI, La domanda di arbitrato,inRiv. dir. proc., 1995, 645 ss. Deve, invece, escludersi, anche ad avviso dei sostenitori della « teoria unitaria dell’arbitrato », l’applicabilità dell’art. 111 c.p.c. all’arbitrato irrituale: per tutti, E. FAZZALARI, L’arbitrato, Torino, 1997, 22 ss.; C. PUNZI, Arbitrato (rituale e irrituale), cit., 1 ss.; B. SASSANI, Intorno alla compatibilità tra tutela cautelare e arbitrato irrituale, in questa Rivista, 1995, 710 ss.

73 La teoria negoziale dell’arbitrato incentra la vicenda successoria sulla convenzione arbitrale e non già sulla successione della res controversa e ritiene che l’arbitrato prosegua tra le parti originarie, con conseguente inapplicabilità dell’art. 111, comma 4, c.p.c., nonostante il lodo sia oppo- nibile ai subacquirenti subentrati nella fattispecie negoziale (33). È stato, tuttavia osservato, in senso contrario, che non appare oppor- tuno parlare di opponibilità del lodo ai terzi se intesi quali acquirenti e successori nell’accordo arbitrale: all’opposto, secondo il principio prior in termpore potior in iure, essi saranno coinvolti direttamente dall’accerta- mento del diritto oggetto del lodo e, di conseguenza, perderanno la qualità di terzi (34). È apparsa, altresì, criticabile la teoria secondo cui, nel caso di trasfe- rimento a titolo particolare del diritto controverso, l’estensione degli effetti del patto arbitrale al subacquirente sarebbe subordinata al « con- senso » espresso da tutti i soggetti dell’accordo modificativo, consenso da manifestarsi in forma scritta (forma per relationem)(35). L’impostazione non spiegherebbe come il dante causa possa, non applicandosi l’art. 111 c.p.c., mantenere la propria legittimazione ad agire in un giudizio arbitrale per un diritto precedentemente trasferito (36). Non diversa appare, almeno nell’impostazione di fondo, la teoria di altra dottrina per la quale il processo arbitrale prosegue nei confronti del subacquirente non già per l’applicabilità dell’art. 111, comma 4, c.p.c., ma per il subingresso automatico dell’avente causa nell’accordo compromis- sorio e, con esso, nel regime arbitrale dell’azione prescelto dal dante causa (37). Si badi che, rispetto alla teoria negoziale esposta poco sopra, secondo quella appena sintetizzata l’arbitrato proseguirebbe nei confronti dell’ac- quirente e non già riguardo al dante causa. L’impostazione, seppur suggestiva, è ritenuta non condivisile perché non spiega come possa giustificarsi il subingresso dell’avente causa nel- l’accordo compromissorio senza adesione scritta. Secondo la più recente giurisprudenza, infatti, nel caso di cessione del credito derivate dal con- tratto, il cessionario non può subentrare nell’accordo arbitrale se non ha aderito per iscritto alla clausola che accede al contratto (38).

(33) Per tutti, S. LA CHINA, L’arbitrato. Il sistema e l’esperienza, Milano, 1995, 95 ss; C. PUNZI, op. cit., 17. Altre indicazioni in F. MURONI, La pendenza del giudizio arbitrale, cit., 93, nt. 4. (34) Sembra questa la posizione di F. MURONI, op. loc. ult. cit. (35)C.PUNZI, Disegno sistematico dell’arbitrato, Padova, I, 2000, 559 ss. (36) Correttamente F. MURONI, La successione nella res litigiosa nell’arbitrato rituale interno e con profili di internazionalità: analisi retrospettiva dell’ultimo comma del nuovo art. 816-quinquies c.p.c., cit., 903. (37)E.REDENTI, Diritto processuale civile, Milano, 1957, I, 87 ss.; 197 ss. (38) Cass. sez. un. 17 dicembre 1998 n. 12616, nell’ambito di una questione ben più ampia che può essere sintetizzata attraverso l’ausilio della seguente massima ufficiale: « il cessionario

74 Considerata, poi, l’ipotesi in cui il processo arbitrale sia già iniziato, tale « subingresso automatico » sembrerebbe destinato a diventare una mera petizione di principio: come correttamente osservato, invero, « ri- manendo nell’esempio della cessione del credito, non si riesce a spiegare la ragione per la quale, per il solo fatto che il cedente abbia provveduto a notificare la domanda arbitrale, così determinando la pendenza del pro- cesso, il cessionario debba considerarsi subentrato nell’accordo arbitrale. Né, più in generale, riesce accettabile questa tesi del subingresso automa- tico dell’avente causa lite pendente nel patto compromissorio così come nel processo, se si considera che l’evento successorio potrebbe anche non essere dedotto innanzi agli arbitri, ed ancor prima rimanere all’oscuro del debitore ceduto convenuto, a cui non sia stata notificata l’intervenuta cessione » (39). Ribadita la teoria del subingresso automatico del successore nel patto compromissorio, altra parte della dottrina ritiene, invece, applicabile all’arbitrato l’art. 111 c.p.c. (ed in particolare, per quanto qui ci occupa, il comma 4), norma che, però, nell’ottica di tale orientamento, dovrebbe essere interpretata secondo la nota teoria « dell’irrilevanza » dell’evento

di credito nascente da contratto nel quale sia inserita una clausola compromissoria non subentra nella titolarità del distinto e autonomo negozio compromissorio e non può, pertanto, invocare detta clausola nei confronti del debitore ceduto; tuttavia quest’ultimo può avvalersi della clausola compromissoria nei confronti del cessionario, atteso che il debitore ceduto si vedrebbe altrimenti privato del diritto di far decidere ad arbitri le controversie sul credito in forza di un accordo tra cedente e cessionario al quale egli è rimasto estraneo. Il cessionario del credito nascente da contratto nel quale sia inserita una clausola compromissoria non subentra nella titolarità di tale negozio, autonomo e distinto rispetto al contratto al quale aderisce e non può, pertanto, avvalersi a suo favore della clausola nei confronti del debitore ceduto ». Ad avviso delle Sezioni Unite, per quanto qui da vicino occupa la nostra indagine, « dalla affermata autonomia del negozio compromissorio consegue, secondo la prevalente giurisprudenza, che la successione a titolo particolare nel rapporto sostanziale, per effetto della cessione, ai sensi degli artt. 1406 e ss. c.c., del contratto nel quale la clausola compromissoria è inserita, in virtù dell’accordo trilaterale tra cedente, cessionario ed altro contraente, non comporta automatica- mente la successione nel connesso ma un autonomo negozio compromissorio, occorrendo a tal fine una ulteriore specifica manifestazione di volontà di tutte le parti suddette (corsivo nostro, n.d.r.) (....). Se, quindi, il subentro del cessionario nel distinto negozio compromissorio è escluso (secondo la prevalente giurisprudenza) nel caso di cessione del contratto nel quale la clausola è inserita, ai sensi degli artt. 1406 ss. c.c., a maggior ragione deve ritenersi che il subentro non si verifichi nell’ipotesi di mera cessione di un credito nascente dal contratto nel quale è inserita la clausola ». Lungo la stessa linea, Cass. 19 settembre 2003 n. 13893, in Foro it., 2004, I, 638; Cass. 17 dicembre 1998 n. 12616. Contra, rispetto al principio di diritto sopra sintetizzato, Cass. 1 settembre 2004 n. 17531, secondo cui « al cessionario di un credito nascente da contratto nel quale sia stata inserita una clausola compromissoria possono opporsi tutte le eccezioni concer- nenti l’esistenza, la validità e l’efficacia dell’obbligazione dedotta in causa per l’adempimento, ma, tra tali eccezioni, non è evidentemente compresa quella, fondata sul contratto, concernente il modo stabilito in via convenzionale per la soluzione delle controversie ». La dottrina è pressoché unanime nella critica ad entrambi gli orientamenti: sintesi in E. ZUCCONI GALLI FONSECA, La convenzione arbitrale rituale rispetto ai terzi, Milano, 2004, 440 ss. (39)F.MURONI, La successione nella res litigiosa nell’arbitrato rituale interno e con profili di internazionalità: analisi retrospettiva dell’ultimo comma del nuovo art. 816-quinquies c.p.c., cit., 903.

75 successorio nel processo (40): di conseguenza, all’art. 111, comma 4, c.p.c. non dovrebbe attribuirsi la portata del fenomeno giuridico della sostitu- zione processuale (41). Per quanto in questa sede interessa, la prospettiva in esame è apparsa censurabile, oltre che per le critiche poco sopra rivolte alla teoria reden- tiana, anche perché appare contraddittorio aderire alla teoria dell’irrile- vanza e ritenere, al contempo, che la successione a titolo particolare inter vivos del diritto controverso determini l’efficacia ultra partes diretta del lodo nei confronti del terzo (42). La verità è che oggi, alla luce della rilevanza sistematica assunta dagli artt. 2652 e 2653 c.c. e 816 quinquies c.p.c., l’applicabilità dell’art. 111, c.p.c. al procedimento arbitrale — e, in particolare, della successione a titolo particolare inter vivos del diritto controverso — non può essere più discussa.

6. Occorre, ora, indagare il rapporto fra la funzione prenotativa della trascrizione e la pendenza della lite a tempo indeterminato, caso, quest’ultimo, che si verifica là dove il convenuto ricevuta la notifica della domanda di arbitrato, non proceda alla nomina del proprio arbitro e l’attore non attivi il procedimento di cui all’art. 810, comma 2, c.p.c. L’efficacia prenotativa, in tale circostanza, non potrà, ovviamente, protrarsi sine die a svantaggio del titolare del bene o del diritto oggetto della controversia, su cui verrebbe a gravare, come dire, una sorta di « vincolo di indisponibilità » (43). È innegabile, invero, che « la trascrizione rende difficilmente commercializzabile l’immobile sul quale viene ad incidere in quanto ha in ogni caso un’efficacia che non è molto lontana da quella di un vero sequestro » (44). Anche se si ritenesse applicabile, al caso qui prospettato, l’art. 2668 bis c.c., il problema non potrebbe dirsi risolto, perché tale ultima norma onera la parte interessata alla rinnovazione (rectius: ripetizione) della trascrizione a fini prenotativi, mentre il nostro caso ha ad oggetto la individuazione di un meccanismo volto alla cessazione dell’effetto della trascrizione quando la pendenza della lite sia a tempo indeterminato.

(40) La c.d. teoria dell’irrilevanza dell’evento successorio nel processo è riconducibile a E. ALLORIO, La cosa giudicata rispetto ai terzi, Milano, 1935, 165 ss.; V. ANDRIOLI, Diritto processuale civile, I, Napoli, 1979, 584; ed è stata, di recente, ripresa da G. VERDE, Profili del processo civile, I, cit., 2002, 220 ss.; A. ATTARDI, Diritto processuale civile, Padova, 1999, 328 ss. (41)C.CAVALLINI, Profili dell’arbitrato rituale, Milano, 2005, 163 ss. (42) Così, invece, C. CAVALLINI, L’alienazione della res litigiosa nell’arbitrato,inRiv. dir. proc., 1997, 156 ss. Altre e più pregnanti critiche in F. MURONI, La successione nella res litigiosa nell’arbitrato rituale interno e con profili di internazionalità: analisi retrospettiva dell’ultimo comma del nuovo art. 816-quinquies c.p.c., op. loc. ult. cit. (43) Si usano le parole di R. NICOLÒ, La trascrizione, III, La trascrizione delle domande giudiziali, Milano, 1973, 68. (44)L.FERRI,P.ZANELLI,inL.FERRI,P.ZANELLI,M.D’ORAZI-FLAVONI, Della trascri- zione,inCommentario del codice civile A. Scialoja e G. Branca, a cura di F. GALGANO, Bologna, Roma, 1995, 315.

76 Sul punto sono state prospettate, in dottrina, due configurazioni. Secondo la prima, la riforma del 2006 in tema di arbitrato consenti- rebbe di estendere la disciplina del codice di rito avente ad oggetto i termini di costituzione in giudizio dell’attore e del convenuto al procedi- mento arbitrale, onde l’estinzione di quest’ultimo si avrebbe non solo nei casi tipici di cui all’art. 819 bis c.p.c. (inattività delle parti) e all’art. 821 c.p.c. (inattività degli arbitri), ma anche nell’ipotesi corrispondente a quella di cui al coordinamento fra gli artt. 171 e 307 c.p.c. (45). A ciò conseguirebbe che, « rimasta senza riscontro l’istanza arbitrale (completa di tutti i requisiti) ritualmente notificata alla controparte, il ricorso di cui all’art. 810, comma 2, c.p.c. » andrebbe « presentato al presidente del Tribunale nel cui circondario ha sede l’arbitrato, nel termine di tre mesi previsto dall’art. 307, comma 1, c.p.c. Decorso inutilmente tale termine, il processo arbitrale si estinguerà », e con esso verrà meno la funzione prenotativa della trascrizione della domanda e di conseguenza occorrerà adempiere all’onere della cancellazione. A ben vedere, la più recente legislazione — compreso il d.l. n. 132 del 2014 — tende sempre più a sovrapporre le due forme di giustizia in esame, onde non appare condivisibile l’altro orientamento, quello che esclude il ricorso all’analogia, e, di conseguenza, ritiene che il procedimento arbi- trale non possa estinguersi se non nei casi tassativi; da qui, l’onere della parte interessata di compiere e sollecitare gli atti necessari alla prosecu- zione del procedimento (46). Problema diverso è quello della conservazione degli effetti della domanda nel caso di giudizio di rinvio ex art. 830, comma 4, c.p.c. L’impugnazione per nullità del lodo arbitrale può concludersi, infatti, con una decisione della Corte d’appello avente carattere non già rescissorio ma rescindente (47), con giudizio di rinvio dinanzi ad altro Collegio, facendo, dunque, salva la competenza arbitrale. Sorge il problema di individuare, in tal caso, se l’operatività della convenzione arbitrale conservi, per quanto qui ci occupa, gli effetti pre- notativi della domanda giudiziale originariamente trascritta. Autorevole dottrina propende per la soluzione negativa non già solo

(45)C.CORBI, op. cit., 735, il quale ha cura di precisare che « la contumacia sia dell’attore, sia del convenuto determina la cancellazione del processo, il quale, in difetto della pertinente riassunzione (entro tre mesi dalla scadenza di costituzione del convenuto a norma dell’art. 166 c.p.c., ovvero dalla data del provvedimento di cancellazione), sarò dichiarato estinto ». La prospettiva di cui qui al testo era sostenuta in dottrina prima della riforma del 2006, fra l’altro, da E. FAZZALARI, L’arbitrato, cit., 65; C. PUNZI, Disegno sistematico dell’arbitrato, cit., 685 ss.; S. LA CHINA, op. cit., 2007, 86. Successivamente, F. MURONI, La pendenza del giudizio arbitrale, cit., 327 ss. (46)G.BUGLIANI, La successione del procedimento arbitrale fra riassunzione e conserva- zione degli effetti della domanda, in questa Rivista, 2009, 411 ss. (47) Di recente C. CORBI, La nullità del lodo per violazione del contradditorio e la natura rescissoria del conseguente giudizio d’impugnazione, in questa Rivista, 2008, 73 ss.

77 perché la legge non disciplina espressamente tale ipotesi, ma soprattutto allo scopo di evitare una pendenza del procedimento arbitrale con durata indefinita (48). A ciò consegue che la parte interessata, con il consenso della contro- parte, dovrà chiedere la cancellazione della prima trascrizione e procedere autonomamente alla nuova trascrizione della domanda, con effetto pre- notativo, ovviamente, ex nunc.

7. Secondo l’art. 2658, comma 2, c.c. « per la trascrizione di una domanda giudiziale occorre presentare » al Conservatore « copia auten- tica del documento che la contiene, munito della relazione di notifica alla controparte ». La norma si applica direttamente al procedimento arbitrale (49), pur con delle peculiarità. È stato puntualmente osservato che, nel processo ordinario, « qua- lunque sia l’atto nel quale la domanda è contenuta, questa in tanto può essere validamente trascritta in quanto l’atto che la contiene sia notificato alla controparte » (50), onde l’ufficiale giudiziario, munito di poteri di certificazione, deve notificare la domanda e redigere la relata, rilascian- done copia autentica all’attore. Lo stesso procedimento si applica, in linea di principio, nell’ambito dell’arbitrato, anche se talune specificità emergono riguardo alle ipotesi in cui la domanda sia contenuta nel compromesso o sia trasmessa tramite raccomandata. Sorge, in tali casi, il problema di individuare cosa si intenda per « copia autentica » del documento che contiene la domanda, in modo che possa essere depositata presso la Conservatoria. Si contendono il campo due orientamenti. Secondo il primo, sarebbe sempre « indispensabile l’ausilio dell’uffi- ciale giudiziario per poter rendere opponibile ai terzi la domanda arbitrale e per poter ottenere un atto munito dei requisiti di cui all’art. 2658 c.c. » (51). La soluzione, come formulata, merita una precisazione. È discutibile, innanzitutto, parlare di « opponibilità ai terzi della domanda arbitrale », considerata la funzione propria della trascrizione della domanda che è provvisoria e non definitiva, in quanto collegata alla decisione finale, opponibile ai subacquirenti al verificarsi delle condizioni

(48)G.VERDE, Lineamenti di diritto dell’arbitrato, cit., 165. (49) Si parla in dottrina di interpretazione analogica (D. BORGHESI,inAA.VV., Arbitrato, Commentario diretto da F. CARPI, Bologna, 2007, 323 ss.), anche se, dal nostro punto di vista, è più corretto argomentare in termini di applicazione diretta, secondo compatibilità. (50)R.NICOLÒ, op. loc. ult. cit. (51)C.CORBI, La trascrizione della domanda arbitrale, cit., 738; G. DELLA PIETRA,in AA.VV., Diritto dell’arbitrato rituale, a cura di G. VERDE, Torino, 2005, 127 ss.; F. MURONI, La pendenza del giudizio arbitrale, cit., 327 ss.

78 stabilite dalla legge: la trascrizione di cui agli artt. 2652 e 2653 c.c. e, per quanto qui ci interessa, quella di cui alla domanda arbitrale, non sono assunte dal legislatore per l’opponibilità della domanda, ma come criterio di opponibilità dell’efficacia della sentenza e del lodo nel conflitto fra l’attore la cui domanda è stata accolta e il terzo avente causa dal conve- nuto soccombente (52). Fatta questa precisazione, la teoria in esame non appare condivisibile nel merito perché applica all’arbitrato, in via analogica, le norme sulle notificazioni del procedimento ordinario, là dove, invece, molto più sem- plicemente potrebbe essere utile riferirsi ad un pubblico ufficiale (ad esempio, un notaio), allo scopo di ottenere la copia autentica del docu- mento che contiene la domanda. D’altra parte, la critica rivolta a tale impostazione è facilmente superabile. Si osserva che la soluzione appena proposta « non appare convin- cente, in quanto le copie di atti formate da soggetti diversi dai depositari non fanno piena prova, ma, ai sensi dell’art. 2717 c.c., si collocano al livello di principio di prova scritta, dimostrando quindi la loro inidoneità ad essere trascritte » (53). A noi sembra, invece, che le norme sulla prova siano mal richiamate rispetto alla fattispecie di cui all’art. 2658, comma 2, c.c., la quale richiede, ai fini della trascrizione, la sola « copia autentica » del documento che contiene la domanda di arbitrato, copia che può essere rilasciata per definizione dai pubblici ufficiali, quali sono i notai. Per quanto riguarda, infine, la questione legata all’interpretazione dell’espressione « relazione di notifica » di cui art. 2658, comma 2, c.c., nei casi in cui, ai fini della notificazione dell’atto introduttivo, sia utilizzato il servizio postale mediante raccomandata con ricevuta di ritorno, vale quanto si è argomentato a proposito della medesima problematica emer- gente nel giudizio ordinario, aspetto al quale si rinvia per gli approfondi- menti: in quella sede si è aderito alla tesi più formalista, secondo cui la « relazione di notifica », di cui art. 2658, comma 2, c.c., nei casi in cui l’ufficiale giudiziario si sia avvalso, per la notificazione, del servizio po- stale, impone l’esibizione (anche) della ricevuta di ritorno, perché solo in tal modo il precetto di legge appare soddisfatto e la trascrizione può aver luogo (54).

8. Secondo l’art. 2668, commi1e2,c.c., « la cancellazione della trascrizione delle domande enunciate dagli articoli 2652 e 2653 e delle

(52)A.PROTO PISANI, op. cit., 287; L. MENGONI, Note sulla trascrizione delle impugnative negoziali,inRiv. dir. proc., 1969, 360 ss. (53)C.CORBI, op. loc. ult. cit. (54)G.FREZZA, op. cit., 227.

79 relative annotazioni si esegue quando è debitamente consentita dalle parti interessate ovvero è ordinata giudizialmente con sentenza passata in giudicato. Deve essere giudizialmente ordinata, qualora la domanda sia rigettata o il processo sia estinto per rinuncia o per inattività delle parti » (55). La cancellazione, dunque, presuppone la preesistente formalità pub- blicitaria, quella della trascrizione, e, come l’annotazione ex art. 2654 c.c., svolge la funzione di pubblicità notizia: essa rende noto il venir meno degli effetti della trascrizione della domanda. La dottrina è concorde sull’applicabilità dei riferiti principi anche alla cancellazione della domanda di arbitrato, pur con delle precisazioni che conseguono alla peculiarità del procedimento in esame (56). La cancellazione previo consenso delle parti non fa sorgere problemi peculiari, salva l’ipotesi in cui il diniego di una parte sia ingiustificato: in tal caso, essa potrebbe essere condannata a restituire alla controparte le spese del processo ordinario di cui all’art. 2668 c.c., e, se del caso, al risarcimento dei danni. La mancata cancellazione può, infatti, indurre incertezza sulla titola- rità del bene già oggetto della controversia. Qualche problema sorge, invece, intorno alla cancellazione disposta dagli arbitri. Ci si interroga, in particolare, se il lodo con cui si rigetta la pretesa attorea contenente l’ordine di cancellazione, debitamente depositato presso la segreteria del Tribunale competente, debba anche essere omo- logato ex art. 825 c.p.c. ai fini della cancellazione della domanda: la natura di scrittura privata non autenticata riconducibile, come già argomentato, al lodo, impone la risposta positiva al quesito posto. Qualche problema sorge sul c.d. passaggio in giudicato del lodo, preteso dall’art. 2668, comma 1, c.c., poiché la detta omologazione è indipendente dalla eventuale impugnazione del lodo: la parte interessata alla cancellazione avrebbe, secondo la dottrina, l’onere di chiedere alla cancelleria della Corte di appello, nella cui circoscrizione si è tenuto il procedimento arbitrale, un’attestazione dalla quale si evinca che nessuna impugnazione è stata proposta, nei termini, contro il lodo. Tale attesta- zione, unitamente alla copia del lodo depositato e, se del caso, notificato, dimostrerebbe la definitività della decisione (57), da presentare al Conser- vatore. Quanto all’ipotesi di estinzione del procedimento, da ultimo, si con- tendono il campo due orientamenti. Da un lato, si osserva che l’ordine di cancellazione, a seguito di

(55)G.GABRIELLI, La pubblicità immobiliare, cit., 173 ss. (56) Sintesi e riferimenti in C. CORBI, La trascrizione della domanda arbitrale, cit., 743 ss. (57) Indicazioni in G. DELLA PIETRA, op. cit., 129 ss.

80 estinzione, sia di competenza tanto degli arbitri quanto del giudice ordi- nario, ma la prospettiva si scontra, all’evidenza, con l’ostacolo secondo cui gli arbitri non potrebbero né emettere un’ordinanza con tale contenuto, inidonea di per sé ad essere omologata, né un lodo, perché la legge non conferisce loro un simile potere (58). La cancellazione a seguito di estinzione dovrà, dunque, essere dispo- sta dal giudice ordinario, con procedimento di volontaria giurisdizione.

The paper analyses the issues connected with the registration of the notice of arbitration, having regard both to Law no. 162 of 2014 which introduced alternative dispute resolution methods for certain kinds of civil disputes, and to the landmark judgment of the Constitutional Court which declared unconstitutional the second paragraph of Article 819-ter of the Code of Civil Procedure, in that it excludes the possibility of a “translatio iudicii” between court proceedings and arbitration. In light of the complexity of the topic, the main purpose of the paper is to analyse the difficulties connected to the registration process: the identification of the document to be registered; the applicability to arbitration of Article 111, para. 4, of the Code of Civil Procedure and of Article 2658 of the Civil Code and, last but not least, the problems related to the cancellation of the registration. In this way, the essay is both a valid research tool for academics and a useful aid to practitioners.

(58)G.DELLA PIETRA, op. loc. ult. cit.

81

GIURISPRUDENZA ORDINARIA

I) ITALIANA

Sentenze annotate

CORTE D’APPELLO DI MILANO, sentenza 1° luglio 2014; SECCHI Pres. ed Est.; V.C. e G.C. c. B.C.

Lodo - Impugnazione per nullità - Casi di nullità - Motivi di impugnazione - Lodo fuori dai limiti della convenzione d’arbitrato - Questione di competenza - Corte d’appello come giudice del fatto processuale.

Lodo - Impugnazione per nullità - Casi di nullità - Motivi di impugnazione - Motivo di cui al n. 4 - Merito non poteva essere deciso - Ultrapetizione - Pretermissione del litisconsorte necessario - Presupposti processuali dell’ar- bitrato - Riconducibilità.

La decisione relativa alla determinazione dell’ambito oggettivo della clausola compromissoria non integra una questione di merito ma una questione di « com- petenza », ed è pertanto impugnabile per nullità ai sensi dell’art. 829, comma 1, n. 4 c.p.c., per aver cioè pronunciato fuori dai limiti della clausola compromissoria. Nell’esaminare tale questione la Corte d’appello non deve limitarsi al controllo della decisione del collegio arbitrale ma ha il potere-dovere di procedere all’apprezza- mento dell’attività svolta nel processo dalle parti o dagli arbitri e all’esame degli elementi di fatto risultanti dagli atti acquisiti al processo stesso, al fine di accertare la sussistenza della dedotta nullità. Il motivo di nullità previsto dalla seconda parte del n. 4 dell’art. 829, comma 1, c.p.c. costituisce una norma di chiusura che ricomprende tutte le ipotesi, non censurabili con altri motivi di impugnazione, in cui gli arbitri abbiano erroneamente pronunciato per l’accoglimento o il rigetto delle istanze di merito avanzate da una parte nonostante l’insussistenza di un presupposto processuale diverso da quelli considerati nell’elenco del comma 1 dell’art. 829 c.p.c. In tale ipotesi rientra indubbiamente anche quella del lodo che abbia ammesso e pronunciato su domanda nuova e, dunque, inammissibile, incorrendo nel vizio di ultrapetizione. Anche l’evenienza del mancato rilievo del litisconsorzio necessario da parte degli arbitri deve ritenersi ricompresa nelle ipotesi — previste dalla seconda parte del n. 4 dell’art. 829, comma 1, c.p.c. — in cui gli arbitri abbiano erroneamente pronunciato per l’accoglimento o il rigetto delle istanze di merito avanzate da una parte

83 nonostante l’insussistenza di un presupposto processuale diverso da quelli conside- rati nell’elenco del comma 1 dell’art. 829 c.p.c.

MOTIVI DELLA DECISIONE.—(Omissis). — 2. Con il primo motivo dell’impu- gnazione principale V. e G. C. hanno lamentato che « il lodo ha pronunciato fuori dai limiti della convenzione d’arbitrato e ha deciso il merito in un caso un cui il merito non poteva essere deciso. Violazione dei limiti oggettivi della convenzione arbitrale — Art. 829, 1º comma, n. 4 c.p.c. ». 2.1. Il resistente B. C. ha eccepito che il motivo è inammissibile, in quanto, da un lato, muove da una erronea ricostruzione del decisum del Collegio Arbitrale, e, dall’altro lato, si risolve nella critica del risultato interpretativo del Collegio Arbitrale, dato che prospetta una diversa interpretazione della volontà delle parti, comportante un riesame del merito. In proposito, ha in particolare osservato che la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 178 del 2008, ha affermato che « una volta che gli arbitri hanno fissato, mediante l’interpretazione della clausola, l’ambito oggettivo di essa e, quindi, del loro potere decisorio il relativo dictum, proprio in quanto ha previamente definito « confini » della clausola stessa, non è impugnabile per nullità ai sensi dell’art. 829 c.p.c., comma 1, n. 4) (per avere, cioè, « pronun- ciato fuori dai limiti dei compromesso » o della clausola compromissoria), bensì unicamente ai sensi del combinato disposto dell’art. 829, comma 1, n. 5) e art. 823 c.p.c., comma 2, n. 3), vale a dire nel solo caso in cui la motivazione sul punto in esame risultati radicalmente inidonea alla comprensione dell’iter logico giuridico seguito dal collegio arbitrale o all’individuazione della ratio decidendi del lodo, ovvero, ai sensi dell’art. 829 c.p.c., comma 2, per violazione o falsa applicazione delle regole ermeneutiche codicistiche ». L’eccezione non è fondata. La pronuncia delle Corte di Cassazione richiamata dal resistente è espressa- mente fondata sul principio che « la questione della identificazione dell’oggetto della clausola compromissoria, quindi della individuazione delle controversie nascenti da contratto e che le parti, nell’esercizio della loro autonomia privata, hanno inteso compromettere in arbitri, e cioè nell’ambito oggettivo del potere decisorio degli arbitri stessi [...] non dà luogo [...] ad una questione di « compe- tenza » e/o di giurisdizione, ma, secondo la giurisprudenza di questa Corte — consolidata nell’affermare che sia all’arbitrato rituale che a quello irrituale va riconosciuta natura privata, configurandosi in ogni caso la devoluzione della controversia ad arbitri come rinuncia all’azione giudiziaria ed alla giurisdizione dello Stato per effetto di un’opzione per la soluzione della controversia sul piano privatistico (per tutte, Cass. Sez. un., n. 1251 del 2000; Cass. n. 16718 del 2006; n. 12714 del 2002) — configura una questione di merito, la cui soluzione richiede l’interpretazione della clausola secondo i canoni ermeneutici che la governano (art. 1362 c.c., e segg.) » (vd. Cass. n. 178 del 2008, in motivazione). Recentemente la Corte di Cassazione, decidendo a Sezioni Unite, ha rime- ditato tale orientamento, anche in considerazione delle modifiche legislative introdotte con il D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, giungendo alla conclusione che i rapporti tra arbitri e giudici ordinari debbano essere ricostruiti in termini di competenza. Dopo aver, tra l’altro, premesso che:

84 « La normativa, in parte introdotta con la L. n. 25 del 1994 ed in parte con il D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, pare contenere sufficienti indici sistematici per riconoscere natura giurisdizionale al lodo arbitrale, e per soddisfare quelle indi- cazioni, (sopra riportate) sui limiti entro i quali la scelta di un giudice diverso da quello statale può essere, dall’ordinamento, affidata alla autonomia dei privati. » « L’art. 819 ter c.p.c. nel disciplinare il rapporto tra cause devolute al giudizio degli arbitri e cause proposte davanti al giudice ordinario individua il rapporto fra i due processi in termini di « competenza »; e riconosce espressamente l’impugna- zione con regolamento di competenza avverso la sentenza emessa dal giudice (non — invece — nell’ipotesi di declaratoria sulla competenza pronunziata dall’arbi- tro). » « la stessa Corte Costituzionale, con sentenza n. 223 depositata il 19.7.2013 ha rilevato che con la riforma attuata con il D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, il legislatore ha introdotto una serie di norme che confermano l’attribuzione alla giustizia arbitrale di una funzione sostitutiva della giustizia pubblica. » la Corte di Cassazione ha infatti affermato che: « Dalla natura giurisdizionale, e sostitutiva della funzione del giudice ordina- rio, dell’attività degli arbitri rituali consegue che, lo stabilire se una controversia appartenga alla cognizione del giudice ordinario o degli arbitri si configura come questione di competenza (e ciò a prescindere dal fatto che il rimedio del regola- mento di competenza sia previsto ex art. 819 ter c.p.c. solo nei confronti della sentenza del giudice ordinario, ma ciò non sposta il fondo della questione, come nell’ipotesi di cui all’art. 46 c.p.c., che pure esclude il regolamento per le sentenze dei giudici di pace che attengano alla competenza), lo stabilire se una controversia appartenga alla competenza giurisdizionale del giudice ordinario, e, in tale ambito, a quella sostitutiva degli arbitri rituali, ovvero a quella del giudice amministrativo o contabile configura, invece, una questione di giurisdizione » (vd. Ordinanza Sez. U. n. 24153 del 25.10.2013 emessa in sede di regolamento di giurisdizione). Alla luce dei condivisibili principi enunciati dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, la decisione relativa alla determinazione dell’ambito oggettivo della clausola compromissoria non integra dunque una questione di merito, ma una questione di « competenza », ed è pertanto impugnabile per nullità ai sensi dell’art. 829, comma l, n. 4, c.p.c. (per avere, nella prospettazione degli impugnati princi- pali, pronunciato fuori dei limiti della clausola compromissoria). Nell’esaminare la questione relativa alla individuazione delle controversie, nascenti dal contratto, che le parti, nell’esercizio della loro autonomia privata, hanno inteso compromet- tere in arbitri, e, quindi, dell’ambito oggettivo del potere decisorio degli arbitri stessi, questa Corte non deve limitarsi al controllo della decisione del Collegio Arbitrale. Infatti, secondo un principio consolidato nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, « la natura dei giudizi di mera legittimità delle impugnazioni di lodi arbitrali, devolute alla competenza della Corte d’appello, non esclude, ove siano denunciati errores in procedendo, il potere-dovere di procedere all’apprezzamento dell’attività svolta nel processo dalle parti o dagli arbitri ed all’esame degli elementi di fatto risultanti dagli atti acquisiti al processo stesso, al fine di accertare la sussistenza della dedotta nullità, dato che la Corte d’appello, in quella sede, ha « il potere di apprezzare e valutare anche il fatto extraprocessuale, che abbia tuttavia

85 rilevanza nel processo, così come acquisito dal giudice a quo » » (cfr. Cass. n. 4492 del 2002, Cass. n. 4455 del 1986). 2.2 V. e G. C. hanno chiesto che i capi3e5deldispositivo del lodo e, come effetto, gli altri capi che ne sono conseguenza, vengano dichiarati nulli e/o annullati, ai sensi dell’art. 829, comma 1, n. 4, c.p.c., perché il Collegio Arbitrale era incompetente e/o privo di potestas iudicandi e non poteva pronunciare sul merito della controversia, essendo stato violato il fondamentale principio, conte- nuto nell’art. 808 c.p.c., relativo ai limiti oggettivi della convenzione arbitrale, per le seguenti ragioni: (Omissis). 2.3 Il motivo non è fondato. 2.4 Come correttamente affermato dal Collegio Arbitrale, B. C. ha posto a base della propria pretesa « le scritture private inter partes del 29 aprile 1996, contenenti le clausole compromissorie richiamate negli atti di nomina di arbitro ». Nei due distinti atti di nomina di arbitro (di identico tenore) con i quali ha instaurato i procedimenti successivamente riuniti, B. C. ha infatti testualmente affermato che, poiché nel ricorso per sequestro giudiziario depositato il 12.1.2012 i figli V. e G. C. « hanno preannunziato di voler instaurare il giudizio di merito finalizzato all’accertamento dei propri asseriti [...] diritti sulle azioni di S. It. S.p.A. nonché sulle azioni della V. P. S.p.A. e hanno dichiarato di voler chiedere, in via subordinata [...] « la nullità dell’operazione documentata dai contratti del 29 aprile 1996 » è interesse e diritto del dott. B. C. ottenere [...] l’accertamento dell’inesi- stenza dei diritti vantati dai dott.ri G. e V. C., per converso, l’accertamento, nei loro confronti, dei propri diritti quali fondati sugli accordi del 29 aprile e relativa esecuzione » (Omissis). E nella prima memoria depositata nel procedimento arbitrale B. C. ha precisato che le istruzioni dell’8.2.2011 a U. Fiduciaria affinché venissero « estinti e rimossi i mandati fiduciari formalmente in essere con i signori G. C., V. C. e M. C. (Omissis) » e venisse « contestualmente attivato un corrispondente mandato fiduciario, sempre avente ad oggetto tutte le azioni testé descritte, a beneficio del loro unico esclusivo pieno proprietario e fiduciante ultimo signor B. C. », erano state impartite « in piena coerenza con (ed esercitando) i poteri conferitigli dai figli nell’ambito degli Accordi » — « Accordi » da intendersi, secondo quanto precisato in detti atti, come il complesso di negozi posti in essere tra padre e figli il 29.4.1996: scritture private tra B. C. e i figli, procure generali conferite da V. e G. C. al padre, dichiarazioni di riconoscimento dell’interposizione fittizia indirizzate a B. C. da parte dei figli. (Omissis). Al contrario di quanto sostenuto dagli impugnanti principali, il Collegio Arbitrale ha dunque — correttamente — affermato che l’acquisto della proprietà delle azioni in capo a B. C. è derivato dall’esercizio, da parte dello stesso, del predetto diritto potestativo riconosciutogli dai figli con le scritture del 1996, contenenti la clausola compromissoria in forza della quale B. C. ha introdotto i procedimenti arbitrali successivamente riuniti. Non può pertanto esservi dubbio sulla competenza degli arbitri a decidere le domande di accertamento della proprietà delle azioni in conseguenza delle istru- zioni impartite da B. C. a U. Fiduciaria, trattandosi di domande attinenti alla « esecuzione » degli Accordi del 1996. Come osservato nel parere pro veritate prodotto da B. C., il diritto di disporre delle azioni, ad esso attribuito al punto 5º

86 delle scritture private del 29.4.1996, non poteva che manifestarsi nel potere di istruire le società fiduciarie, cui le azioni erano fiduciariamente intestate. 4. Con il secondo motivo — « Il lodo è stato pronunciato senza che sia osservato nel procedimento arbitrale il principio del contraddittorio (art. 829, Iº comma, n. 9 c.p.c.). Il Collegio ha deciso il merito in un caso in cui il merito non poteva essere deciso (art. 829, Iº comma, n. 4 c.p.c.). Contrarietà del lodo all’ordine pubblico (art. 829, 3º comma c.p.c.) » — gli impugnanti principali hanno dedotto che: (Omissis); — con la seconda memoria B. C. aveva invece proposto una diversa e nuova domanda, con la quale aveva chiesto al collegio di « accertare e dichiarare, ove ritenuta la proprietà fiduciaria in capo [ai figli] ... l’avvenuto trasferimento delle azioni ... per effetto delle istruzioni impartite da B. C. ad U. Fiduciaria... »(Omissis); — nella seconda memoria lo stesso B. C. aveva « confessato » la novità di tale domanda, precisando che costituiva « la logica alternativa » rispetto alle domande proposte con la prima memoria, delle quali si poneva « come subordinata »; — essi odierni impugnanti principali avevano eccepito nella terza memoria, e ribadito in sede di discussione, l’inammissibilità delle nuove domande, rifiutando di contraddire sulle stesse. 4.1. Il resistente B. C. ha eccepito che il motivo è inammissibile, in quanto la nullità prevista dal n. 4 dell’art. 829, 1º comma, c.p.c., non riguarda la corrispon- denza tra il chiesto e il pronunciato, alla quale si riferisce l’art. 112 c.p.c. davanti al giudice ordinario, ma la corrispondenza tra il contenuto (o l’ambito) oggettivo del patto compromissorio ed il decisum degli arbitri. L’eccezione non è fondata. Il motivo di nullità previsto nella seconda parte del n. 4 dell’art. 829, 1º comma, c.p.c. — che è stata aggiunta con la riforma del 2006 (« Il Collegio ha deciso il merito in un caso in cui il merito non poteva essere deciso ») — costituisce una norma di chiusura, che, come è stato osservato dalla dottrina, ricomprende tutte le ipotesi — non censurabili con altri motivi di impugnazione — in cui gli Arbitri abbiano erroneamente pronunciato per l’accoglimento o il rigetto delle istanze di merito avanzate da una parte nonostante l’insussistenza dì un presup- posto processuale diverso da quelli considerati nell’elenco del comma I dell’art. 829 c.p.c. In tali ipotesi rientra indubbiamente anche quella del lodo che — secondo la prospettazione degli impugnanti principali — abbia ammesso e pronunciato su una domanda nuova e, dunque, inammissibile, incorrendo vizio di ultrapetizione. 4.2. Gli impugnanti principali hanno sostenuto che le domande successiva- mente proposte sono diverse, sia per quanto riguarda il petitum che per quanto riguarda la causa petendi, atteso che: (Omissis). Tali assunti non sono condivisibili. Secondo il consolidato orientamento della Corte di Cassazione, la proprietà appartiene alla categoria dei diritto « autodeter- minati » (Omissis). 5. Con il terzo motivo dell’impugnazione principale V. e G. C. hanno dedotto che « Il Collegio ha pronunciato fuori dai limiti della convenzione d’arbitrato e ha deciso il merito in un caso in cui il merito non poteva essere deciso (art. 829, 1º comma, n. 4 c.p.c.) », perché, senza la partecipazione al giudizio del litisconsorte necessario U. Fiduciaria, l’arbitrato doveva essere dichiarato improcedibile.

87 5.1. B. C. ha eccepito l’inammissibilità del motivo in quanto comportante una non consentita rivalutazione del merito della decisione del Collegio Arbitrale, che « ha escluso che U. Fiduciaria abbia avuto un ruolo causativo nel trasferimento della proprietà delle azioni ». L’eccezione è infondata. Anche il lamentato mancato rilievo del litisconsorzio necessario di U. Fidu- ciaria deve infatti ritenersi ricompreso nelle ipotesi — previste nella seconda parte del n. 4 dell’art. 829, 1º comma, c.p.c. — in cui gli arbitri abbiano erroneamente pronunciato per l’accoglimento o il rigetto delle istanze di merito avanzate da una parte nonostante l’insussistenza di un presupposto processuale diverso da quelli considerati nell’elenco del comma 1 dell’art. 829 c.p.c. » (Omissis). Il motivo non è fondato. Come si è già ricordato, nei due atti di nomina di arbitro, di identico tenore, B. C. ha espressamente affermato che era suo interesse e diritto ottenere « l’ac- certamento dell’inesistenza dei diritti vantati dai dott.ri G. e V. C. e, per converso, l’accertamento, nei loro confronti, dei propri diritti quali fondati sugli accordi del 29 aprile e relativa esecuzione » (Omissis). Per quanto riguarda la simulazione dei mandati fiduciari stipulati dai figli con U. Fiduciaria — prospettata in via principale nella prima memoria — va in particolare osservato che, come evidenziato dal Collegio Arbitrale, B. C. non ha formulato una domanda diretta ad ottenerne l’accertamento con efficacia di giudicato nei confronti di U. Fiduciaria, ma ne ha dedotto la sussistenza « quale preteso antecedente logico-giuridico per decidere circa il rapporto fra padre e figli ». (Omissis). Come correttamente affermato dal Collegio Arbitrale, si tratta di « un accertamento dedotto in via incidentale, senza dover coinvolgere U. Fiduciaria », che non è quindi « litisconsorte necessaria », atteso che, secondo il costante orientamento della Corte di Cassazione, « l’accertamento incidentale della simu- lazione soggettiva del contratto non impone l’integrazione del contraddittorio — non ricorrendo un’ipotesi di litisconsorzio necessario — dal momento che tale accertamento può compiersi e produrre i suoi effetti tra le parti del processo senza necessità di chiamare in giudizio il terzo » (Cass. n. 10841 del 2000, Cass. n. 10490 del 2006, Cass. 3727 del 2003). (Omissis). 8. Con il sesto motivo — « Contrarietà all’ordine pubblico delle pronunce adottate (art. 829, 3º comma, c.p.c.) » — V. e G. C. hanno in primo luogo sostenuto che: — il Collegio aveva reputato che l’atto dell’8.2.2011 era stato idoneo « a trasferire al dott. B. C., ai sensi del punto 5 dei Contratti del 1996, la formale e definitiva proprietà delle azioni già oggetto dei mandati fiduciari correnti tra i figli ed U. Fiduciaria »; — come osservato dall’Arbitro dissenziente, « la soluzione adottata nel lodo viola un principio fondamentale del nostro ordinamento, onde si esige che i beni circolino per consenso delle parti », dato che « nel caso concreto non si dà un atto con efficacia traslativa compiuto da B. C. nei confronti dei precedenti titolari delle azioni »; (Omissis). 8.1. Sotto questo primo profilo il motivo è inammissibile, in quanto tende in realtà ad ottenere un riesame dell’interpretazione degli accordi del 1996 data dal Collegio, precluso nella fase rescindente della impugnazione (cfr. Cass. n. 5857 del

88 2000, Cass. n. 5508 del 2001, Cass. n. 2566 del 2002, Cass. n. 2474 del 2003, Cass. n. 11091 del 2004). (Omissis). 9. Con una prima censura contenuta nei settimo motivo — « Il lodo è stato pronunciato senza che sia stato osservato nel procedimento arbitrale il principio del contraddittorio (art. 829, Iº comma. n. 9 c.p.c.). » — gli impugnanti principali hanno dedotto che: — nell’arbitrato di equità, nel quale possono adottare un criterio di giudizio frutto di una valutazione autonoma e libera, gli arbitri devono previamente enunciare i criteri generali ai quali si atterrano nel formulare il loro giudizio; — in difetto di tale enunciazione, come era avvenuto nella specie, « le parti non hanno modo di svolgere nel corso del processo le loro difese, nell’impossibilità di identificare le fattispecie rilevanti e gli oneri di allegazione e di prova che fanno loro carico (perché conseguenza della regola giuridica applicabile) ». 9.1 La censura è inammissibile, ai sensi dell’art. 829, secondo comma, c.p.c., in quanto nel corso del procedimento arbitrale V. e G. C. non hanno eccepito la mancata enunciazione di una regola che disciplinasse lo svolgimento del procedi- mento arbitrale. (Omissis).

Prove di elasticità del motivo di impugnazione di cui all’art. 829, comma 1, n. 4, c.p.c.: l’impugnabilità di un lodo ultra vires.

1. Con la sentenza in epigrafe (1), la Corte d’appello di Milano, investita di un’impugnazione di lodo arbitrale, definisce l’incerto ambito applicativo del motivo di cui all’art. 829, comma 1, n. 4, c.p.c., che ammette l’impugnazione per nullità in tutti i casi in cui il lodo ha deciso il merito quando « il merito non poteva essere deciso », adeguando l’indetermina- tezza della norma, procurata dalla novella del 2006, alla tassatività del sistema in cui questa è inserita. La vicenda arbitrale (2), finita all’esame della Corte, principiava da due clausole compromissorie inserite in altrettanti accordi in forza dei quali un padre trasferiva ai due figli, per tramite di una società fiduciaria, la proprietà di un certo numero di azioni, riservandosi il potere di disp*rne. A seguito di conflitti familiari, il padre dava istruzioni alla società fiduciaria di estinguere i mandati a favore dei figli e intestare a lui medesimo quelle azioni. Alla reazione dei figli, e in forza delle clausole compromissorie contenute nei predetti accordi, il padre avviava l’arbi-

(1) Il primo commento è di MARINUCCI, I motivi di impugnazione per nullità del lodo arbitrale sotto la lente di ingrandimento della Corte d’appello di Milano, in fase di pubblicazione. (2) La vicenda arbitrale, anche per la tangibilità dei problemi processual-civilistici che ha posto, tutti insieme, ha stimolato gli autorevoli commenti di COLESANTI, Notarelle « controcor- rente » in tema di arbitrato e litisconsorte necessario,inRiv. dir. proc., 2013, 4-5, 791 ss.; SASSANI, Modificazioni della domanda, diritti autodeterminati, litisconsorti necessari, in questa Rivista, 2013, 4, 883 ss.; CONSOLO, Domande autodeterminate e litisconsorzio necessario nel giudizio arbitrale,inRiv. dir. proc., 2013, 6, 1406 ss.

89 trato, sfociante nel lodo scrutinato dalla Corte d’appello, avendo interesse a vedere dichiarato il suo diritto di proprietà su quelle azioni. Egli affermava, in un primissimo momento, di essere sempre stato l’unico ed esclusivo proprietario, allegando, nella fattispecie acquisitiva del diritto di proprietà, la simulazione (soggettiva) dei mandati stipulati tra la fiduciaria e i convenuti. Qualora il collegio arbitrale avesse invece configurato, negli originari accordi, un effettivo, e non simulato, trasferimento fiduciario, l’istante chiedeva, formalizzando tale domanda solo in un secondo mo- mento, sempre l’accertamento del proprio diritto di proprietà ma allegava, come fatto acquisitivo, l’avvenuto (ri)trasferimento del diritto dei figli a lui per effetto dell’esercizio di un diritto potestativo concessogli dagli stessi originari accordi (3). Il lodo accerta il diritto di proprietà su quest’ultimo fatto costitutivo, ossia sulla modificata causa petendi: motivo, questo, per gli impugnanti, di vizio del lodo per ultrapetizione. Essendosi poi accertato il diritto di proprietà in assenza della società fiduciaria, formale intestataria del bene controverso, il lodo sarebbe risultato viziato anche per aver pretermesso un litisconsorte necessario. Per la Corte d’appello di Milano, investita dell’impugnazione del lodo, entrambe le censure sono astrattamente riconducibili al motivo di cui al n. 4 dell’art. 829, comma 1, c.p.c., nella sua nuova seconda parte, per avere cioè il lodo deciso il merito « in [casi] in cui il merito non poteva essere deciso ». Qui si intende analizzare, allora, l’estensione applicativa del motivo in parte qua, non senza alcune necessarie verifiche preliminari o accessorie.

2. La Corte d’appello di Milano conferma anzitutto l’ambito appli- cativo del motivo di impugnazione di cui all’art. 829, comma 1, n. 4, c.p.c., prima parte (« se il lodo ha pronunciato fuori dei limiti della convenzione d’arbitrato »). Per gli impugnanti principali, che invocano il motivo in esame (qui, nella sua prima parte), il collegio arbitrale si sarebbe pronunciato su una domanda esorbitante i limiti oggettivi della clausola compromissoria, tanto che, nel dichiarare il diritto di proprietà, il lodo nemmeno faceva riferimento ai contratti contenenti la clausola ma ad altri negozi. La Corte giudica l’impugnazione ammissibile, e quindi astrattamente riconducibile al motivo di cui al n. 4 la questione, fermo che tale conte- stazione non « si risolve nella critica del risultato interpretativo del Col-

(3) Nella sentenza trova conferma che quel secondo fatto acquisitivo fosse già stato allegato nella prima memoria e la domanda deducente formalizzata in un non necessario capo emendativo della seconda memoria. V. CONSOLO, Domande autodeterminate, cit., 1407.

90 legio Arbitrale, dato che prospetta una diversa interpretazione della volontà delle parti, comportante un riesame nel merito ». Dunque, è di sola infondatezza il giudizio sulla eccezione; perché, si sostiene, se la questione dei limiti della convenzione arbitrale è questione di « competenza » e non di merito, il motivo da invocare quando sia contestata è proprio quello di cui al n. 4. In realtà, il motivo de quo menziona precisamente i « limiti della convenzione d’arbitrato » così che la sua invocabilità quando una parte contesti la potestas iudicandi degli arbitri asserendo l’esorbitanza del lodo dai limiti della convenzione arbi- trale appare testuale e il richiamo alla competenza non necessario (4). Infatti, se la questione dei « limiti della convenzione d’arbitrato » è questione di competenza, allora i giudici d’appello, nell’esaminare tale questione, non « dev[ono] limitarsi al controllo della decisione del Colle- gio Arbitrale » ma hanno il « potere-dovere di procedere all’apprezza- mento dell’attività svolta nel processo dalle parti o dagli arbitri ed al- l’esame degli elementi di fatto risultanti dagli atti acquisiti al processo stesso, al fine di accertare la sussistenza della dedotta nullità » (5), analo- gamente a quello che la Corte di cassazione, investita del ricorso ex art. 360nn.1,2e4c.p.c., ha il potere-dovere di fare (6). Si tratta come è stato affermato in uno dei primi commenti, « di una precisazione importante e affatto scontata » (7). Dalla qualificazione in termini di competenza della eccezione d’arbi- trato, cui ha aderito la Corte d’appello con la sentenza in epigrafe, viene poi che l’incompetenza, da nullità extra-formale, si converte in nullità formale del lodo, frustrando l’applicazione dell’art. 161, comma 1, c.p.c., che è norma che si applica anche ai lodi arbitrali (8), ma che « è destinata a rimanere operante nell’ambito esclusivamente processuale ed è incapace di alterare la natura (eventualmente diversa) delle nullità originariamente verificatesi » (9).

(4) V., sul punto, SALVANESCHI, Arbitrato, Bologna, 2014, 556, per la quale « l’avvicina- mento della questione relativa alla ripartizione del potere decisorio tra giudice e arbitro alla competenza » non ha un significato tecnico. V., anche, ivi richiamata, IZZO, Appunti sull’ecce- zione di compromesso e sulla sentenza che la decide,inAULETTA,CALIFANO,DELLA PIETRA, RASCIO (a cura di), Sull’arbitrato, 2010, 452 ss. (5) Cass. civ., 28 marzo 2002, n. 4492; Cass. civ., 8 luglio 1998, n. 4455 (6) L’associazione al ricorso per cassazione è nella nota di MARINUCCI, I motivi di nullità, cit., 17-18. Sul giudice di cassazione come giudice del fatto processuale, v., recentemente, BALENA, Questioni processuali e sindacato del « fatto » in Cassazione,inGiusto proc. civ.,,3, 2012, 837 ss, che commenta Cass. civ., S.U., 22 maggio 2012, n. 8077. (7) Così MARINUCCI, I motivi di nullità, cit., 17. Invero, già così, AULETTA , La nullità del lodo e del procedimento arbitrale nel sindacato della Corte di cassazione,inGiust. civ., 2005, 6, cit., 1599, con richiamo a Cass. civ., 14 luglio 1983, n. 4832. (8) V. Cass. 16 febbraio 2001 n. 2293. (9) Così AULETTA, La nullità del lodo, cit., 1599, il quale estende l’analisi dei motivi di nullità del lodo e del procedimento al successivo sindacato della Corte di cassazione. La conferma, della diversità di trattamento (anche sotto il profilo della loro sanabilità e assorbi- bilità nel giudicato) dei vizi indicati dall’art. 829 c.p.c., quindi della loro non omogeneità, pur

91 3. Lo stesso motivo di impugnazione, ma la sua seconda parte (« se il lodo ha deciso il merito in ogni altro caso in cui il merito non poteva essere deciso ») è invocato dagli impugnanti per dolersi dell’« ultrapeti- zione » della decisione arbitrale derivante non già dall’aver pronunciato oltre i limiti della convenzione arbitrale, ma dalla violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato. La seconda parte della norma, come già detto, è stata introdotta con la novella del 2006, la stessa che mirava a una « razionalizzazione » del mezzo impugnatorio tipico dell’arbitrato. Anzitutto, pur se entro il medesimo motivo, si è mantenuta la distin- zione, e trattazione distinta, tra il caso preesistente al 2006 — e tipico dell’arbitrato — di lodo che decide oltre i limiti della clausola compro- missoria (di cui alla prima parte del motivo), dal caso — più generalmente tipico di ogni processo — di pronuncia che, pur entro quei limiti arbitrali, decida il merito in tutti quegli altri casi in cui il merito non può essere deciso (di cui alla nuova seconda parte del motivo). La dottrina si è interrogata sulla portata applicativa di tale nuovo motivo di impugnazione (10), introdotto entro il motivo di cui n. 4, senza però avere riscontri confirmatori dall’applicazione della nuova norma al caso concreto: a quali « altr[i] » casi si riferisce il motivo? La sentenza in epigrafe sembra fornire una risposta. La Corte d’appello di Milano, aderendo all’interpretazione della dottrina (11), riconduce infatti alla seconda parte del motivo (almeno) due censure: l’ultrapetizione, dedotta nel procedimento arbitrale, e in cui sarebbe incorso il lodo arbitrale pronunciandosi su domanda nuova, nonché la pretermissione del litisconsorte necessario. Si proveranno ora ad analizzare le ragioni e i limiti di tale riconduzione, trattando separata- mente i due casi. tutti convertendosi in motivi di nullità del lodo, viene anche dal successivo art. 830 c.p.c. V. in generale sulla nullità degli atti processuali, in cui va necessariamente calata la disciplina de qua, ID., Nullità e inesistenza degli atti processuali, Padova, 1999, 189 ss. (10) Si sono interrogati, MARINUCCI, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma, cit., 156 ss., che riconduceva al motivo de quo « tutte le ipotesi, in cui gli arbitri avrebbero dovuto pronunciare una decisione di inammissibilità in rito anziché decidere il merito della controversia, a causa di una questione processuale impediente » diversa da quelle previste nell’art. 829, comma 1, nn. 1, 2, e 4, prima parte, così, conseguentemente, riconducendovi, tra gli altri, il caso di pretermissione del litisconsorte necessario che abbia stipulato la convenzione arbitrale quindi il caso di non integrità del contraddittorio (il che impone, come nei processi ordinari, ex artt. 354 e 383 c.p.c., la rimessione al primo giudice, come confermato dall’art. 830, comma 2, c.p.c.). Riconduceva lì, allora, anche il caso di lodo viziato da ultra o extrapetizione ma (ci sembra) nella sola ipotesi di pronuncia su domanda non proposta dalle parti. Nel senso che l’evenienza di cui alla nuova seconda parte del motivo è riscontrabile quando vi sono questioni processuali impedienti ma non espressamente nelle ipotesi di ultra o extrapetizione, MENCHINI, L’impugnazione del lodo rituale, in questa Rivista, 2005, 4, 843 ss., 850. Nello stesso senso, come si leggerà nel testo, anche, CONSOLO, Le impugnazioni delle sentenze e dei lodi, cit., 556 ss. (11) V. nota precedente.

92 4. La Corte d’appello ha ricondotto alla seconda parte del motivo di cui al n. 4 la censura di ultrapetizione, disattendendo l’eccezione di inammissibilità del resistente che si fondava sull’assunto per cui tale motivo « non riguarda la corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato [...] ma la corrispondenza tra il contenuto (o l’ambito) oggettivo del patto compromissorio ed il decisum degli arbitri ». Nell’ammettere l’impugnazione, per poi dichiararla infondata nel merito, la Corte d’appello richiama la dottrina affermando che il motivo di nullità in commento « costituisce una norma di chiusura [...] che ricom- prende tutte le ipotesi — non censurabili con altri motivi di impugnazione — in cui gli Arbitri abbiano erroneamente pronunciato per l’accoglimento o il rigetto delle istanze di merito avanzate da una parte nonostante l’insussistenza di un presupposto processuale diverso da quelli considerati nell’elenco del comma 1 dell’art. 829 c.p.c. » per concludere che rientra « indubbiamente » in tali ipotesi anche il caso di lodo viziato da ultrape- tizione perché ha ammesso e si è pronunciato su domanda asseritamente nuova. A nostro avviso una tale conclusione non è così sicura. La processua- lizzazione dell’arbitrato operata dal legislatore del 2006 troverebbe qui una conferma, e così il trend delle recenti pronunce giurisprudenziali che tendono via via ad appiattire l’arbitrato sul processo e sulle sue dinamiche processuali per esigenze che si sono via via imposte. L’avvicinamento dell’arbitrato al processo, specie nei suoi effetti, di per sé senz’altro positivo considerando le tante manchevolezze del primo rispetto al se- condo, non deve tuttavia andare a sfavore dell’arbitrato offrendone usi strumentali. Così, l’ultrapetizione, e la novità di una domanda, che è tale secondo i noti — ma anche complessi, quindi incerti (12) — criteri processual civilistici per identificarla, può configurare motivo di nullità del lodo arbitrale solo ove ricorra una delle seguenti condizioni, e ferma la sua deduzione nel procedimento arbitrale: che le parti, titolari delle posizioni sostanziali e, insieme agli arbitri, del procedimento, rimanendo tuttavia le sole depositarie della capacità di prescrivere forme a condizione di validità del lodo, abbiano così voluto e infine imposto anche agli arbitri un calendario scandito da preclusioni (e soltanto allora il lodo sarà impugna- bile per il diverso motivo di cui all’art. 829, comma 1, n. 7, c.p.c.) (13);

(12) V. recentemente e proprio con riferimento alla vicenda arbitrale de qua,SASSANI, Modificazioni della domanda, diritti autodeterminati, litisconsorti necessari, cit., 883 ss. Sul tema, in generale, dell’ultra e dell’extra-petizione, si veda BARLETTA, Extra e ultrapetizione. Studi sui limiti del dovere decisorio del giudice, Milano, 2012. (13) Nei diagrammi di Eulero-Venn, immaginati dalla dottrina, metteremmo nella prima circonferenza, quella dell’« autonomia delle parti », il potere di fissare regole a condizione di validità del lodo ex art. 829, comma 1, n. 7, c.p.c. mentre metteremmo nell’intersezione, tra quella circonferenza e quella dei « poteri degli arbitri », la fissazione delle norme che gli arbitri

93 oppure, quando, e solo se, venga violato il principio del contraddittorio, ossia quando la parte, « disorientata » dalla novità della domanda, non ha avuto la possibilità di difendersi su quella domanda nel corso del proce- dimento arbitrale (ma poi il lodo sarà impugnabile per il diverso motivo di cui all’art. 829, comma 1, n. 9, c.p.c.) (14). Nel caso sottoposto al sindacato della Corte d’appello di Milano l’impugnazione avrebbe dunque potuto essere considerata inammissibile prima ancora che infondata quindi prima ancora di indagare e negare (sul)la novità della domanda. Se si condivide che il motivo in esame « riveste il carattere di norma di chiusura » (15), non deve però lo stesso aprire a troppo ampie possibilità di impugnazione, anche e soprattutto la sua seconda parte introdotta da una novella che aveva l’obiettivo di razionalizzare l’impugnativa in esame. Se, come osservato, tale motivo copre tutti quei casi in cui gli arbitri « abbiano erroneamente pronunciato per l’accoglimento o il rigetto delle istanze di merito avanzate nonostante l’insussistenza di un presupposto processuale diverso da quelli considerati nell’art. 829, comma 1, c.p.c. (quali ad esempio un difetto di interesse ad impugnare, di capacità processuale o di legittimazione ad agire, la pretermissione di uno o più litisconsorti necessari, etc.) » o finanche il caso di « arbitri [che] abbiano pronunciato su di una controversia astrattamente compresa nella conven- zione d’arbitrato, ma che le parti non hanno inteso devolvere ad arbi- tri»(16), non può rientrarvi il caso di arbitri che si pronunciano su domanda (rientrante nella clausola compromissoria, avanzata nella prima memoria ma dall’impugnante ritenuta) nuova quindi inammissibile (17). Nemmeno, nel caso di specie, la censura era sussumibile entro il motivo di cui al n. 7 non avendo l’impugnante indicato la regola procedi- mentale, prescritta dalle parti « sotto espressa sanzione di nullità », di cui

debbono seguire nel procedimento ex art. 816-bis c.p.c.. V. F. AULETTA, Autonomia delle parti, poteri degli arbitri e procedimento arbitrale,inGiusto proc. civ., 2011, 2, 385 ss. (14) Così, MARINUCCI, I motivi di nullità, cit., 19, pur giungendo l’Autrice a una conclu- sione in parte diversa. (15) Così, MARINUCCI, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma, cit., 156, con espressione ripresa anche dalla sentenza. (16) Così, CONSOLO, Le impugnazioni delle sentenze e del lodo, cit., 556-557, che accoglie la definizione più ampia di « presupposto processuale ». Quella maggior ampiezza che crediamo sia necessitata in arbitrato dove l’organo espressivo della funzione giurisdizionale non è precostituito: ciò ha delle ricadute anche sotto il profilo degli effetti dell’accertamento della loro sussistenza o insussistenza e in particolare sotto il profilo della loro sanabilità e conversione in motivi di impugnazione. Cfr. supra par. 2. Sulla seconda evenienza riportata dall’Autore, quindi sull’esorbitanza della pronuncia dal mandato arbitrale ma entro i limiti della convenzione arbitrale, v. infra. (17) Nella stessa elencazione dell’Autore da ultimo citato, sebbene si tratti di elencazione esemplificativa, manca tale ipotesi. Cfr. AULETTA, La nullità del lodo, cit., 1598 ss., il quale, riconduceva, ante riforma, al motivo di cui al n. 4 « l’eccesso di potere giurisdizionale in cui siano incorsi gli arbitri » ma sempre con riferimento all’ipotesi di eccesso di potere rispetto ai limiti della convenzione arbitrale, richiamando Cass. civ., 16 febbraio 2001 n. 2293.

94 il giudice dell’impugnazione avrebbe dovuto accertare la violazione: ra- gione che esclude la riconducibilità della censura, anche in astratto, al motivo di cui al n. 7 (18). Il calendario del lavori, e così l’assegnazione dei termini per memorie, erano stati (come da prassi arbitrale) fissati dagli arbitri, e non valga l’argomento — anche ammettendo che un « divieto » di domande nuove e/o di integrazioni di quelle già proposte fosse stato impartito — che gli arbitri hanno fatto proprie le regole volute della parti. Riteniamo infatti che ciò non sia sufficiente a integrare, anche in astratto, il motivo di cui al n. 7 (19). Anche tale motivo è stato modificato dal legislatore del 2006, nel senso e nell’ottica di rimuovere l’appiattimento dell’arbitrato sul giudizio ordinario lasciando alle parti la possibilità di « configurare ex novo nullità » (20). Prima del 2006, invece, la violazione delle regole procedimentali fissate dalle parti caducava il lodo solo se dette regole ricalcavano quelle dettate dal legislatore per il processo statale, ma anche allora era necessaria, a configurare la nullità del lodo, una espressa prescrizione delle parti in questo senso, che non era sostituibile con analoga prescrizione degli arbitri (21). Alcuni, come il resistente nel caso concreto, arrivano sin a sostenere che all’arbitrato non è riconducibile la censura di infra o di extrapetizione (o ultrapetizione) propriamente dette (22), poiché tali espressioni, che vengono dal processo civile, non si adattano al contesto arbitrale in cui la potestas iudicandi degli arbitri, quindi l’esorbitanza di questi rispetto ai limiti della convenzione arbitrale, non va tarata sul principio della corri- spondenza tra chiesto e pronunciato (in forza del quale l’attività giurisdi- zionale del giudice è attività dovuta ed è dovuta nei soli limiti in cui è richiesta) (23) ma sul principio volontaristico, quindi sulla volontà delle

(18) Per MARINUCCI, I motivi di impugnazione, cit., l’impugnazione, sussunta entro il motivo di cui al n. 7 sarebbe stata ammissibile, ma infondata. Sul significato di nullità di cui al motivo n. 7, v. infra, in nota 21, AULETTA, La nullità degli atti processuali, Padova, 1999, 60 ss. (19) Così, MARINUCCI, L’impugnazione per nullità del lodo sotto la lente di ingrandimento della Corte d’appello di Milano, cit., 19. (20)CONSOLO, Le impugnazioni delle sentenze e dei lodi, cit., 558. (21) Così, CONSOLO, Le impugnazioni delle sentenze e dei lodi, cit., 558. La sanzione della nullità è oggi invece rimessa esclusivamente alle parti le quali possono prescrivere « forme » o condotte, anche diverse dal modello legale, la cui inosservanza da parte degli arbitri è sanzionata con la nullità del lodo da accertare con l’impugnazione. Cfr. AULETTA, La nullità degli atti processuali, cit., 60 ss., in part. 86, dove l’Autore ben evidenzia la deroga, in arbitrato (come giudizio non pubblico), al principio di legalità cui sottostà la fattispecie dell’atto processuale nullo, la stessa che esalta il principio di legalità nel processo pubblico. (22)V.BARLETTA, Extra e ultra petizione, cit., 8, dove anche la sottile e insicura distinzione tra extra ed ultrapetizione, la prima delle quali ricorrerebbe quando il giudice si pronunci su una « causa » diversa da quella introdotta dall’attore mentre la seconda ricorre- rebbe quando la sentenza ecceda il petitum. (23)V.BARLETTA, Extra e ultra petizione, cit., 14 ss.

95 parti espressa nel patto compromissorio (24). Se le parti decidessero, entro i confini della clausola compromissoria, di circoscrivere il mandato affi- dato agli arbitri (con un acte de mission tipico di alcuni arbitrati ammini- strati, ad esempio) (25) allora, e solo in questo caso, una decisione degli arbitri entro i limiti della convenzione arbitrale, ma esorbitante il mandato assegnatogli, sarebbe riconducibile al motivo in esame. Tuttavia tale ricostruzione non convince. Quello che forse è possibile affermare, seguendo questo orienta- mento, è soltanto che, se nel processo ordinario la regola della corrispon- denza tra il chiesto e il pronunciato deve essere messa in rapporto principalmente al principio della domanda (artt. 99 c.p.c. e 2907 c.c.) e al carattere dispositivo del processo civile dal punto di vista del giudice (26), in arbitrato, e nei limiti della convenzione arbitrale da cui questo origina, tale regola deve invece essere messa in relazione principalmente alla garanzia del contraddittorio — ed è nei limiti di questa che è censurabile il suo risultato quando si assuma la violazione di quella regola — dal momento che il processo arbitrale, ancor più di quello ordinario, è « cosa » delle parti e nessun dovere decisorio, almeno ex lege, è imposto agli arbitri (27). Il che non vuol dire che l’art. 112 c.p.c., applicazione diretta di un postulato di teoria generale del diritto e del processo, non si applichi all’arbitrato. Se poi il nuovo motivo introdotto nel 2006 sembrava effettivamente modellarsi e recepire (sul)la legge modello Uncitral, che nel prevedere quattro motivi di impugnazione (28), col tentativo di uniformare le legi- slazioni nazionali, ammette l’impugnazione del lodo che « deals with a dispute not contemplated by or not falling, within the terms of the submis- sion to arbitration, or contains decisions on matters beyond the scope of the submission to arbitration », a ben vedere non è così. Il motivo introdotto dalla riforma italiana del 2006 non rispecchia quel modello — che san- ziona l’eccesso di potere in base al mandato arbitrale (terms of submis- sion) e non alla clausola compromissoria (arbitration agreement) — ma, come osservato, « fa da pendant » al motivo di cui al n. 10 che consente di impugnare il lodo « se il lodo conclude il procedimento senza decidere il merito della controversia e il merito doveva essere deciso », entrambi

(24) Così, seppur con riferimento all’arbitrato internazionale, LATTANZI, L’impugnativa per nullità, Milano, 1989, 252. V., sul tema e dove il richiamo, ATTERITANO, Arbitrato estero,in Digesto delle discipline privatistiche: sezione civile (Aggiornamento 3), Torino, 78 ss. (25)V.ATTERITANO, Arbitrato estero, cit., par. 15. (26) Così, testualmente, BARLETTA, Extra e ultra petizione, 10, e la dottrina prevalente e giurisprudenza prevalenti lì ampiamente richiamate. (27)V.CAVALLINI, Eccezioni rilevabili d’ufficio e struttura del processo, Napoli, 2003, 3 ss. (28) Che riflettono i motivi di cui all’art. V della New York Convention cioè i motivi per rifiutare il riconoscimento e l’esecuzione di un lodo straniero. Così, Explanatory Note by the Uncitral Secretariat on the Model Law on International Commercial Arbitration.

96 coprendo errate valutazioni circa la sussistenza o insussistenza delle condizioni di decidibilità del merito, valutazioni tipiche del processo civile ma imprescindibili anche di quello arbitrale, e non altrove censurate (29).

5. Se le parti non hanno prescritto forme a pena di nullità (il che esclude l’invocabilità del motivo di cui al. n. 7), l’ultrapetizione è allora censurabile solo quando venga palesando una violazione del principio del contraddittorio in senso dinamico, quindi invocando l’art. 829, comma 1, n. 9, c.p.c., e non già una violazione del principio del contraddittorio in senso statico, impediente la decidibilità nel merito, riconducibile (solo questa seconda) al motivo di cui al n. 4 (30). Ciò, come già osservato, ha delle conseguenze anche sugli effetti dell’impugnazione: ai sensi della distinzione operata dall’art. 830, comma 2, c.p.c. se il lodo è annullato per il più grave motivo di cui al n. 4, la Corte d’appello, investita dell’impugnazione, deve limitarsi ad annullare il lodo essendo alla stessa precluso l’esame nel merito di una decisione manche- vole di un primo grado a contraddittorio integrato; mentre se il lodo è annullato per il motivo di cui al n. 9, la Corte d’appello può decidere nel merito alla luce delle doglienze mosse dalla parte che lì assume la violazione del contraddittorio (31). Il principio del contraddittorio, nella sua accezione dinamica, può es- sere invocato quando si assuma la novità di una domanda, rispetto a quella introdotta con domanda di arbitrato e individuante il thema decidendum,e ciò a prescindere dalla prescrizione delle parti di osservare determinate forme sotto espressa sanzione di nullità del lodo: il contraddittorio, infatti, deve « in ogni caso » essere garantito. Lo conferma l’art. 816-bis c.p.c. che lascia parti e arbitri liberi di regolare lo svolgimento del procedimento ar- bitrale nel modo che ritengono più opportuno ma « in ogni caso » arbitri (e parti, ndr) devono « attuare il principio del contraddittorio, concedendo ragionevoli ed equivalenti possibilità di difesa ». Da qui la riconducibilità in astratto della censura mossa nel caso di specie al motivo in esame (32). In definitiva, si è tentato di dimostrare che se la Corte d’appello avesse ritenuto il vizio di ultrapetizione non sussumibile entro il motivo di cui al n. 4, dichiarando quell’impugnazione inammissibile, ma solo entro il motivo di cui al n. 9 (33), nemmeno si sarebbe dovuta interrogare circa la

(29) Così, CONSOLO, Le impugnazioni delle sentenze e dei lodi, cit., 557. (30) Così MARINUCCI, I motivo di nullità, cit., 19 . (31) Così, MARINUCCI, I motivi di nullità, cit., 19. (32) La Corte d’appello di Milano giudica poi infondata la censura dopo aver appurato che nel caso concreto non vi fosse stata alcun lesione del principio del contraddittorio. (33) Dimostrazione che perde, almeno in parte, di consistenza se si ritenesse applicabile all’impugnazione per nullità, quale giudizio « a critica vincolata », il principio affermato da Cass. civ., S.U., 24 luglio 2013, n. 17931, espressione di quello « iura novit curia » e di quello di « effettività » della tutela giurisdizionale, per cui la Corte può riqualificare il motivo invocato.

97 domanda su cui si sono pronunciati gli arbitri: se, cioè, fosse formalmente nuova, limitandosi piuttosto a verificare se, nel caso concreto, vi fosse stata una lesione del principio del contraddittorio, verifica che, in arbitrato, può forse prescindere — almeno se si crede alla non riconduzione dell’ultra- petizione nel motivo di cui al n. 4 — da una rigorosa analisi sulla modificazione della domanda, salvo che le parti stesse non abbiano imposto quel maggior rigore prescrivendo forme a pena di nullità. Suffi- ciente sarebbe stato verificare quando quella domanda è stata proposta (in che fase del procedimento arbitrale) e se la parte contro cui è stata proposta ha avuto il tempo di contraddire alla stessa (34). Si potrebbe allora individuare, anche a livello normativo, un nucleo di norme processuali, per loro natura meno vaghe di un principio, costituenti il minumum di contraddittorio richiesto dal processo all’arbitrato perché il suo risultato non sia censurabile, col rischio che questo esercizio ricon- duca viziosamente all’inizio ossia a quella eccessiva processualizzazione dell’arbitrato non rispondente forse alla volontà delle parti (35), ma ri- spondente crediamo alla superiore esigenza di prevedibilità (almeno) processuale che dovrebbe caratterizzare anche l’ambiente arbitrale (36).

(34) Che lo standard di contraddittorio in arbitrato sia più basso, si evince ad esempio dal fatto che, come stato già osservato, gli arbitri, nell’attuare il contraddittorio sulle questioni ri- levabili d’ufficio, non devono seguire le forme di cui all’art. 101, comma 2, c.p.c. Così CONSOLO, Le impugnazioni delle sentenze e dei lodi, cit. 561. Sul tema, e nel senso del testo, e cioè che nel processo arbitrale, per sua natura privo di formalismi e caratterizzato da un alto tasso di flessibilità, sia sufficiente il rispetto di un « contenuto minimo del contraddittorio », LAUDISA, L’arbitrato e il principio del contraddittorio,inGiusto proc. civ., 2007, 2, 373 ss., 386, la quale efficacemente riempie quel contenuto minimo individuando casi macroscopici di violazione del contraddittorio. (35) L’esercizio è stato fatto in dottrina, tra gli altri, da LAUDISA, L’arbitrato e il principio del contraddittorio, cit., 373 ss. Sulla processualizzazione dell’arbitrato, v. anche, di utile comparazione, l’art. 1464 CPC francese che, per l’arbitrato interno, ferma la facoltà di parti e arbitri di « détermine[r] la procédure arbitrale sans être tenu de suivre les règles établies pour les tribunaux étatiques », non si limita a richiamare il principio del contraddittorio (come fa invece per l’arbitrato internazionale stabilendo, all’art. 1510 CPC, che) ma richiama i principi « directeurs du procès » che devono trovare in ogni caso applicazione anche nel processo arbitrale con espresso, e non troppo faticoso, rinvio normativo (ai principi « énoncés aux articles 4 à 10, au premier alinéa de l’article 11, aux deuxième et troisième alinéas de l’article 12 et aux articles 13 à 21, 23 et 23-1 »). I principi lì affermati sono il principio dispositivo (artt. 4-9 NCPC), il principio del contraddittorio in tutte le sue declinazioni (artt. 14-17), il potere del giudice di ordinare tutte le misure istruttorie ammesse dalla legge (art. 10), l’obbligo delle parti di concorrere alla produzione delle misure istruttorie (art. 11, co. 1), la facoltà per il giudice di invitare le parti a fornirgli le spiegazioni di diritto che ritiene necessarie alla soluzione della lite (art. 13), il diritto di difesa e la facoltà degli arbitri di tentare la conciliazione delle parti (artt. 18-21) e, dopo la riforma del 2011 (quindi da questa aggiunti), il principio iura novit curia (art. 12) e la regola che esime il giudice-arbitro dal ricorso a un interprete quando questi conosca la lingua con cui si esprimono le parti (art. 23). Si è assistito dunque, con l’ultima riforma, a una seppur minima processualizzazione dell’arbitrato, v., sub. artt. 1464 e 1510 CPC, DE SANTIS, WINKLER, La riforma francese del diritto dell’arbitrato: un commento sistematico, Parte prima, La convenzione d’arbitrato e il procedimento arbitrale,inDir. comm. int., 2011, 958 e, ID., La riforma francese. Parte seconda, cit., 90. (36) Questa conclusione viene anche dopo aver ascoltato la relazione di COSTANTINO, Prevedibilità delle decisioni, al convegno su La trasparenza nel processo civile, svoltosi a Milano

98 E, del resto, e più in generale, come è vero che il rispetto del principio di preclusione e la garanzia del contraddittorio non inducono a ritenere che dato il primo vi sia anche quello della seconda, così la garanzia del contraddittorio non si ha solo se è stato rispettato il principio di preclu- sione (37).

6. La Corte d’appello con la sentenza in epigrafe riconduce alla seconda parte del motivo di cui al n. 4, e cioè a « ogni altro caso » in cui gli arbitri hanno deciso il merito ma il merito non doveva essere deciso, anche la pretermissione del litisconsorte necessario, lamentata dall’impu- gnante. Tale ricostruzione, anche alla luce di quanto detto supra, e cioè alla riconducibilità al motivo in esame di tutte quelle ipotesi che ostano alla decidibilità nel merito della controversia anche in arbitrato, è da condivi- dere. La pretermissione del litisconsorte necessario palesa una violazione del contraddittorio in senso statico, da qui la sua riconducibilità al motivo di cui al n. 4, dal momento che impedisce al terzo di partecipare al processo e impone, ove accertata, la rinnovazione dell’attività svolta in sua assenza, come prescrive l’art. 830, comma 2, c.p.c., per il motivo di cui al n. 4, quando il lodo sia annullato. La Corte ha poi giudicato, ancora alla luce del duplice scrutinio cui soggiace l’impugnazione per nullità del lodo arbitrale, infondata l’impu- gnazione perché ha deciso il merito quando il merito non poteva essere deciso. La Corte afferma che nel caso di specie non si versa in una situazione di litisconsorzio necessario in quanto l’accertamento richiesto agli arbitri era relativo a un rapporto intercorrente tra le parti dell’arbi- trato, mentre l’accertamento nei confronti del terzo, nel contesto della simulazione soggettiva, risultava meramente incidentale (38). Tale argo- mentazione consente, come già notato, alla Corte d’appello di non pren- dere posizione sulla complessa questione dell’intervento del litisconsorte il 5 febbraio 2015, che ha sottolineato la differenza tra prevedibilità processuale e prevedibilità sostanziale, quindi la imprescindibilità della prima in qualsivoglia processo, che sia tale, che conferma le necessarietà di una seppur minima processualizzazione anche in arbitrato. V. nota precedente dove il modello francese. (37) Così anche LAUDISA, L’arbitrato e il principio del contraddittorio, cit., 373 ss. V., in tema, tra le tante, Cass. civ., 7 marzo 2007, n. 5274; ma anche, con esatto riferimento alle « preclusioni », Cass. civ., 7 febbraio 2007, n. 2717. Si vedano anche i regolamenti delle principali istituzioni arbitrali, come quello della Camera Arbitrale di Milano che contiene una norma (art. 27) che non esclude l’ammissibilità di domande nuove consentendo « [a]l Tribunale Arbitrale, sentite le parti, [di] decide[re] sull’ammissibilità di domande nuove, tenuto conto di ogni circostanza, incluso lo stato del procedimento ») con la sola preclusione, contenuta in altra norma regolamentare (art. 28.3), che « [d]opo la chiusura dell’istruzione, le parti non possono proporre nuove domande, compiere nuove allegazioni, produrre nuovi documenti o proporre nuove istanze istruttorie, salva diversa determinazione del Tribunale Arbitrale ». (38) Come rimarca il parere pro veritate che la Corte d’appello fa proprio con la sentenza in epigrafe. V. CONSOLO, Domande autodeterminare e litisconsorzio necessario, cit., 1410.

99 necessario non paciscente in arbitrato, mancandone il presupposto appli- cativo (39).

7. La Corte d’appello inoltre circoscrive il concetto (elastico, anche questo) di ordine pubblico La posizione merita di essere condivisa. L’impugnazione per nullità, mezzo di impugnazione tipico dell’arbitrato e tendente a garantire una certa stabilità al lodo arbitrale, esclude di regola un riesame nel merito della causa assumendo che la stessa sia stata ben istruita e decisa dagli arbitri scelti dalle parti e dal « loro » diritto. Ciò è ancor più vero quando, come nel caso di specie, l’arbitrato è d’equità, cioè quando la soggettività è ancora accentuata e la non impugnabilità del lodo per violazione delle regole di diritto insita nella stessa scelta dell’equità in luogo del di- ritto (40). La Corte d’appello non giunge allora (sino) a pronunciarsi sulla eleggibilità dei principi d’ordine pubblico, ritenuta l’impugnazione inam- missibile prima ancora che infondata, per il sol fatto che tramite essa si « tende in realtà ad ottenere un riesame » nel merito precluso nella fase rescindente dell’impugnazione (41). Tale doppio scrutinio, e conseguente arresto al primo filtro, anche laddove sia invocata la violazione dell’ordine pubblico e indicato il principio violato, ci appare comunque adeguato impedendo che il motivo in esame sia stabilmente invocato « per tentare di gravare comunque il contenuto del lodo » dopo che questo, ex lege o per volontà delle parti affidatesi all’equità degli arbitri, non è impugnabile per violazione di norme di diritto (42). Il richiamo a « principi fondamentali » non sembra allora più essere

(39)V.MARINUCCI, I motivi di nullità, cit., 23. Da cui il dialogo tra COLESANTI, Notarelle « controcorrente », cit., 791 ss.; SASSANI, Modificazioni della domanda, diritti autodeterminati, litisconsorti necessari, cit., 890 ss.; CONSOLO, Domande autodeterminate e litisconsorzio necessario nel giudizio arbitrale, cit., 1410 ss. (40) Si veda, sul punto, BRIGUGLIO, Arbitrato rituale ed equità, in questa Rivista, 1996, 2, 267 ss., 277, il quale sottolinea la concezione « soggettivistica » dell’equità. Si veda anche BROGGINI, L’equità nell’arbitrato commerciale internazionale,inRiv. trim. dir e proc. civ., 1994, 1133 ss., il quale giunge sin ad affermare che l’arbitrato sia sempre di equità, equità che sarebbe insita nella stessa scelta arbitrale. V. infra. Va considerato che, con la novella del 2006, il legislatore ha svincolato i due concetti non escludendo che anche il lodo di equità sia impugnabile per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia purché tale impugnazione sia espressamente disposta dalle parti. Sull’eliminazione del riferimento della decisione secondo equità come causa di esclusione della censurabilità del lodo per il motivo di cui all’art. 829, comma 3, c.p.c., v. MARINUCCI, L’impugnazione del lodo, cit., 248 ss. Nel senso del testo, ossia che nell’opzione per l’equità sia insita la rinuncia all’impugnazione per viola- zione delle regole di diritto relative al merito della controversia, AULETTA, Sub art. 822,in MENCHINI (a cura di), La nuova disciplina dell’arbitrato,inLe nuove leggi civili commentate, Padova, 2007, 403 ss., 406. (41) Così MARINUCCI, I motivi di nullità, cit., 23. (42) Così, SALVANESCHI, Arbitrato, cit., 914, la quale sottolinea la facile strumentalizza- zione del motivo da parte della parte soccombente.

100 sufficiente a fondare un’impugnazione di lodo per violazione dell’ordine pubblico: del resto, il legislatore delegato, nell’attuare la delega in subiecta materia, non ha mantenuto la formula del delegante limitando la control- labilità del lodo « al contrasto con i principi fondamentali dell’ordina- mento giuridico » — riecheggiando peraltro, tale espressione, quella uti- lizzata dal legislatore nell’art. 339 c.p.c. a proposito dei motivi d’appello nei confronti delle sentenze equitative del giudice di pace (43) — ma alla « contrarietà all’ordine pubblico » che è formula non equivalente (44). Col chiaro messaggio, lasciato dalla Corte d’appello milanese, che se le parti (che hanno, in arbitrato, questo potere pur ponendosi il suo esercizio in antitesi rispetto alla stessa scelta arbitrale), dopo il 2006, intendono garantire alla pronuncia arbitrale più ampie possibilità impu- gnatorie, con la previsione di un riesame nel merito da parte dei giudici, devono espressamente prevedere, sin dalla clausola, la possibilità di impugnare il lodo per violazione delle regole di diritto e/o, coerentemente, non lasciare agli arbitri la possibilità di correzione di queste per via dell’equità, non « svaporando » esse stesse le possibilità impugnatorie.

8. Con la sentenza in epigrafe, la Corte d’appello di Milano applica la regola espressa nell’art. 829, comma 2, c.p.c. Tale norma processuale positivizza la regola dell’estoppel caratterizzante universalmente l’arbi- trato quale moderna versione del principio « non concedit venire contra factum proprium » (45).

(43) Come formulato tenendo conto dell’insegnamento della Corte Cost. nella sentenza 6 luglio 2004 n. 206 che ha dichiarato l’incostituzionalità del secondo comma dell’art. 113 c.p.c. nella parte in cui non prevede che il giudice di pace debba osservare i principi « informatori » della materia pur tuttavia richiamando il legislatore, nella norma succitata, principi « regola- tori ». V. anche Cass. civ., 11 gennaio 2005, n. 382. Pur non essendo gli arbitri, chiamati a giudicare seconda equità, soggetti a tali principi « regolatori » in quanto non obbligati ex lege a decidere secondo equità (ma su mandato delle parti) e non « soggetti soltanto alla legge », tuttavia la succitata sentenza della Corte forse pone il giusto limite alla discrezionalità anche degli arbitri perché se il giudizio di equità non può essere un giudizio extra-giuridico nelle liti di scarso rilievo (come da monito della Corte cost.), a maggior ragione non dovrebbe esserlo nell’arbitrato dove le questioni sono più complesse e di valore ben superiore. V., in questo senso, TENELLA SILLANI, L’arbitrato di equità. Modelli, regole, prassi, Milano, 2006, in part. 360 ss., la quale, tuttavia, dopo una profonda analisi del concetto di equità (concludente nel senso dell’insensatezza nichilistica di tale concetto), esclude anche questa seppur minima forma di oggettivizzazione. Torna poi anche qui il problema della totale (im)prevedibilità del processo arbitrale, qui sotto il profilo sostanziale, v. COSTANTINO, cit., nota 36. (44) Così, TOMMASEO, Le impugnazioni del lodo arbitrale nella riforma dell’arbitrato,in questa Rivista, 2, 2007, 199; contra MENCHINI, Impugnazioni del lodo, cit., 858 ss. (45) Per una distinzione tra la regola dell’estoppel, ripresa dall’arbitrato internazionale, e quella, più classica, della rinuncia, quindi sulla loro concreta applicazione, v. Cour de cassation (1re Ch. civ.), con nota di PINSOLLE,inRev. arb., Volume 2005, Issue 4, pp. 994-1010. Dalle corti francesi sono infatti principi molto utilizzati per dichiarare i recours irricevibili. L’Autore, nell’annotare la sentenza, tuttavia, osserva anche come « la règle de l’estoppel, que le droit français vient d’accueillir, ne soit utilisée de manière immodérée pour sanctionner toute incohérence dans le comportement d’une partie ». V. infra. Sul più ampio tema, da adattare al contesto arbitrale, oggetto di recente dibattito in dottrina, del principio di preclusione e

101 Per la Corte l’art. 829, comma 2, c.p.c. trova applicazione quando si deduca, avanti al giudice dell’impugnazione, la violazione del principio del contraddittorio nel corso del procedimento arbitrale, quindi la nullità derivata del lodo per quel motivo. La parte lesa da quella violazione non può per il medesimo motivo impugnare il lodo se « non ha eccepito la violazione di [quella] regola », ossia, nel caso concreto, la difettata enun- ciazione dei criteri generali di giudizio e la mancata provocazione del contradittorio su questi, nel corso del procedimento arbitrale, pena l’inam- missibilità dell’impugnazione (46). L’idea di fondo della Corte, in linea del resto col dato normativo, ossia con l’art. 829, comma 2, c.p.c., è che se il motivo di nullità, a prescindere dal suo contenuto (non contenendo, la norma da ultimo richiamata, eccezioni) ma purché eccepibile, non è eccepito nel corso del procedimento arbitrale, non può fondare un motivo di impugnazione. Che ad essere invocato, in fase di impugnazione, sia un principio di ordine pubblico processuale, come quello del contraddittorio, non vale ex se ad escludere l’applicazione della succitata preclusione (47). La conferma di tale nuova conclusione, cui perviene la Corte d’ap- pello di Milano, viene dalle giurisdizioni più avanguardiste in materia di arbitrato, anche internazionale, come quella francese, che, nel limitare la censurabilità della sentence arbitrale, riconoscono che la regola dell’estop- pel trovi applicazione anche quando il lodo venga impugnato perché « [l]e principe de la contradiction n’a pas été respecté », anche facendo leva sul dovere di buona fede nell’esecuzione del contratto d’arbitrato e della

dell’autoresponsabilità delle parti, in dottrina italiana, v., per tutti, MENCHINI, Principio di preclusione e autoresponsabilità,inGiusto proc. civ., 2013, 4, 979 ss. (46) Qui la « inammissibilità » pronunciata dalla Corte d’appello non deriva da una valutazione di non astratta riconducibilità della censura a uno dei motivi di impugnazioni ex art. 829, comma 1, c.p.c. (come nei casi supra), ma dalla carenza di potere di impugnare derivante dalla insussistenza della condizione posta dall’art. 829, comma 2, c.p.c., e cioè l’aver sollevato l’eccezione nel corso del procedimento arbitrale. V. sull’inammissibilità nell’impugnazione del lodo arbitrale, BOCCAGNA, L’impugnazione del lodo, cit., 87 ss. (47) Nel senso che la violazione del principio del contraddittorio non è subordinata alla preclusione di cui all’art. 829, comma 2, c.p.c., « in ragione della natura assoluta della nullità cui detta violazione dà luogo », MARINUCCI, I motivi di nullità, cit., 22. Si veda, nel senso del testo e della sentenza, l’analisi di CADIET, La renonciation à se prévaloir des irrégularités de la procédure arbitrale,inRev. arb., 1996, Issue 1, pp. 3-38, dove, ancor prima della consacrazione del principio nell’art. 1466 CPC, fa un’analisi della giurisprudenza in un senso e nell’altro, per trarne che « il n’est pas distingué selon la nature ou le type d’irrégularité susceptible d’être ainsi couverte par la renonciation implicite des parties à l’arbitrage, irrégularité d’intérêt privé ou irrégularité d’ordre public ». L’Autore pur partendo dalla soluzione di principio per cui « on ne peut renoncer à ce dont on ne peut disposer » afferma che « le recours à l’arbitrage comporte l’obligation pour les parties, comme pour les arbitres, de coopérer au prononcé d’une sentence susceptible d’être exécutée o, ne pas soulever immédiatement une irrégularité de façon à s’en réserver le bénéfice ultérieur, c’est manquer à la loyauté contractuelle ».

102 convenzione arbitrale, quindi facendo prevalere qui le origini contrattuali dell’arbitrato sulle sue finalità giurisdizionali (48). Ma anche obliterando il riferimento alla buona fede, che in fondo non può giustificare troppo (49), e restando entro il nostro sistema, la regola dell’estoppel a ben guardare reitera per l’arbitrato la regola di cui all’art. 157, commi2e3,c.p.c. in tema di nullità degli atti processuali nonché quella dell’art. 161, comma 1, c.p.c. (50), oltre a essere espressione di quella coerenza processuale che il legislatore si è preoccupato di garantire (anche qui) con la previsione di una preclusione (51). E come generale è l’ambito applicativo del principio posto dall’art. 157, commi2e3,c.p.c., generale, e sufficientemente definito, è l’ambito applicativo della preclusione de qua, ovviamente escludendo che questa possa trovare applicazione per le nullità che colpiscono direttamente e solo il lodo arbitrale (come quelle sub nn. 4, 5, 10, 11 e 12) (52). Il fatto che poi, per alcuni vizi (come per i vizi dicuiainn.1,2,4,6e7che, nell’imporre oneri alle parti, già avvertono dell’effetto preclusivo), la (ri)affermazione di una « clausola generale di sanatoria » possa apparire ridondante, non può che confermare la sua generale applicabilità (53). La Corte d’appello di Milano ha mostrato, con la sentenza in epigrafe, come quella regola dovrebbe essere applicata dal giudice dell’impugna- zione per censurare impugnazioni dilatorie e incoerenti, per questa via garantendo al lodo quella maggiore stabilità che lo dovrebbe distinguere dalla sentenza statale. Tale utilizzo crediamo tuttavia non possa essere immoderato (54): verrebbe infatti obliterato l’incipit della norma che, nell’ammettere l’impugnazione per nullità in casi tassativamente indicati,

(48) In questo senso v. Cass., 1re civ., 28 marzo 2008, in Rev. arb., 2008, 345 ss.; App Paris, 31 gennaio 2008, ibid., 2008, 487 ss. La norme francesi di riferimento sono l’art. 1492 CPC, motivo n. 4, che ammette l’impugnazione del lodo per violazione del principio del contraddit- torio, nonché l’art. 1466 CPC (omologo del l’italiano art. 829, comma 2, c.p.c.), introdotto con l’ultima riforma che ha codificato il principio dell’estoppel. Sull’estoppel, come codificato dall’ultima riforma francese, JARROSSON,PELLERIN, Le droit français, cit., 27; GAILLARD,DE LAPASSE, Commentaire analytique, cit., 292, che, con riferimento all’art. 1466 CPC, parlano di « consacration du nouveau principe, celui de l’estoppel ou de cohérence ». (49) Cessando del resto il dovere di buona fede con l’emissione della pronuncia arbitrale, per PINSOLLE, 1004-1005, per il quale, se così non fosse, si arriverebbe all’estremo di ritenere che il fatto stesso di impugnare sarebbe contrario a buona fede. (50) Nel senso che l’art. 829, comma 2, c.p.c. è un applicazione diretta dell’art. 157, commi2e3,c.p.c., CONSOLO, Le impugnazioni delle sentenze e dei lodi, cit. 524 e 546; nello stesso senso MENCHINI, L’impugnazione del lodo, cit., 854. (51) Sulla nozione di preclusione, v. VERDE, Diritto processuale civile, Bologna, 2012, I, 252. (52) Così, CONSOLO, Le impugnazioni delle sentenze e dei lodi, cit., 547; MENCHINI, L’impugnazione del lodo, cit., 855 (53) Per CONSOLO, Le impugnazioni delle sentenze e dei lodi, cit., 548, il ribadito, principio « in un ottica di massima protezione del lodo, vuole probabilmente imporre [...] che la deduzione con cui la parte reagisce alla violazione della norma processuale deve essere pressoché subitanea ». (54)V.supra nota 45.

103 afferma anche che questa è consentita « nonostante qualunque preventiva rinuncia », rinuncia che, pur quando incoerente, non vale di per sé a escludere l’ammissibilità dell’impugnazione.

MICHELA DE SANTIS

104 II) STRANIERA

Sentenze annotate

REGNO UNITO - HIGH COURT OF JUSTICE, QUEEN’S BENCH DIVISION, COMMERCIAL COURT, sentenza 19 dicembre 2013, Mr Justice Hamblen; Habas Sinai Ve Tibbi Gazlar Istihsal Endustrisi AS v VSC Steel Company Ltd [2013] EWHC 4071 (Comm).

Legge applicabile alla clausola compromissoria (proper law of the arbitration agreement) - Separabilità della clausola arbitrale - Scelta di legge espressa nel contratto (choice-of-law) - Scelta di legge implicita - Sistema di legge con cui la clausola compromissoria presenta il collegamento più stretto e reale (closest and most real connection).

La questione della legge applicabile alla convenzione di arbitrato è determinata alla stregua del common law inglese, stante l’inapplicabilità della Convenzione di Roma. Anche se la clausola compromissoria accede a un contratto principale (come comunemente avviene), il diritto ad essa applicabile può non essere lo stesso di quello del contratto principale. La legge applicabile all’accordo arbitrale è determinata mediante un’indagine articolata in tre fasi, aventi a oggetto, nell’ordine, (i) scelta espressa, (ii) scelta implicita e (iii) sistema di legge con cui la convenzione arbitrale presenta il collegamento più stretto e reale. Ove il contratto principale non contenga una clausola di scelta di legge espressa, la rilevanza della scelta della sede dell’arbitrato sarà prevalente. Ciò in quanto il sistema di legge del paese della sede sarà solitamente quello con cui la clausola compromissoria presenta il suo collegamento più stretto e reale. Ove il contratto principale contenga una scelta di legge espressa, questa costituisce una forte indicazione riguardo all’intenzione delle parti sulla legge regolatrice dell’ac- cordo arbitrale, in assenza di ogni altra indicazione in senso contrario. La scelta di un paese diverso per la sede dell’arbitrato rappresenta un fattore indicante la direzione opposta. Tuttavia, essa non è di per sé sufficiente ad escludere l’indicazione di scelta implicita nella scelta espressa di legge applicabile al contratto principale. Ove sussistano sufficienti fattori indicanti la direzione opposta così da negare la scelta implicita derivata dalla scelta espressa di legge nel contratto principale, la clausola compromissoria sarà regolata dalla legge con cui presenta il

105 collegamento più stretto e reale. Tale è probabilmente la legge del paese della sede, quale luogo dove l’arbitrato si deve svolgere e che eserciterà la giurisdizione di appoggio e di revisione necessarie per assicurare l’effettività della procedura. I termini della clausola arbitrale possono essi stessi sottintendere una scelta implicita di legge applicabile ed essi possono valere anche quale scelta implicita di legge applicabile al contratto principale.

CENNI DI FATTO. — Habas Sinai Ve Tibbi Gazlar Istihsal Endustrisi AS (“Habas”), società di diritto turco, e VSC Steel Company Ltd (“VSC”), società quotata registrata a Hong Kong, stipulavano un contratto di vendita e spedizione di acciao dalla Turchia ad Hong Kong. Il contratto non prevedeva alcuna elezione della lex causae. In seguito alla mancata consegna delle partite di acciaio, VSC cominciava un procedimento arbitrale a Londra ai sensi della convenzione di arbitrato contenuta nel contratto. Habas contestava in radice l’esistenza della clausola compromissoria. Con lodo del 10 luglio 2012, l’arbitro unico deliberava di essere munito di giurisdizione, accertava l’inadempimento del venditore e lo condannava al risarcimento del danno per la somma di 3.142.500,00 dollari oltre a interessi e spese. Habas impugnava il lodo ai sensi degli articoli 67 e 69 dell’Ar- bitration Act del 1996, lamentando l’inesistenza della clausola arbitrale sulla base dei seguenti assunti: (i) il consenso all’arbitrato non aveva assunto carattere vincolante tra le parti; (ii) in ogni caso, i propri rappresentanti (Steel Park and Charter Alpha) non erano muniti del potere attuale o apparente di stipulare la clausola di arbitrato con sede a Londra. Il giudice Hamblen, constatata l’assenza di una scelta di legge, stabiliva che il contratto era regolato dalla legge turca e la clausola arbitrale dalla legge inglese, avendo le parti indicato Londra quale sede dell’arbitrato. Per l’effetto, rigettava l’eccezione della ricorrente che le parti non avessero manifestato in maniera vincolante la loro volontà di arbitrare in Londra le controversie relative al contratto. Parimenti, accertata la sussistenza del potere almeno apparente dei rappresentanti della ricorrente di stipulare la clausola arbitrale, il giudice deliberava che la validità della stessa dovesse essere determi- nata alla stregua della legge a essa putativamente applicabile, ovvero della legge inglese.

MOTIVI DELLA DECISIONE.—(Omissis).

(3) Applicable Law 98. The main applicable law issue related to the law applicable to the arbitration agreement. However, applicable law issues also arose as to the main or matrix contract, the issues of authority and formal validity, and the issue of ratification.

The arbitration agreement 99. I shall address this issue on the assumption, as contended for by Habas, that there was no choice of law in the matrix contract and that it is governed by Turkish law as the law with which the matrix contract is most closely connected.

106 100. The question of which law governs the arbitration agreement is to be determined by the English common law, since the Rome Convention excludes arbitration agreements by Article 1(2)(d). 101. The leading authority is the recent Court of Appeal decision in Sul América Cia Nacional De Seguros S.A. and others v Enesa Engenharia S.A. [2012] 1 Lloyd’s Rep 671. Moore-Bick LJ (with whom Hallett LJ and Lord Neuberger MR agreed), summarised the test for determining the law applicable to arbitration agreements at [26]-[32]. The Court of Appeal’s decision was considered but distinguished by Andrew Smith J in Arsanovia Ltd v Cruz City 1 Mauritius Holdings [2013] 2 All ER 1. The guidance provided by these authorities may be summarised as follows: (1) Even if an arbitration agreement forms part of a matrix contract (as is commonly the case), its proper law may not be the same as that of the matrix contract. (2) The proper law is to be determined by undertaking a three-stage enquiry into (i) express choice, (ii) implied choice and (iii) the system of law with which the arbitration agreement has the closest and most real connection. (3) Where the matrix contract does not contain an express governing law clause, the significance of the choice of seat of the arbitration is likely to be “overwhelming”. That is because the system of law of the country seat will usually be that with which the arbitration agreement has its closest and most real connection. (4) Where the matrix contract contains an express choice of law, this is a strong indication or pointer in relation to the parties’ intention as to the governing law of the agreement to arbitrate, in the absence of any indication to the contrary. (5) The choice of a different country for the seat of the arbitration is a factor pointing the other way. However, it may not in itself be sufficient to displace the indication of choice implicit in the express choice of law to govern the matrix contract. (6) Where there are sufficient factors pointing the other way to negate the implied choice derived from the express choice of law in the matrix contract the arbitration agreement will be governed by the law with which it has the closest and most real connection. That is likely to be the law of the country of seat, being the place where the arbitration is to be held and which will exercise the supporting and supervisory jurisdiction necessary to ensure that the procedure is effective. 102. In relation to point (3), I would add that the terms of the arbitration clause may themselves connote an implied choice of law. It is recognised that they may operate as an implied choice of law for the matrix contract itself — see, for example, Cie. Tunisienne v Cie d’Armement [1971] A.C. 572, Lord Wilberforce at page 596 and Lord Diplock at 604 to 605; and Egon Oldendorff v Liberia Corp [1996] 1 Lloyd’s Rep 380 at 388-390, Clarke J. In such cases they must surely equally operate as an implied choice of law for the arbitration agreement. 103. The present case is one where there is no express choice of law in the matrix contract. In such a case the Sul America decision is clear authority that the applicable law will be that of the country of seat. This was acknowledged by Habas who reserved the right to challenge the decision should this case go further.

107 La legge applicabile alla clausola arbitrale: considerazioni intorno al novello approccio conflittuale delle corti inglesi.

1. La sentenza in commento offre un’esaustiva sintesi esplicativa del metodo adottato dai giudici inglesi in tema di legge regolatrice della clausola compromissoria (proper law of the arbitration agreement)(1). La decisione cristallizza la presunzione giurisprudenziale che, in presenza della scelta della legge applicabile al contratto (choice-of-law), detta legge regoli anche l’accordo arbitrale alla stregua di una scelta implicita delle parti, in assenza di altra indicazione espressa o tacita in senso contrario. Parimenti, sancisce che la legge del luogo in cui ha sede l’arbitrato presenti il collegamento più stretto con la convenzione di arbitrato stessa. Si consolida così, al contempo assumendo caratteri più precisi, il novello orientamento delle corti inglesi affermatosi a partire dalla storica deci- sione Sulamérica (primato relativo della choice-of-law) in sostituzione del tradizionale criterio dell’applicabilità automatica della lex causae, ove

(1) Sul tema cfr. RADICATI DI BROZOLO, Choice of Court and Arbitration Agreements and the Review of the Brussels I Regulation,inIPRax, 2010(2), 121; JOSEPH, Jurisdiction and Arbitration Agreements and Their Enforcement, 2ª ed., Sweet & Maxwell, 2010, 172 et seq.; BRIGGS, Agreements on Jurisdiction and Choice of Law, Oxford University Press, 2008, 472 et seq.;LEW, The Law Applicable to the Form and Substance of the Arbitration Clause,inVAN DEN BERG (ed.), Improving the Efficiency of Arbitration Agreements and Awards. 40 Years of Application of the New York Convention, ICCA Congress Series No. 9 (Paris, 1998), Kluwer Law International, 1999, 114; BLESSING, The Law Applicable to the Arbitration Clause,inVAN DEN BERG, op. cit., 1999, 168; BERNARDINI, Arbitration Clauses: Achieving Effectiveness in the Law Applicable to the Arbitration Clause,inVAN DEN BERG, op. cit., 1999, 197; BERGER, Reexamining the Arbitration Agreement: Applicable Law - Consensus or Confusion?,inVAN DEN BERG (ed.), International Arbitration 2006: Back to Basics?, ICCA Congress Series No. 13 (Montreal, 2006), Kluwer Law International, 2007, 301; TANIGUCHI, The Applicable Law to the Arbitration Agreement: A Comment on Professor Berger’s Report,inVAN DEN BERG, op. cit., 2007, 335; GRIGERA NAÓN, Choice-of-Law Problems in International Commercial Arbitration,inRecueil des Cours, vol. 289, 2001, 63 et seq.;BANTEKAS, The Proper Law of the Arbitration Clause: A Challenge to the Prevailing Orthodoxy,27J. Int’l Arb. 1 (2010); ARZANDEH,HILL, Ascertaining the Proper Law of an Arbitration Clause under English Law,5J. Priv. Int’l L. 425 (2009); STÜRNER,WANDELSTEIN, Das Schiedsvereinbarungsstatut bei vertraglichen Streitigkeiten,in IPRax, 2014(6), 473; NACIMIENTO, Article V(1)(a),inKRONKE,NACIMIENTO,OTTO,PORT (eds.), Recognition and Enforcement of Foreign Arbitral Awards: A Global Commentary on the New York Convention, Kluwer Law International, 2010, 205; VAN DEN BERG, The New York Arbi- tration Convention of 1958. Towards a Uniform Judicial Interpretation, Kluwer Law and Taxation Publishers, 1981, 126-128, 282-296; HANOTIAU, La loi applicable à l’arbitrabilité du litige,inJ. dr. aff. int., 1998, 755; GRAFFI, The Law Applicable to the Validity of the Arbitration Agreement,inFERRARI,KRÖLL (eds.), Conflict of Laws in International Arbitration, Sellier, 2011, 19; BERMANN, The Enforceability of the Arbitration Agreement: Who Decides and Under Whose Law?,inROVINE (ed.), Contemporary Issues in International Arbitration and Mediation. The Fordham Papers 2010, Martinus Nijhoff Publishers, 2011, 154; PARISH, The Proper Law of an Arbitration Agreement,76Arb. 661 (2010); HAYDN-WILLIAMS, Sulamérica: The Problem of the Proper Law of an Arbitration Agreement,78Arb. 387 (2012); PEARSON, Sulamérica v. Enesa: The Hidden Pro-validation Approach Adopted by the English Courts with Respect to the Proper Law of the Arbitration Agreement,29Arb. Int’l 115 (2013); ARZANDEH, The Law Governing Arbitration Agreements in England (Sulamerica v Enesa), Lloyd’s Marit. & Comm. L.Q. 31, 34 (2013). Il concetto di proper law è peculiare all’ordinamento inglese, cfr. MANN, The Proper Law in the Conflict of Laws,36Int’l Comp. L.Q. 437 (1987).

108 espressamente scelta dalle parti, alla clausola compromissoria (primato assoluto della choice-of-law). Premesse alcune brevi considerazioni sul principio di separabilità della clausola arbitrale, il presente commento illustra in primo luogo l’evoluzione storica della giurisprudenza inglese sulla proper law of the arbitration agreement. In secondo luogo, offre una comparazione tra l’approccio inglese e le soluzioni adottate dalle fonti internazionali, in particolare dalla Convenzione di New York del 10 giugno 1958 sul riconoscimento ed esecuzione dei lodi arbitrali stranieri (“Convenzione di New York”), nonché in seno ad altri ordinamenti nazionali e nella prassi arbitrale. Infine, il commento si conclude con la formulazione di alcune riflessioni relative all’(in)opportunità dell’ado- zione dell’approccio conflittuale del giudice inglese ai fini delle esigenze di certezza giuridica e predittività delle decisioni delle corti nazionali inerenti all’arbitrato commerciale c.d. internazionale (2).

2. La determinazione espressa ad opera delle parti della legge applicabile alla clausola arbitrale è fenomeno empiricamente assai raro nella prassi dei contratti internazionali (3). D’altra parte, le clausole mo- dello suggerite dalle principali istituzioni arbitrali internazionali non ne raccomandano solitamente l’adozione (4). Tuttavia, il tema della legge regolatrice della clausola arbitrale merita una trattazione esaustiva, da essa discendendo la determinazione della questione fondamentale della sua validità sostanziale (non ne discende invece la questione dell’arbitra- bility, soggettiva e oggettiva, che è valutata alla stregua della lex fori)(5). Il principio di separabilità (severability, séparabilité) della convenzione di arbitrato rispetto al contratto cui essa accede (denominato quale main,

(2)BRIGUGLIO, Mito e realtà della denazionalizzazione dell’arbitrato privato, in questa Rivista, 1998, 453; BRIGUGLIO, La dimensione transnazionale dell’arbitrato, in questa Rivista, 2005, 679. (3)BERNARDINI, cit. nota 1, 197, 199; CRAIG,PARK,PAULSSON, International Chamber of Commerce Arbitration, 3° ed., Oceana Publications, Inc., 53; BORN, International Arbitration and Forum Selection Agreements: Drafting and Enforcing, 4° ed., 2013, 37, 160; BENEDETTELLI, CONSOLO,RADICATI DI BROZOLO, Commentario breve al diritto dell’arbitrato nazionale ed inter- nazionale, Padova, 2010, 594; HANOTIAU, cit. nota 1, 764; TANIGUCHI, cit. nota 1, 336; PEARSON, cit. nota 1, 117; GRAFFI, cit. nota 1, 30. Per alcuni rari esempi di stipulazione espressa della proper law of the arbitration agreement, cfr. Tamil Nadu Electricity Board v St-CMS Electric Company Private Limited [2007] EWHC 1713 (Comm); Braes of Doune Wind Farm (Scotland) Ltd v Alfred McAlpine Business Services Limited [2008] EWHC 426 (TCC). (4) Talune istituzioni arbitrali internazionali hanno recentemente invertito tale ten- denza. Per esempio, l’Hong Kong International Arbitration Centre (HKIAC) prevede una clausola modello con indicazione espressa della sua legge regolatrice, http://www.hkiac.org/en/ arbitration/model-clauses, particolarmente raccomandata qualora la sede dell’arbitrato sia col- locata in un paese diverso da quello della lex causae. (5)BERGER, cit. nota 1, 304-305; LEW, cit. nota 1, 128: “the issue of the validity of the arbitration agreement is crucial: it is the condition to the valid transfer of jurisdiction from national courts to arbitration tribunals and to the enforcement of the final award.”; RADICATI DI BROZOLO, cit. nota 1, 126.

109 matrix or substantive contract) è universalmente riconosciuto quale prin- cipio fondamentale del diritto dell’arbitrato, cosicché le vicende patologi- che del contratto principale non inficiano la clausola compromissoria, che conserva integri i suoi effetti positivo e negativo (6). Il principio, ricono- sciuto dalla Legge Modello UNCITRAL sull’arbitrato commerciale inter- nazionale del 21 giugno 1985 (“Legge Modello”) e generalmente adottato dalle regole di arbitrato amministrato internazionale (7), è ampiamente accolto dalla dottrina, che ne trova il precipuo fondamento nella natura mista della clausola arbitrale, contrattuale per un verso, giurisdizionale per altro verso (8). In forza del principio di separabilità, anche l’espressa indicazione pattizia della lex causae non è di per sé determinante (ipso facto) quanto all’individuazione della proper law of the arbitration agree- ment (9). Inoltre, la legge regolatrice della convenzione di arbitrato non coincide automaticamente con la legge che governa la procedura arbitrale (law of the reference o curial law), ossia la legge nazionale o le regole di arbitrato (usualmente amministrate da istituzioni arbitrali internazionali)

(6) Nell’ordinamento inglese, cfr. Fiona Trust & Holding Corp v Privalov [2007] UKHL 40, [2008] 1 Lloyd’s Rep 254, par. 17; Dallah Real Estate and Tourism Holding Co v The Ministry of Religious Affairs, Government of Pakistan [2010] UKSC 46, par. 84; Lesotho Highlands Development Authority v Impregilo SpA [2005] UKHL 43, [2006] 1 AC 221, par. 21: “part of the very alphabet of arbitration law”; nonché il più risalente Heyman v Darwins Ltd [1942] AC 356, 374. Nell’ordinamento statunitense, cfr. Prima Paint Corp. v. Flood & Conklin Mfg. Co., 388 U.S. 395, 402 (1967); Southland Corp. v. Keating, 465 U.S. 1 (1984); Buckeye Check Cashing Inc v. John Cardegna et al., 126 S. Ct. 1204 (2006). Nell’ordinamento francese, cfr. Cour de re Cassation, 1 Ch. civ., 7 maggio 1963, Gosset c. Carapelli,inJDI (Clunet), 1964, 82, nota BREDIN, in Rev. crit. DIP, 1963, 645, nota MOTULSKY,inJCP, 1963(2), 13405, nota GOLDMAN; Cour de Cassation, 1re Ch. civ., 4 luglio 1972, Hecht c. Société Buisman,inJDI (Clunet), 1972, 843, nota OPPETIT,inRev. crit. DIP, 1974, 89, nota LEVEL,inRev. arb., 1974, 89. Adde, art. 1447 del nuovo codice di procedura civile francese. Il codice di procedura civile italiano enuncia il medesimo principio all’art. 808 c. 2: “La validità della clausola compromissoria deve essere valutata in modo autonomo rispetto al contratto al quale si riferisce.”. Sul punto, cfr. BENEDETTELLI,CONSOLO, RADICATI DI BROZOLO, cit. nota 3, 46. Si veda, infine, la decisione della Corte Suprema de Justicia (República Argentina), 1 marzo 2011, n. 2553/2010, Smit International SA c. Puerto Mariel SA, 38 Y.B. Comm. Arb. 312 (2013). (7) Art. 16(1) Legge Modello; art. 6(9) ICC Arbitration Rules (2012); art. 21(2) UNCI- TRAL Arbitration Rules (2010); art. 23(2) LCIA Arbitration Rules (2014); Article 19(2) AAA-ICDR International Arbitration Rules (2014). (8) Cfr. LEW,MISTELIS,KRÖLL, Comparative International Commercial Arbitration, Klu- wer Law International, 2003, 100; LEW, cit. nota 1, 118; FOUCHARD,GAILLARD,GOLDMAN, Traité de l’arbitrage commercial international, Litec, 1996, 213 et seq.;CRAIG,PARK,PAULSSON, cit.nota 3, 48; SCHWEBEL, International Arbitration: Three Salient Problems, Grotius Publications Limi- ted, 1987, 5: “the very concept and phrase “arbitration agreement” itself imports the existence of a separate or at any rate separable agreement, which is or can be divorced from the body of the principal agreement if needs be”; BERMANN, cit. nota 1, 161. Si confronti però MAYER, Les limites de la séparabilité de la clause compromissoire,inRev. arb., 1998, 359, 361; DERAINS, The ICC Arbitral Process - Part VIII: Choice of the Law Applicable to the Contract and International Arbitration,6ICC Int’l Ct. Arb. Bull. 10, 11, 16 (1995): “The autonomy of the arbitration clause and of the principal contract does not mean that they are totally independent one from the other, as evidenced by the fact that acceptance of the contract entails acceptance of the clause, without any other formality.”; JOSEPH, cit. nota 1, 184. nd (9) Ex multis,BORN, International Commercial Arbitration,2 ed., Kluwer Law Inter- national, 2014, 477.

110 che le parti abbiano scelto quali applicabili, fatte salve le norme di applicazione necessaria (mandatory rules) della legge del luogo della sede dell’arbitrato o lex (loci) arbitri (10). Nello spazio giudiziario dell’Unione Europea, l’art. 1(2)(e) del Regolamento Roma I esclude la propria appli- cabilità agli accordi arbitrali (e alle clausole di scelta del foro) e l’art. 1(2)(d) del Regolamento Bruxelles I-bis rimuove dalla propria portata la materia dell’arbitrato in generale (11). Ne consegue che la questione del diritto applicabile all’accordo arbitrale è rimessa agli ordinamenti nazio- nali per via legislativa o giurisprudenziale. In Inghilterra, in assenza di disposizione in tal senso nell’Arbitration Act del 1996, la questione è risolta dal giudice mediante ricorso alle norme di diritto internazionale privato (conflict-of-laws) del common law, applicabili ad ogni con- tratto (12), che prescrive un approccio metodologico tripartito, squisita- mente conflittuale, volto ad individuare, nell’ordine, (i) la scelta di legge espressa delle parti, (ii) la scelta implicita delle parti e (iii) la legge con cui la clausola compromissoria presenta il nesso più stretto e reale (closest and most real connection)(13).

3.1. Tradizionalmente, le corti inglesi hanno deliberato che alla convenzione di arbitrato si applicasse automaticamente la lex contractus,

(10) Per una sintesi, cfr. Indian Supreme Court, MS Dozco India P Ltd v M/S Doosan Infracore Co [2010] INSC 839, parr. 12-13: “[A]ll contracts which provide for arbitration and contain a foreign element may involve three potentially relevant systems of law: (1) the law governing the substantive contract; (2) the law governing the agreement to arbitrate and the performance of that agreement; (3) the law governing the conduct of the arbitration. In the majority of the cases all three will be the same, but (1) will often be different from (2) and (3) and occasionally, but rarely, (2) may also differ from (3).”. Sulle mandatory rules, cfr. BLESSING, cit. nota 1, 171: “only very few of the provisions of the arbitration act might be of a mandatory nature, if any at all.”. V. sul punto il recente caso inglese Shagang South-Asia (Hong Kong) Trading Co. Ltd v Daewoo Logistics [2015] EWHC 194 (Comm), par. 14. (11) Regolamento (CE) n. 593/2008 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 17 giugno 2008 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, GUUE, L 177/6, 4.7.2008, 10 (Roma I); Regolamento (UE) n. 1215/2012 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2012 concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (rifusione), GUUE, L 351/1, 20.12.2012, 6 (Bruxelles I-bis). Cfr. MALATESTA, Il nuovo regolamento Bruxelles I-bis e l’arbitrato: verso un ampliamento dell’arbitration exclusion, in Riv. dir. internaz. priv. proc., 2014, 5; SALERNO, Il coordinamento tra arbitrato e giustizia civile nel regolamento (UE) n. 1215/2012,inRiv. dir. internaz., 2013, 1146; RADICATI DI BROZOLO, L’arbitrato e la proposta di revisione del Regolamento Bruxelles I,in questa Rivista, 2011, 187; NUYTS, La refonte du réglement Bruxelles I,inRev. crit. DIP, vol. 102, 2013, 1, 11-20; BENEDETTELLI, ‘Communitarization’ of International Arbitration: A New Spectre Haunting Europe,27Arb. Int’l 583 (2011); VAN HOUTTE, Why Not Include Arbitration in the Brussels Jurisdiction Regulation?,21Arb. Int’l 509 (2005). (12) Vita Food Products Inc v Unus Shipping Co Ltd [1939] AC 277; R v International Trustee for the Protection of Bondholders AG [1937] AC 500; Bonython v Commonwealth of Australia [1951] AC 201, 219; Amin Shipping Corporation v Kuwait Insurance Co [1983] 2 Lloyd’s L Rep 365, 371, [1984] AC 50. th (13)COLLINS (gen. ed.), Dicey, Morris and Collins on the Conflict of Laws,15 ed., vol. 1, Sweet & Maxwell, 2012, 829; FAWCETT,CARRUTHERS,NORTH (eds.), Cheshire, North & Fawcett th Private International Law,14 ed., Oxford University Press, 2008, 453, nota 279; BEAUMONT, MCELEAVY, Anton’s Private International Law, 3° ed., W. Green, 2011, 562-563.

111 scelta dalle parti, in assenza di contraria indicazione dei contraenti (14). Solo in via eccezionale poteva configurarsi una diversa legge regolatrice della clausola arbitrale (15). Tale orientamento è stato costantemente riaffermato anche in decisioni più recenti volte ad enfatizzare la presunta volontà delle parti che l’integralità dei loro rapporti fosse governata dalla stessa legge, il rilievo decisivo della choice-of-law ed il carattere accessorio della clausola arbitrale rispetto al contratto principale (16).

3.2. Successivamente, anche se gradualmente, due ordini di ragioni, inter alia, hanno contribuito a conferire un’allure fragmentaire alla conso- lidata regola dell’estensione automatica della lex causae, eletta dalle parti, all’accordo di arbitrato. Da un lato, si osservava che, qualora l’arbitrato avesse luogo in uno Stato parte della Convenzione di New York, la previsione residuale dell’art. V(1)(a) avrebbe rappresentato un fattore rilevante in favore della legge del paese della sede quale legge applicabile alla clausola compromissoria (17). Dall’altro lato, il riconoscimento del principio di autonomia e separatezza della clausola arbitrale sul piano legislativo e giurisprudenziale rendeva opportuna una riforma del tradi- zionale orientamento del giudice inglese quanto alla proper law of the arbitration agreeement (18). Tali rilievi venivano recepiti dalle sentenze XL Insurance e CvD. Nel caso XL Insurance, il giudice decideva che la scelta di Londra quale sede dell’arbitrato ai sensi dell’Arbitration Act del 1996,

(14) Black Clawson International Ltd v Papierwerke Waldhof-Aschaffenburg AG [1982] 2 Lloyd’s Rep 446, 456; National Gypsum Co Inc v Borthern Sales Ltd [1963] 2 Lloyd’s Rep 499; International Tank & Pipe SAK v Kuwait Aviation Fuelling Company KSG [1975] QB 224; Cia Maritima Zorroza SA v Sesostris SAE (The Marques de Bolarque) [1984] 1 Lloyd’s Rep 652; The Star Texas [1993] 2 Lloyd’s Rep 445; James Miller & Partners Ltd v Whitworth Street Estates (Manchester) Ltd [1970] AC 583, 612. (15) Channel Tunnel Group Ltd v Balfour Beatty Construction Ltd [1993] AC 334, 357-358; Miller v Whitworth Street Estates Ltd [1970] 1 Lloyd’s Rep 269, [1970] AC 583; Naviera Amazonica Peruana SA v Compania Internacional de Seguros del Peru [1988] 1 Lloyd’s Rep 116, 119 (CA); Deutsche Schachtbau- und Tiefbohrgesellschaft mbH v Ras Al Khaimah Nat’l Oil Co [1987] 2 Lloyd’s Rep 246, 250 (CA); Astro Venturoso Compañía Naviera v Hellenic Shipyards SA (The Mariannina) [1983] 1 Lloyd’s Rep 12 (CA). (16) Union of India v McDonnell Douglas Corp [1993] 2 Lloyd’s Rep 48; Sumitomo Heavy Industries Ltd v Oil & Natural Gas Commission [1994] 1 Lloyd’s Rep 45, 57; ABB Lummus Global Ltd v Keppel Fels Ltd [1999] 2 Lloyd’s Rep 24; Sonatrach Petroleum Corp v Ferrell International Ltd [2002] 1 All ER (Comm) 627, par. 32; Leibinger v Stryker Trauma GmbH [2005] EWHC 690 (Comm); Svenska Petroleum Exploration AB v Government of the Republic of Lithuania (No 2) [2005] EWHC 2437 (Comm), [2006] 1 Lloyd’s Rep 181; Peterson Farms Inc v C&M Farming Ltd [2004] 1 Lloyd’s Rep 603 (QB); Tonicstar Ltd v Am Home Assur Co [2004] EWHC 1234 (Comm); JSC Zestafoni G Nikoladze Ferroalloy Plant v Ronly Holdings Ltd [2004] EWHC 245 (Comm); [2004] All ER (D) 258, par. 31. Per analoga giurisprudenza nell’ordinamento australiano, cfr. Recyclers of Australia v Hettinga Equipment Inc [2000] FCA 547; Comandate Marine Corp v Pan Australia Shipping Pty Ltd [2006] 157 FCR 45. (17)MUSTILL,BOYD, Commercial Arbitration, 2ª ed., Butterworths, 1989, 63. (18) UK Arbitration Act 1996 s. 7. Cfr. Fiona Trust & Holding Corp v Privalov [2007] UKHL 40, [2008] 1 Lloyd’s Rep 254, par. 17; Harbour Assurance Co (UK) Ltd v Kansa General Int’l Insurance Co Ltd, [1993] QB 701.

112 espressamente richiamato nella clausola, costituiva scelta implicita della legge inglese quale legge regolatrice della stessa, nonostante l’elezione della legge dello Stato del New York quale lex contractus (19). In CvD, caso fattualmente analogo a XL Insurance, il giudice Longmore ricono- sceva esplicitamente che la connessione più stretta e reale con la clausola arbitrale dovesse ravvisarsi con la legge del luogo di svolgimento dell’ar- bitrato, invece che con la lex causae (20). Più recentemente, il primato della sede dell’arbitrato, adombrato anche nel caso Dallah (21), è stato affer- mato dalla sentenza Abuja del 26 gennaio 2012. Il caso ineriva ad un arbitrato amministrato dall’International Chamber of Commerce (ICC) relativo all’inadempimento del management agreement di un hotel, sito in Abuja (Nigeria), sofferto dalla società francese Meridien ed imputato alla società nigeriana Abuja, proprietaria dell’albergo. Le parti avevano pre- visto l’applicazione della legge nigeriana al contratto e stipulato un compromesso per arbitrato ICC con sede a Londra. Il giudice Hamblen, investito del giudizio di annullamento promosso da Abuja ai sensi degli articoli 67 e 68 dell’Arbitration Act del 1996, rigettava la posizione della ricorrente che la convenzione di arbitrato fosse invalida (unconstitutional, null and void) in quanto contraria alla Costituzione della Nigeria del 1999, e decideva, stante l’asserita irrilevanza della lex causae, che la legge regolatrice della clausola arbitrale fosse quella inglese (22). Il giudice, invocato il principio di separabilità dell’accordo arbitrale, giustificava la propria conclusione in ragione della scelta implicita delle parti desunta dall’indicazione espressa della sede e, al contempo, in forza del criterio della connessione più stretta e reale tra la legge inglese, quale curial law

(19) XL Insurance Ltd v Owens Corning [2001] 1 All ER (Comm) 530. (20) CvD[2007] EWCA Civ 1282, [2008] 1 All ER (Comm) 1001: “The reason is that an agreement to arbitrate will normally have a closer and more real connection with the place where the parties have chosen to arbitrate than with the place of the law of the underlying contract in cases where the parties have deliberately chosen to arbitrate in one place disputes which have arisen under a contract governed by the law of another place.”. Conf., Noble Assurance Company and Shell Petroleum Inc v Gerling Konzern General Insurance Company UK Branch [2007] EWHC 25322; AvB[2007] 1 Lloyd’s Rep 237. Cfr. anche Dallal v Bank Mellat [1986] QB 441. Così deliberando, il giudice Longmore, in assenza di una stipulazione espressa riguardo alla legge applicabile alla clausola arbitrale, trascurava l’analisi riguardante la scelta implicita delle parti (quale possibilmente desunta dall’adozione della scelta di legge applicabile al main contract) e addiveniva direttamente all’analisi del criterio di default della closest and most real connection. Tale approccio fu rilevato criticamente da Lord Justice Moore-Bick nel caso Sulamérica ed adeguatamente corretto. Cfr. Sulamérica Cia Nacional de Seguros SA et al v Enesa Engenharia SA et al [2012] EWCA Civ 638, para. 25; Arsanovia Ltd v Cruz City 1 Mauritius Holdings [2013] 2 All ER 1, par. 13: “It is, I think, impossible not to detect in the judgment of Moore-Bick LJ in the Sulamérica case that he was uncomfortable with the reasoning of Longmore LJ.”. (21) Dallah Real Estate and Tourism Holding Co v The Ministry of Religious Affairs, Government of Pakistan [2010] UKSC 46, par. 14 et seq. (22) Abuja International Hotels Limited v Meridien Sas [2012] EWHC 87 (Comm), parr. 18-20: “as the Tribunal rightly held, Nigerian law is irrelevant to the validity of the arbitration agreement as it is governed by English law.”.

113 e lex (loci) arbitri, e la clausola compromissoria (23). Il ragionamento del giudice Hamblen riguardo all’implied choice (significativamente analogo a quello del giudice Longmore in CvD) sarà criticato e superato dalla giurisprudenza successiva, soprattutto in ordine all’irrilevanza della choi- ce-of-law, nonché abbandonato dal medesimo giudice nella sentenza Habas Sinai, qui annotata.

3.3. All’inizio dell’anno 2012, appariva evidente che la giurispru- denza inglese avesse pressoché invertito il proprio orientamento in tema di legge applicabile alla clausola arbitrale: dalla primazia della choice-of- law (Black Clawson) a quella della sede dell’arbitrato (CvD, Abuja)(24). Tuttavia, il secondo approccio, ritenuto foriero di conseguenze esorbitanti in punto di conflict-of-laws (25), è stato repentinamente riformato dai giudici inglesi con l’inaugurazione di un terzo orientamento “intermedio”, ma tendente nella sostanza all’applicazione della legge scelta dalle parti per regolare il main contract. Il novello approccio ha trovato formulazione piena e compiuta nelle decisioni Sulamérica (16 maggio 2012), Arsanovia (20 dicembre 2012) e si è infine metodologicamente cristallizzato nel caso Habas Sinai (19 dicembre 2013), in commento.

3.3.1. Il caso Sulamérica riguardava due polizze assicurative a co- pertura dei rischi associati alla costruzione di una centrale elettrica in Brasile nell’area di Jirau. Entrambe le polizze contenvano la choice-of-law in favore della legge brasiliana, l’elezione in via esclusiva del foro brasi- liano per la risoluzione delle controversie, nonché e soprattutto una convenzione di arbitrato con sede a Londra sotto l’egida dell’ARIAS. Il giudice inglese veniva investito della vicenda all’esito della richiesta di anti-suit injunction promossa dagli assicuratori (Sulamérica et al.), in seguito alla speculare e contraria anti-arbitration injunction ottenuta dagli assicurati (Enesa et al.) presso la corte di San Paolo del Brasile (26). Avendo il giudice di prime cure concesso l’ingiunzione, su istanza degli assicurati la causa veniva devoluta al giudice d’appello che si trovava così a dover decidere della questione della legge applicabile alla clausola compromissoria. Il giudice Moore-Bick indicava due assunti quali presup- posto del suo ragionamento. Il primo importava la possibilità di diver-

(23) Id., parr. 21-22. (24) Cfr. BANTEKAS, cit. nota 1, 4, 8, che si riferisce alla giurisprudenza CvDquale “prevailing orthodoxy”, riconoscendone la motivazione prevalente nell’esigenza di evitare l’applicazione contestuale di più d’una curial law;BLACKABY,HUNTER,REDFERN,PARTASIDES (eds.), Redfern and Hunter on International Arbitration, 2009, Oxford University Press, 169; ARZANDEH,HILL, cit. nota 1, 439; PEARSON, cit. nota 1, 122. (25)JOSEPH, cit. nota 1, 187. (26) Sulamérica CIA Nacional de Seguros SA et al v Enesa Engenharia SA et al [2012] EWHC 42 (Comm).

114 genza tra la proper law of the arbitration agreement elalex contractus, anche nel caso in cui la clausola arbitrale fosse inserita in un contratto principale (27). Il secondo ribadiva la classica metodologia tripartita in- glese ai fini dell’individuazione della legge applicabile al compromesso arbitrale (scelta espressa, scelta implicita, collegamento più stretto e reale), con la pragmatica precisazione che l’analisi della scelta implicita delle parti sovente si sovrappone a quella della legge più strettamente connessa all’accordo arbitrale e viceversa (28). Enfatizzando il carattere di separabilità della clausola di arbitrato, quale precipuo corollario del principio di effettività della medesima (29), il Lord Justice statuiva, dun- que, che in assenza di scelta espressa della legge applicabile al matrix contract e in presenza della designazione espressa della sede dell’arbitrato, non si può ragionevolmente desumere alcuna scelta implicita (implied choice) quanto alla legge governante la clausola arbitrale. In tal caso, è consequenzialmente possibile ricorrere al criterio residuale della closest and most real connection, che comporta l’applicazione della legge del luogo di svolgimento dell’arbitrato (30). Invece, in assenza di diversa o contraria indicazione, l’espressa scelta della legge regolatrice del contratto principale costituisce un forte indice dell’intenzione implicita delle parti che anche la convenzione arbitrale sia governata dalla medesima legge (31). Tuttavia, Lord Justice Moore-Bick non mancava di rilevare che la scelta di Londra quale sede dell’arbitrato comportava l’accettazione pattizia della legge inglese quale lex (loci) arbitri e, in particolar modo, che la legge brasiliana prevedeva che il procedimento arbitrale potesse essere iniziato solo con il consenso degli assicurati, come da questi ultimi affer- mato (one-sided arrangement)(32). Di conseguenza, il fondamentale prin- cipio di effettività dell’accordo arbitrale imponeva l’esclusione della scelta implicita della legge brasiliana, facendo così luogo alla ricerca della proper law sulla base del criterio residuale della closest and most real connnec- tion (33). In virtù della finalità dell’arbitrato quale strumento di risoluzione delle controversie, il giudice concludeva, dunque, che la clausola arbitrale presenta la sua connessione più stretta e reale con la legge del luogo di svolgimento dell’arbitrato, applicando in sostanza la regola di conflitto

(27) Sulamérica Cia Nacional de Seguros SA et al v Enesa Engenharia SA et al [2012] EWCA Civ 638, par. 25. (28) Ibid.:“because identification of the system of law with which the agreement has its closest and most real connection is likely to be an important factor in deciding whether the parties have made an implied choice of proper law.”. Cfr. MUSTILL,BOYD, cit. nota 17, 63. (29) Cfr. il risalente Hamlyn & Co v Talisker Distillery [1894] AC 202, 208, 215. (30) Sulamérica Cia Nacional de Seguros SA et al v Enesa Engenharia SA et al [2012] EWCA Civ 638, par. 26. (31) Id., par. 26. (32) Id., parr. 29-30. (33) Id., par. 31: “(if the insured are correct) there is at least a serious risk that a choice of Brazilian law would significantly undermine that agreement.”.

115 designante la legge del luogo di esecuzione della prestazione caratteristica, coincidente, inoltre, con la legge dello Stato le cui corti sono investite della giurisdizione primaria (primary jurisdiction) di supervisione del lodo nonché di appui, ove demandata dalle eventuali esigenze del processo arbitrale (34). La decisione dell’estensore è stata accompagnata dall’opi- nione concorrente del Master of the Rolls, Lord Neuberger. Il giudice sottolineava la desiderabilità di certezza giuridica nell’ambito dei contratti commerciali e non mancava di osservare come la determinazione della proper law of the arbitration agreement risultasse sorprendentemente difficoltosa in ragione dell’incoerenza dei precedenti giurisprudenziali. Sussumendo il problema nell’alveo dell’interpretazione contrattuale, il Master of the Rolls invocava il carattere decisivo di un approccio casistico: considerato in punto di diritto che sia la lex (loci) arbitri che la lex causae possano applicarsi in astratto alla clausola arbitrale (non essendo neces- saria una scelta a priori dell’una o dell’altra), la determinazione in con- creto della legge regolatrice non può che avvenire con dovuto riguardo alle altre disposizioni del contratto e a tutte le circostanze ad esso relative (35).

3.3.2. Il caso Arsanovia aveva ad oggetto il giudizio di annullamento di tre lodi arbitrali emessi con riguardo ad una joint venture, cui parteci- pavano, da un lato, Unitech (società madre), Arsanovia e Burley (società figlie) e, dall’altro, Cruz City, per lo sviluppo edilizio di alcune aree periferiche di Mumbai. Le parti avevano stipulato uno Shareholders’ Agreeement o SHA (tra Arsanovia e Cruz City) e un Keepwell Agree- ment (tra Unitech, Burley e Cruz City) che prevedevano la choice-of-law in favore della legge indiana e contenevano clausole arbitrali sostanzial- mente identiche designanti Londra quale sede dell’arbitrato sotto l’egida della London Court of International Arbitration (LCIA). Inoltre, le parti concordavano specificamente che non avrebbero esperito alcuna tutela cautelare in India a norma della legge di arbitrato indiana del 1996 (incluso l’art. 9), della cui prima parte veniva espressamente esclusa l’applicazione (36). Il giudice Smith riscontrava la non automatica coinci- denza tra lex causae, legge applicabile alla clausola di arbitrato e law of the

(34) Id., par. 32. (35) Id., par. 57-58: “[...] there are sound reasons to support either conclusion as a matter of principle. Whichever course is adopted, it is necessary to consider whether there is anything in the other provisions of the contract or the surrounding circ*mstances which assist in resolving the conundrum.”. (36) Arsanovia Ltd v Cruz City 1 Mauritius Holdings [2013] 2 All ER 1, par. 3: “Notwithstanding the above, the Parties hereto specifically agree that they will not seek any interim relief in India under the Rules or under the Arbitration and Conciliation Act, 1996 (the “Indian Arbitration Act”), including Section 9 thereof. The provisions of Part 1 of the Indian Arbitration Act are expressly excluded. For the avoidance of doubt, the procedure in this Clause 21 shall be the exclusive procedure for the resolution of all disputes referred to herein.”.

116 reference, comprensiva delle mandatory rules della lex (loci) arbitri,le quali potrebbero rispettivamente tutte divergere (37). Richiamando il pre- cedente Sulamérica, il giudice osservava accuratamente che Lord Justice Moore-Bick era giunto alla conclusione che le parti non avessero com- piuto alcuna scelta — espressa o implicita — riguardo alla proper law of the arbitration agreement,e,per l’effetto, aveva potuto fare ricorso al criterio residuale del collegamento più stretto (38). In Arsanovia, il giudice procedeva ad applicare magistralmente l’approccio casistico suggerito dal Master of the Rolls in Sulamérica e addiveniva a rilevare la peculiarità dell’esclusione espressa di specifiche disposizioni legislative di una data legge di arbitrato, in casu indiana. Ne discendeva quale inferenza logica che le parti avessero inteso che la convenzione di arbitrato fosse governata proprio dalla medesima legge quanto ad ogni altro effetto (39). Dato che i ricorrenti avevano richiesto al giudice di accertare la scelta tacita della legge indiana quale regolatrice della clausola di arbitrato, il giudice Smith qualificava la scelta delle parti almeno quale implicita, ma lasciava inten- dere che il tenore letterale dell’accordo arbitrale poteva altresì deporre a favore di una scelta espressa (40). Infine, il giudice ribadiva che la propria decisione lasciava impregiudicato l’assunto che la legge della sede dell’ar- bitrato presentasse il collegamento più stretto e reale con la clausola arbitrale, come statuito in Sulamérica e CvD(41).

3.3.3. Nel caso Habas Sinai, i principi e criteri affermati in Sula- mérica e Arsanovia venivano confermati dal giudice Hamblen, il quale provvedeva a ordinarli in uno schema astratto in funzione di utile ed efficace sintesi a beneficio dell’interprete del novello filone giurispruden- ziale inglese in tema di proper law of the arbitration agreement (42). Il giudice Hamblen constatava che il contratto tra Habas e VSC non conte- neva alcuna clausola di scelta della legge applicabile al merito e ricono- sceva la legge turca quale lex contractus, in quanto avente il nesso più stretto con il matrix contract, osservando altresì che la legge regolatrice

(37) Id., par. 9. (38) Id., par. 17. (39) Id., parr. 20-21. (40) Id., parr. 22-23: “Express terms do not stipulate only what is absolutely and unam- biguously explicit [...] There is, as observed in Chitty of Contracts (31st Ed, 2012) at para 13-002, a close affinity between the implication of terms and the interpretation of express terms, and I need only say that in my judgment the parties evinced the intention that the arbitration agreement in the SHA be governed by the law of India: it is unimportant whether the choice is characterised as express or implied.”. (41) Id., par. 24. (42) Per quanto concerne i fatti della vicenda del caso Habas Sinai, si rimanda ai cenni formulati in apertura del presente commento.

117 della clausola arbitrale ben poteva differire dalla lex causae (43). Secondo il giudice, in assenza di un’espressa choice-of-law nel main contract, l’indicazione esplicita della sede nella clausola arbitrale deve ritenersi interpretativamente “schiacciante” (overwhelming), sì da determinare che la legge del luogo della sede sia la più strettamente e realmente connessa alla convenzione di arbitrato e, dunque, la sua proper law (principio già formulato in Sulamérica)(44). Al contrario, invece, l’esplicita elezione della legge applicabile al contratto principale determina una forte presun- zione che l’accordo arbitrale sia governato dalla medesima legge in forza di una corrispondente scelta implicita delle parti, fatta salva ogni indica- zione in senso contrario (45). Nel caso in cui lo stesso contratto contenga un’espressa choice-of-law e al contempo la designazione espressa della sede dell’arbitrato, la presunzione in favore dell’applicazione della lex causae alla convenzione di arbitrato deve ritenersi prevalente (46). Tutta- via, qualora altri elementi di fatto e di diritto conducano sufficientemente all’esclusione della scelta implicita delle parti che la clausola arbitrale sia governata dalla stessa legge espressamente applicabile al contratto (in modo particolare ove insidianti l’effettività dell’accordo arbitrale), la clausola stessa sarà regolata dalla legge del luogo della sede dell’arbitrato, quale legge probabilmente ad essa più strettamente e realmente con- nessa (47). Nel caso di specie, il giudice Hamblen concludeva, pertanto, che, in assenza di una choice-of-law, la legge inglese dovesse applicarsi alla clausola arbitrale, essendo Londra la sede dell’arbitrato (48). Quale obiter dictum, veniva anche osservato che l’indicazione espressa della sede dell’arbitrato, in assenza di choice-of-law nel main contract, può rilevare quale scelta implicita della lex causae, nonché, a fortiori, della legge applicabile alla clausola arbitrale, conducente all’applicazione della lex (loci) arbitri (49).

3.4. Alla luce della precedente rassegna delle più recenti decisioni delle corti inglesi, è possibile indicare una sintesi delle soluzioni che il giudice inglese adotterebbe in astratto in base al proprio approccio

(43) Habas Sinai Ve Tibbi Gazlar Istihsal Endustrisi AS v VSC Steel Company Ltd [2013] EWHC 4071 (Comm), par. 101(1). (44) Id., par. 101(3). (45) Id., par. 101(4). Cfr. LEW, cit. nota 1, 136. (46) Habas Sinai Ve Tibbi Gazlar Istihsal Endustrisi AS v VSC Steel Company Ltd [2013] EWHC 4071 (Comm), par. 101(5). (47) Id., par. 101(6). (48) Id., par. 103. (49) Id., par. 102. Cfr. Hamlyn & C. v Talisker Distillery [1894] AC 202, 208; Cie Tunisienne v Cie d’Armement [1971] AC 572, 596, 604-605; Egon Oldendorff v Liberia Corp [1996] 1 Lloyd’s Rep 380, 388-390; Bangladesh Chem Indus Corp v. Henry Stephens Shipping Co [1981] 2 Lloyd’s Rep 389, 392; Halpern v Halpern [2006] EWHC 603 (Comm), par. 55; King v Brandywine Reinsurance Co Ltd [2005] EWCA Civ 235, par. 40. Cfr. JOSEPH, cit. nota 1, 179.

118 tripartito — lo si ribadisce, squisitamente conflittuale — al problema della legge applicabile alla clausola compromissoria. a) Scelta espressa. Dato che le parti assai raramente designano la legge regolatrice della convenzione di arbitrato, solitamente il giudice inglese non ravviserà una scelta espressa. Tuttavia, l’esclusione conven- zionale di specifiche disposizioni di una legge nazionale di arbitrato potrebbe essere interpretata quale scelta espressa (o perlomeno implicita) delle parti quanto all’applicabilità della medesima legge. b) Scelta implicita. Se il contratto principale cui accede la clausola di arbitrato contiene una choice-of-law espressa, il giudice inglese ne desumerà una forte presunzione che le parti abbiano implicitamente voluto che anche la convenzione di arbitrato sia governata dalla medesima legge, salvo in- dicazione in senso contrario. Tuttavia, qualora l’applicazione della lex cau- sae sia suscettibile di minare in atto o in potenza l’effettività dell’accordo arbitrale, il giudice inglese escluderà la scelta implicita pattizia e concluderà che nessuna scelta (espressa o implicita) è stata compiuta. c) Connessione più stretta e reale. Il giudice inglese statuirà che, in assenza di scelta di legge (espressa o implicita) e di ogni altra indicazione in senso contrario, la clausola arbitrale è governata dalla legge del luogo della sede dell’arbitrato o lex (loci) arbitri, quale legge caratterizzata dalla closest and most real connection con il compromesso arbitrale (trattasi della legge del luogo di performance della prestazione caratteristica de- dotta nella clausola compromissoria).

4. L’approccio dei giudici inglesi appare piuttosto isolato in con- fronto alle soluzioni apprestate al tema della legge applicabile alla clausola compromissoria dalle fonti internazionali, da altri ordinamenti nazionali in via legislativa o giurisprudenziale, nonché dalla prassi arbitrale inter- nazionale.

4.1 L’art. V(1)(a) della Convenzione di New York prevede che il riconoscimento o l’esecuzione del lodo possa essere rifiutato se la clausola arbitrale è invalida ai sensi del diritto al quale le parti l’hanno assogget- tata, oppure, in assenza di tale indicazione, ai sensi della legge del paese in cui il lodo è stato reso (“the said agreement is not valid under the law to which the parties have subjected it or, failing any indication thereon, under the law of the country where the award was made.”) (50). In primis,la disposizione tutela l’autonomia negoziale delle parti riconoscendo l’appli- cabilità del diritto eletto, preferibilmente in maniera espressa, dalle parti (loi d’autonomie)(51). Gradatamente, la seconda parte dell’art. V(1)(a)

(50)NACIMIENTO, cit. nota 1, 224. (51) VAN DEN BERG, cit. nota 1, 1981, 293.

119 dispone l’applicazione della legge dello Stato delle sede dell’arbitrato, codificando una singola regola sostanziale direttamente applicabile ad ogni accordo arbitrale, senza ricorso alle regole di conflitto del foro (voie directe). Tale impostazione è stata recepita in via maggioritaria dagli ordinamenti nazionali in via legislativa o giurisprudenziale, nonché dai tribunali arbitrali (52). Tale prassi ha sostanziato un significativo ravvici- namento ed armonizzazione delle soluzioni apprestate dagli ordinamenti nazionali, rendendo così possibile il trattamento opportunamente uni- forme del tema della proper law della clausola arbitrale, a prescindere dalla nazionalità del giudice adito (53). Conseguentemente, il rischio del- l’applicazione di disposizioni della lex fori (comprese le regole di conflitto) che producano effetti idiosincratici o discriminatori nei confronti degli accordi arbitrali internazionali risulta notevolmente contenuto (54). Esi- genze di coerenza sistematica demandano criteri interpretativi analoghi in relazione all’art. II(3), concernente la fase pre-arbitrale, e all’art. V(1)(a) della Convenzione di New York, concernente la fase post-arbitrale, in ragione del comune riferimento alla validità sostanziale della clausola compromissoria (55). A questo riguardo, però, il punctum dolens dell’ap- plicazione della legge della sede dell’arbitrato quale proper law of the arbitration agreement albergherebbe nella circostanza che detto luogo non sia necessariamente divisato in maniera espressa dalle parti (56). In tali casi, l’indicazione della sede è attribuita al tribunale arbitrale, all’ente

(52)SANDERS, Quo Vadis Arbitration? Sixty Years of Arbitration Practice: A Comparative Study, Kluwer Law International, 1999, 330; VAN DEN BERG, 1981, cit. nota 1, 294; CRAIG,PARK, PAULSSON, cit. nota 3, 53-54; BLESSING, cit. nota 1, 174: “There is a strong tendency (also strengthened by the New York Convention) that the substantive validity of the arbitration clause should be governed by the law of the place of arbitration.”; BERNARDINI, cit. nota 1, 201; BERGER, cit. nota 1, 317, 320, 332-333: “The study has also revealed that the juridical seat of the arbitration plays a dominant role as a connecting factor for the determination of the law applicable to the formal and substantive validity of the arbitration agreement.”; GRIGERA NAÓN, cit. nota 1, 70; REDFERN,HUNTER, cit. nota 24, 167; ARZANDEH, cit. nota 1, 34; DI PIETRO, Applicable Laws Under the New York Convention,inFERRARI,KRÖLL, cit. nota 1, 63, 73. (53) Cfr., infatti, Singapore High Court, FirstLink Investments Corp Ltd v GT Payment Pte Ltd and others [2014] SGHCR 12, in questa Rivista, 2014, 833, nota PONZANO; Tokyo Koto Saibansho, 30 maggio 1994, 20 Y.B. Comm. Arb. 745, 747 (1995); Indian Supreme Court, Citation Infowares Ltd v. Equinox Corp., 7 SCC 220, par. 15 (2009); Indian Supreme Court, Nat’l Thermal Power Corp. v. Singer Co.,18Y.B. Comm. Arb. 403, 405 (1993). (54)BORN, cit. nota 9, 501, 506; ARZANDEH,HILL, cit. nota 1, 426. (55) Corte d’Appello di Genova, 3 febbraio 1990, Delia Sanara Kustvaart-Bevrachting e Overslagbedrijf BV c. Fallimento Cap. Giovanni Coppola srl,17Y.B. Com. Arb. 542, 543 (1992); Tribunale Federale (Svizzera), 21 marzo 1995, Insurance Company v. Reinsurance Company,22 Y.B. Comm. Arb. 800 (1997). In dottrina, cfr. BORN, cit. nota 9, 494; LEW,MISTELIS,KRÖLL, cit. nota 8, 119; SCHRAMM,GEISINGER,PINSOLLE, Article II,inKRONKE,NACIMIENTO,OTTO,PORT, cit. nota 1, 54; VAN DEN BERG, cit. nota 1, 1981, 126-127: “Article II can be deemed to incorporate Article V(1)(a)”; ARZANDEH,HILL, cit. nota 1, 426; BERGER, cit. nota 1, 317; GRAFFI, cit. nota 1, 56. Contra,BERNARDINI, cit. nota 1, 200. (56) Si pensi, inoltre, al caso perspicuo delle c.d. “clausole giapponesi” (cross-filing arbitration agreements), in base alle quali, insorta la lite, l’attore deve instaurare l’arbitrato nel paese del convenuto. Cfr. TANIGUCHI, cit. nota 1, 336.

120 amministrante la procedura o, eccezionalmente, alla corte nazionale fa- cente funzioni di juge d’appui (57). In dottrina, è stato argomentato che la scelta operata ex post da un soggetto terzo non può avvenire che in virtù di un mandato conferito dalle parti ai sensi della convenzione arbitrale, e, pertanto, detta scelta equivarrebbe alla determinazione dei contraenti (58). Risulta, tuttavia, concettualmente difficoltosa una piena equiparazione tra la scelta della sede arbitrale ad opera delle parti e tramite il tribunale o l’istituzione arbitrale (59). Gli artt. VI(2) e XI(1)(a) della Convenzione europea sull’arbitrato commerciale internazionale del 21 aprile 1961 (“Convenzione di Ginevra”) codificano criteri identici a quelli della Con- venzione di New York. Inoltre, dato che l’art. VI della Convenzione di Ginevra si riferisce alla fase pre-arbitrale, è fatta salva in via residuale l’operatività delle regole di conflitto della lex fori, ove non sia possibile individuare la legge scelta dalle parti o il paese in cui l’arbitrato si svolgerà. Anche gli artt. 34(2)(a)(i) e 36(1)(a)(i) della Legge Modello, rispettivamente regolanti l’annullamento e il diniego del riconoscimento o dell’esecuzione del lodo arbitrale, non si discostano dal criterio binario (two-pronged) dettato dall’art. V(1)(a) della Convenzione di New York. Si nota, infine, che l’Istituto di Diritto Internazionale, nella sua risoluzione di Santiago di Compostela del 1989, ha indicato che gli arbitri, nella selezione della legge applicabile alla validità dell’accordo arbitrale, debbano essere guidati dal principio in favorem validitatis (60).

4.2. La rassegna delle prassi nazionali denota l’adozione di diverse

(57) Art. 18(1) UNCITRAL Arbitration Rules (2010); art. 18(1) ICC Arbitration Rules; art. 16(2) LCIA Arbitration Rules (2014). Adde, art. 1505 del nuovo codice di procedura civile francese. Cfr. GAILLARD, Réflexions sur le nouveau droit français de l’arbitrage international,in questa Rivista, 2011, 525, 531-533, che ravvisa la discendenza di tale norma, almeno quanto al comma 4, dalla giurisprudenza NIOC, v. Cour de Cassation, 1re Ch. civ., 1 febbraio 2005, État d’Israël c. Sté NIOC,inRev. arb., nota MUIR-WATT. Sul punto, cfr. BRIGUGLIO, Funzioni giudiziali ausiliarie e di controllo ed arbitrato estero, in questa Rivista, 2011, 573, 605-611. (58)BERNARDINI, cit. nota 1, 201; BERGER, cit. nota 1, 321-322. (59)REDFERN,HUNTER, cit. nota 24, 174: “In cases of this kind, which are not uncommon both in institutional and in ad hoc arbitration, the choice of the place of arbitration has little or nothing to do with the parties or with the contract under which the dispute arises. It is, so to speak, an unconnected choice. In these circ*mstances, it would be illogical to hold that the lex arbitri, the law of the place of arbitration, was necessarily the law applicable to the issues in dispute. (Occasionally, it may be otherwise if the parties have chosen a place of arbitration but not chosen a law to govern their contractual relationship.)”. Tale rilievo è importante ed enfatizza una distinzione di carattere generale. Cfr. Tribunale Federale (Svizzera), 19 giugno 1980, Libyan American Oil Co. (Liamco) v. Socialist People’s Lybian Arab Jamarhirya,20Int’l Leg. Mat. 151 (1981), in cui l’esecuzione di un lodo reso in Svizzera è stata rifiutata alla stregua del difetto di Binnenbezihung, proprio in quanto la sede del procedimento arbitrale era stata fissata dagli arbitri e non dalle parti. Cfr. DE STEFANO, Arbitration Agreements as Waivers to Sovereign Immunity,30Arb. Int’l 59, 79 (2014). (60)ISTITUTO DI DIRITTO INTERNAZIONALE, Risoluzione del 12 settembre 1989 di Santiago de Compostela sull’arbitrato tra Stati, imprese statali o entità parastatali e entità straniere, art. 4, 16 Y.B. Comm. Arb. 236, 238 (1991).

121 regole per l’individuazione della legge regolatrice della clausola compro- missoria, tutte diverse dalla soluzione inglese della presunzione di appli- cabilità della lex contractus. Tali opzioni possono essere così classificate: i. applicazione della legge scelta dalle parti (party autonomy); ii. applicazione della lex (loci) arbitri (paesi di civil law, compresa l’Italia); iii. applicazione di principi generali di diritto internazionale (Fran- cia); iv. adozione del c.d. favor validitatis (Svizzera); v. applicazione della lex fori (Stati Uniti).

4.2.1. In conformità all’impostazione binaria dell’art. V(1)(a) della Convenzione di New York, le corti italiane hanno generalmente ricono- sciuto l’applicabilità alla clausola compromissoria per arbitrato estero della legge eletta dalle parti o della legge del paese in cui si svolge l’arbitrato (61). Nel caso Krauss Maffei, la Corte di Cassazione, in sede di regolamento preventivo di giurisdizione, ha riconosciuto l’inoperatività di una clausola compromissoria per arbitrato con sede a Berna, applicandovi la legge italiana quale lex contractus, individuata alla stregua dei criteri dettati dalla Convenzione di Roma del 19 giugno 1980, avendo la Suprema Corte preliminarmente delibato l’inefficacia della choice-of-law delle parti in favore della legge tedesca (62). Si osserva anche che la Suprema Corte ha sporadicamente suffragato delle aperture ad un approccio più transna- zionale (“alla francese”), statuendo che l’accordo arbitrale fosse regolato dalla lex mercatoria quale insieme di regole di diritto derivanti dagli usi del commercio internazionale, solitamente confermando l’interpretazione as- sunta dagli arbitri nel lodo oggetto di exequatur (63). Nei sistemi di civil law, le corti hanno generalmente optato per l’applicazione della legge dello Stato in cui ha avuto luogo il processo arbitrale, alla stregua del criterio del “centre-of-gravity”(closest connection o most significant rela- tionship) o, meno diffusamente, della scelta implicita delle parti (64). È tale

(61) Cass. civ., 15 luglio 1994, n. 6690, Conceria G. De Maio e F. snc c. Ditta EMAG AG, 21 Y.B. Comm. Arb. 602 (1996); Cass. civ., Sez. I, 15 dicembre 1982, n. 6915, Rocco Giuseppe e Figli s.n.c. c. Federal Commerce and Navigation Ltd.,10Y.B. Comm. Arb. 464, 465 (1985); Trib. Lodi, 13 febbraio 1991, Soc. Adda off. elettromeccaniche e meccaniche c. Alsthom Atlantique SA,inRiv. dir. internaz. privato e proc., 1992, 339. Cfr. anche l’attenta ed esaustiva disamina di FRIGNANI, The Application of the New York Convention by Italian Courts, in questa Rivista, 2014, 303, 312-313. (62) Cass. civ., Sez. Un., 10 marzo 2000, n. 58, Krauss Maffei Verfahrenstechnik GmbH c. Soc. Bristol Myers Squibb,inForo it., 2000, I, 2226, in 26 Y.B. Comm. Arb. 816 (2001). (63) Cass. civ., 9 maggio 1996, n. 811, Société Arabe des Engrais Phosphates et Azotes e Société Industrielle d’Acide Phosphorique et d’Engrais (SIAPE) c. Gemanco Srl,22Y.B. Comm. Arb. 737, 741 (1997). Il lodo era stato reso in Tunisia. (64) Ex multis,REDFERN,HUNTER, cit. nota 24, 167.

122 il caso delle corti di Svezia (65), Germania (66), Austria (67), Belgio (68), Paesi Bassi (69) e Spagna (70). Non sono tuttavia mancati più rari casi in cui corti di merito abbiano deciso in favore dell’applicazione della lex causae, persino ove quest’ultima non fosse stata espressamente scelta delle parti (71).

4.2.2. L’approccio francese è contraddistinto da uno spiccato carat- tere transnazionale, dunque non positivista, né conflittuale. Infatti, le corti francesi hanno costantemente applicato una vera e propria regola sostan- ziale (règle matérielle) in base alla quale la validità dell’accordo arbitrale deve apprezzarsi alla stregua della comune volontà delle parti, senza necessario ricorso ad una legge nazionale, soggetta solamente alle norme imperative e all’ordine pubblico internazionale francesi (giurisprudenza Dalico)(72). Conformemente, tutte le variegate ramificazioni del détour

(65) Corte Suprema Svedese, 27 ottobre 2000, Bulgarian Foreign Trade Bank, Ltd v. A.I. Trade Fin., Inc.,26Y.B. Comm. Arb. 291, 293 (2001). (66) Bundesgerichtshof, 10 maggio 1984, in NJW, 1984, 2763, 2764; Bundesgerichtshof, 20 marzo 1980, in NJW, 1980, 2022, 2024; Bundesgerichtshof, 7 gennaio 1971, in NJW, 1971, 986; Oberlandesgericht Dresden, 18 febbraio 2009, 11 Sch 07/08. Contra, Bundesgerichtshof, 28 novembre 1963, in NJW, 1964, 591-592, che ha applicato la lex causae alla clausola arbitrale. (67) Oberster Gerichtshof, 19 febbraio 2004, 6 Ob 151/03d; Oberster Gerichtshof, 17 novembre 1971, 8 Ob 233/71. (68) Tribunal de Commerce de Bruxelles, 20 settembre 1999, Matermaco SA c. PPM Cranes Inc.,25Y.B. Comm. Arb. (2000). (69) Rotterdam Voorzieningenrechter (Presidente del Tribunale), 28 febbraio 2011, n. 370214/KGRK10-3521, Catz Int’l B.V. v. Gilan Trading KFT,37Y.B. Comm. Arb. 271, 272 (2012); Rotterdam Arrondissem*ntsrechtbank, 28 settembre 1995, Petrasol BV v. Stolt Spur Inc.,22Y.B. Comm. Arb. 762, 765 (1997); Den Haag Gerechtshof, 4 agosto 1993, Owerri Commercial Inc. v. Dielle Srl,19Y.B. Comm. Arb. 703, 706 (1994); Rotterdam Rechtbank, 24 novembre 1994, 21 Y.B. Comm. Arb. 635, 638 (1996). L’art. 166 del libro X del codice civile olandese (Burgerlijk Wetboek), recentemente modificato con legge del 2 giugno 2014, dispone, in deroga espressa ai criteri fissati dal Regolamento Roma I, l’applicabilità del diritto eletto dalle parti oppure, da un lato, della legge della sede dell’arbitrato o, dall’altro lato, della lex causae. (70) Tribunal Superior de Justicia de Catalunya, 25 marzo 2013, n. 46, Sierra-Affinity, LLC c. Wide Pictures, S.L.,38Y.B. Comm. Arb. 465 (2013). (71) Hanseatisches Oberlandesgericht Hamburg, 24 gennaio 2003, 30 Y.B. Comm. Arb. 509, 515 (2005); Thüringen Oberlandesgericht, 13 gennaio 2011, 1 Sch 01/08, Subsidiary Company of Franchiser v. Franchisee,37Y.B. Comm. Arb. 221 (2012). In tal senso, cfr. il recente contributo di STÜRNER,WANDELSTEIN, cit. nota 1, 480. (72) Cour d’Appel de Paris, 13 dicembre 1975, Menicucci c. Mahieux,inRev. crit. DIP, 1976, 507, nota OPPETIT,inRev. arb., 1977, 147, nota FOUCHARD,inJDI (Clunet), 1977, 106, nota LOQUIN:“compte-tenu de l’autonomie de la clause compromissoire instituant un arbitrage international, celle-ci est valable indépendamment de la référence à toute loi étatique”; Cour d’Appel de Paris, 8 marzo 1990, Coumet et Ducler c. Polar-Rakennusos a Keythio,inRev. arb., 1990, 675; Cour de Cassation, 1re Ch. civ., 20 dicembre 1993, Municipalité de Khoms El Mergeb c. Dalico,inRev. arb., 1994, 116, nota GAUDEMET-TALLON,inJDI (Clunet), 1994, 432, nota GAILLARD e 690, nota LOQUIN,inRev. crit. DIP, 1994, 663, nota MAYER:“en vertu d’une règle matérielle du droit international de l’arbitrage, la clause compromissoire est indépendante juridiquement du contrat principal qui la contient directement ou par référence et que son existence et son efficacité s’apprécient, sous réserve des règles impératives du droit français et de l’ordre public international, d’après la commune volonté des parties, sans qu’il soit nécessaire de

123 “conflittualista” sono efficientemente aggirate mediante l’applicazione diretta di principi generali di diritto internazionale, nonché degli usi commerciali (metodo del voie directe)(73). La soluzione francese enfatizza il primato della volontà delle parti, salva l’eccezione dell’ordine pubblico internazionale e l’applicazione delle lois de police, e valorizza nel massimo grado il principio di autonomia della clausola compromissoria (74). Al di là degli immediati rilievi in punto di certezza giuridica (75), è stato sottoli- neato come la giurisprudenza Dalico non sia particolarmente aderente alla Convenzione di New York, che all’art. V(1)(a) indica in ogni caso l’ap- plicazione di una legge nazionale, in assenza di scelta delle parti (76). se référer à une loi étatique.”; Cour d’Appel de Paris, 24 febbraio 1994, Ministère tunisien de l’Equipement c. Société Bec Frères S.A. et Société Grands Travaux d’Afrique,inRev. arb., 1995, re 275, nota GAUDEMET,22Y.B. Comm. Arb. 682, 687 (1997); Cour de Cassation, 1 Ch. civ., 4 re dicembre 1990, Ecofisa,inRev. arb., 1991, 81, nota FOUCHARD; Cour de Cassation, 1 Ch. civ., re 26 giugno 1990, Dreistern Werk,inRev. arb., 1991, 291, nota KESSEDJIAN; Cour de Cassation, 1 re Ch. civ., 25 giugno 1991, Cotunav,inRev. arb., 1991, 453, nota MAYER; Cour de Cassation, 1 Ch. civ., 8 luglio 2009, Société d’études et représentations navales et industrielles c. Société Air Sea Broker Ltd,inRev. arb., 2009, 529; Cour de Cassation, 1re Ch. civ., 30 marzo 2004, Rado c. Painvewebber,inRev. arb., 2005, 115; Cour de Cassation, 1re Ch. civ., 21 maggio 1997, Renault c. V 2000,inRev. arb., 1997, 537; Cour d’Appel de Paris (Pôle 1 - Ch. 1), 7 aprile 2011, République de Guinée équatoriale c. Sté Fitzpatrick Équatorial Guinea Ltd,inRev. arb., 2011, 747, nota BOLLÉE,HAFTEL; Cour d’Appel de Paris, 18 novembre 2010, République de Guinée Équatoriale c. SA Bank Guinea Équatorial,inRev. arb., 2010, 980; Cour d’Appel de Paris, 25 novembre 1999, SA Burkinabe des ciments et matériaux v. Société des ciments d’Abidjan,inRev. arb., 2001, 165; Cour d’Appel de Paris, 17 dicembre 1991, Gatoil c. Nat’l Iranian Oil Co.,inRev. re arb., 1993, 281, nota SYNVET; Cour de Cassation, 1 Ch. civ., 30 marzo 2004, Société Uni-Kod c. Société Ouralkali,inRev. arb., 2005, 959 (facendo salva la scelta delle parti quanto alla legge applicabile alla clausola arbitrale); Cour de Cassation, 1re Ch. civ., 11 luglio 2006, Société PT Andhika Lines c. Société AXA, Case No. 03-19838, in JPC G 2006, IV, 2778; Cour d’Appel de Paris, 24 febbraio 2005, Sidermetal c. Arcelor Int’l Exp.,inRev. arb., 2005, 787; Cour d’Appel de Paris, 10 giugno 2004, Bargues Agro Indus. SA c. Young Pecan Cie,30Y.B. Comm. Arb. 499, 502 (2005). (73) Cfr. LOQUIN, L’application des règles matérielles internationales par les arbitres du commerce international,inCHAABAN (dir.), L’arbitrage détaché des lois étatiques, Colloque du Mans, 15 dicembre 2011, Editions L’Epitoge, 2012, 35-36. (74)GAILLARD, nota a Dalico, cit. nota 72, 436-437; LOQUIN, nota a Dalico, cit. nota 72, 700. e (75)MAYER,HEUZÉ, Droit international privé,10 éd., Montchrestien, 225; GAUDEMET- re TALLON, nota a Dalico, cit. nota 72, 122-123; MAYER, nota a Cour de Cassation, 1 Ch. civ., 3 marzo 1992, Sonetex c. Charphil et al.,inRev. arb., 1993, 275, 276; BERNARDINI, cit. nota 1, 202: “The French rule, with its extreme liberalism, may bring about results going beyond the parties’ expectations in view of the wide discretion left to the arbitrator in determining the parties’ common intent, considering also the absence of any requirement of form of the arbitration clause in case of international arbitration.”; POUDRET,BESSON, Droit comparé de l’arbitrage international, Bruylant, 2002, 149. (76)BORN, cit. nota 9, 554-555; BERGER, cit. nota 1, 310: “The French approach may thus be characterized as an unnecessary exaggeration of transnationalism. [...] France is the exception, not the rule.”. Per contro, l’accusa di imperialismo o espansionismo giuridico sarebbe pronta- mente superabile considerando la formula Dalico quale espressione di una regola materiale francese relativa all’arbitrato c.d. internazionale con sede in Francia. Cfr. BENEDETTELLI,CON- SOLO,RADICATI DI BROZOLO, cit. nota 3, 596; CRAIG,PARK,PAULSSON, cit. nota 3, 53; MAYER, nota a Dalico, cit. nota 72, 667; FOUCHARD,GAILLARD,GOLDMAN, cit. nota 8, 251. Cfr. Cour de Cassation, 1re Ch. civ., 5 gennaio 1999, M. Zanzi c. J. de Conick et al.,inRev. arb., 1999, 260, nota FOUCHARD,inJDI (Clunet), 1999, 784, in Rev. crit. DIP, 1999, 546.

124 Tuttavia, la posizione francese risulta in ultima analisi funzionale alla realizzazione delle direttrici ispiratrici della Convenzione marcatamente favorevoli all’enforcement delle clausole compromissorie e dei lodi arbi- trali (77). Inoltre, più pragmaticamente, tale indirizzo risulterebbe partico- larmente desiderabile laddove la sede del processo arbitrale sia collocata in paesi il cui diritto comporti delle conseguenze idiosincratiche quanto all’effettività della clausola arbitrale (78), in rilevante conformità alla policy di “delocalizzazione” dell’arbitrato internazionale, ravvisabile nella giurisprudenza francese sul riconoscimento dei lodi arbitrali annullati nel paese di origine (79).

4.2.3. Altri ordinamenti di civil law hanno adottato espressamente in via legislativa il c.d. favor validitatis (validation principle), in base al quale, data una serie di criteri di collegamento alternativi ai fini dell’individua- zione del diritto applicabile alla clausola arbitrale, quest’ultima deve in ogni caso risultare regolata dalla legge che ne assicuri l’esistenza, validità o efficacia. L’esempio principe di detto indirizzo è l’art. 178(2) della legge federale svizzera di diritto internazionale privato del 1987, che dispone l’applicabilità della legge scelta dalle parti per regolare l’accordo arbitrale, della lex causae o della legge svizzera, quale lex fori (“ubiquity rule”) (80). Analoghe disposizioni ispirate al favor validitatis si rinvengono nell’art. 9(6) della legge di arbitrato spagnola del 2011 e nell’art. 458-bis 1(3) del codice di procedura civile e amministrativa algerino del 1993. Il medesimo spirito pro-enforcement si riscontra in alcune sentenze di corti di civil law, indipendentemente dall’adozione esplicita del validation principle sul piano legislativo, come in Austria (81).

4.2.4. Nell’ordinamento statunitense, le convenzioni di arbitrato c.d.

(77) Così, con vena spiccatamente pragmatica, LEW, cit. nota 1, 123. Adde,GAILLARD, nota a Dalico, cit. nota 72, 440. (78)BLESSING, The New International Arbitration Law in Switzerland. A Significant Step Towards Liberalism,5J. Int’l Arb. 9, 32-33 (1988). (79) Non è questa la sede per l’analisi del tema del riconoscimento dei lodi arbitrali annullati nel paese di origine. Si veda in questa Rivista la disamina di VALLAR, Il riconoscimento di lodi annullati nel paese d’origine: l’approccio dei Paesi Bassi, nota a Gerechthof Amsterdam, 28 aprile 2009, Yukos Capital Sarl v. OAO Rosneft, 2012, 97. (80) Tribunale Federale (Svizzera), 16 ottobre 2003, n. 4P_115/2003, X,Y&Av.Z,22 ASA Bull. 364, 387 (2004). Cfr. BUCHER (dir.), Droit international privé. Loi fédérale et conventions internationales: recueil de textes,1re éd., Helbing und Lichtenhahn, 1988, 43; BUCHER, Le nouvel arbitrage international en Suisse, Helbing & Lichtenhahn, 1988, 42; LALIVE, POUDRET,REYMOND, Le droit de l’arbitrage interne et international en Suisse, Editions Payot, 1989, 321-324; LALIVE, The New Swiss Law on International Arbitration,4Arb. Int’l 2, 10 (1988); BLESSING, cit. nota 78, 31; BLESSING, cit. nota 1, 170; BÄRTSCH,PETTI, The Arbitration Agreement, in GEISINGER,VOSER (eds.), International Arbitration in Switzerland: A Handbook for Practitio- ners,2nd ed., Kluwer Law International, 2013, 25, 28-29. (81) Oberster Gerichtshof, 26 agosto 2008, 34 Y.B. Comm. Arb. 404, 405 (2009); Oberster Gerichtshof, 5 febbraio 2008, 10 Ob 120/07f.

125 internazionale, sussumibili nella definizione dell’art. I della Convenzione di New York, sono regolate in via esclusiva dal Federal Arbitration Act (FAA) (82). Il FAA tace sulla questione della legge applicabile, mentre il common law statunitense aderisce pienamente al principio di separabilità della clausola arbitrale (83). La prassi preponderante delle corti federali denota la costante applicazione della lex fori, intesa quale legge federale (comprensiva dei principi generali del common law federale), ai fini della determinazione dell’esistenza, della formazione e della validità della clau- sola arbitrale (84). Tale orientamento ha comportato che, anche in pre- senza di una choice-of-law delle parti, i giudici federali abbiano escluso l’applicabilità della lex causae alla convenzione di arbitrato, a fortiori ove tale diritto importasse l’invalidità o l’inefficacia di quest’ultima (85). Non è tuttavia mancato in seno alle corti americane un circoscritto filone giuri-

(82) 9 U.S.C. § 203. (83) Buckeye Check Cashing Inc v. John Cardegna et al., 126 S. Ct. 1204 (2006); Southland Corp. v. Keating, 465 U.S. 1 (1984); Prima Paint Corp. v. Flood & Conklin Mfg. Co., 388 U.S. 395, 402 (1967). (84) Copape Produtos de Pétroleo Ltda v. Glencore Ltd, 2012 WL 398596 (S.D.N.Y.); Glencore Ltd v. Degussa Eng’d Carbons LP, 848 F.Supp.2d 410, 435-36 (S.D.N.Y. 2012); Changzhou AMEC E. Tools & Equip. Co. v. E. Tools & Equip., Inc., 2012 WL 3106620, par. 13 (C.D. Cal.); Nanosolutions, LLC v. Prajza, 793 F.Supp.2d 46, 54 n. 5 (D.D.C. 2011); Cape Flattery Ltd v. Titan Maritime, LLC, 647 F.3d 914, 921 (9th Cir. 2011); Bakoss v. Certain Underwriters at Lloyds of London, 2011 WL 4529668, par. 5 (E.D.N.Y.); Apple & Eve, LLC v. Yantai N. Andre Juice Co., 499 F.Supp.2d 245, 251 (E.D.N.Y. 2007), vacated on other grounds, 610 F.Supp.2d 226 (E.D.N.Y. 2009); Bridas SAPIC v. Gov’t of Turkmenistan, 447 F.3d 411 (5th Cir. 2006), 345 F.3d 347 (5th Cir. 2003); Sarhank Group v. Oracle Corp., 404 F.3d 657, 662 (2d Cir. 2005); JSC Surgutneftegaz v. President & Fellows of Harvard College, 2005 WL 1863676, par. 3 (S.D.N.Y.); Coimex Trading (Suisse) SA v. Cargill Int’l SA, 2005 WL 1216227 (S.D.N.Y.); InterGen NV v. Grina, 344 F.3d 134, 143 (1st Cir. 2003); Peter J. DaPuzzo v. Globalvest Mgt Co., 263 F.Supp.2d 714, 718-20 (S.D.N.Y. 2003); Milos Sovak and Biophysica Inc. v. Chugai Pharmaceutical Co., 289 F.3d 615 (9th Cir. 2002); U.S. Titan, Inc. v. Guangzhou Zhen Hua Shipping Co., 241 F.3d 135, 146 (2d Cir. 2001); Int’l Paper Co. v. Schwabedissen Maschinen & Anlagen GmbH, 206 F.3d 411, 417 n.4 (4th Cir. 2000); Smith/Enron Cogeneration LP, Inc. v. Smith Cogeneration Int’l, Inc., 198 F.3d 88, 96 (2d Cir. 1999); Gutfreund v. Weiner, 68 F.3d 554, 559 (2d Cir. 1995); Filanto SpA v. Chilewich Int’l Corp., 789 F.Supp. 1229, 1234-36 (S.D.N.Y. 1992); McDermott Int’l, Inc. v. Lloyds Underwriters of London, 944 F.2d 1199 (5th Cir. 1991); David L. Threlkeld & Co. v. Metallgesellschaft Ltd, 923 F.2d 245, 249-250 (2d Cir. 1991); Meadows Indem. Co. v. Baccala & Shoop Ins. Servs., Inc., 760 F.Supp. 1036, 1043 (E.D.N.Y. 1991); W. of England Ship Owners Mut. Ins. Ass’n (Luxembourg) v. Am. Marine Corp., 1992 WL 37700, par. 4 (E.D. La.); Marchetto v. DeKalb Genetics Corp., 711 F.Supp. 936, 939-40 (N.D. Ill. 1989); Genesco, Inc. v. T. Kakiuchi & Co., 815 F.2d 840, 845 (2d Cir. 1987); McDonnell Douglas Corp. v. Kingdom of Denmark, 607 F.Supp. 1016, 1018-20 (E.D. Mo. 1985); Antco Shipping Co. v. Sidermar SpA, 417 F.Supp. 207, 215 (S.D.N.Y. 1976); Coenen v. R.W. Pressprich & Co., 453 F.2d 1209, 1211 (2d Cir. 1972); Johnson Controls, Inc. v. City of Cedar Rapids, 713 F.2d 370, 375 (8th Cir. 1983); Church v. Gruntal & Co., 698 F.Supp. 465, 467 (S.D.N.Y. 1988); Hall v. Prudential-Bache Sec., Inc., 662 F.Supp. 468, 469 (C.D. Cal. 1987); Lippus v. Dahlgren Mfg Co., 644 F.Supp. 1473, 1482 (E.D.N.Y. 1986). (85) Preston v. Ferrer, 552 U.S. 346, 363 (2008); Pedcor Mgt Co. Inc. Welfare Benefit Plan v. N. Am. Indemnity, 343 F.3d 355 (5th Cir 2003); Chloe Z. Fishing Co. Inc. V. Odyssey Re, 109 F.Supp.2d 1236 (S.D. Cal. 2000); Mastrobuono v. Shearson Lehman Hutton, Inc., 514 U.S. 52, 63-64 (1995); Khan v. Parsons Global Servs., Ltd, 480 F.Supp.2d 327, 338 (D.D.C. 2007), rev’d on other grounds, 521 F.3d 421 (D.C. Cir. 2008).

126 sprudenziale più spiccatamente conflittuale, tendente alla ricerca della legge applicabile all’accordo arbitrale alla stregua dei criteri canonici della choice-of-law, risultanti nell’individuazione del diritto straniero, quale legge dello Stato della sede dell’arbitrato (86) o quale lex contractus (87), come anche del diritto statale (88). Altre pronunce, infine, hanno sposato l’applicabilità diretta “alla francese” di principi sostanziali o standards internazionali, derivati dall’art. II(3) della Convenzione di New York, in via esclusiva, cioè senza ricorrere ad alcuna legge nazionale, o piuttosto in via concorrente con il FAA, in modo tale da renderne più neutrale l’applicazione concreta in confronto dei lodi c.d. internazionali (89).

4.3. I tribunali arbitrali non sono soggetti ad alcuna lex fori (“les

(86) Steel Corp. of Philippines v. Int’l Steel Servs., Inc., 354 F.Appx. 689, 692-93 (3d Cir. 2009); Karaha Bodas Co. v. Perusahaan Pertambangan Minyak Dan Gas Bumi Negara, 364 F.3d 274, 292 n.43 (5th Cir. 2004); AO Techsnabexport v. Globe Nuclear Serv. & Supply, Ltd, 656 F.Supp.2d 550, 558 (D. Md. 2009), aff’d, 404 F. Appx. 793 (4th Cir. 2010); Nissho Iwai Corp. v. M/V Joy Sea, 2002 A.M.C. 1305, 1311 (E.D. La. 2002); Spier v. Calzaturificio Tecnica, SpA,71 F.Supp.2d 279, 283 (S.D.N.Y. 1999); Bergesen v. Lindholm, 760 F.Supp. 976, 981 n.9 (D. Conn. 1991). (87) Motorola Credit Corp. v. Uzan, 388 F.3d 39 (2d Cir. 2004); Sphere Drake Ins. Ltd v. Clarendon Nat’l Ins. Co., 263 F.3d 26, 32 n.3 (2d Cir. 2001): “FAA does not preempt choice-of- law clause”; Frydman v. Cosmair, Inc., 1995 WL 404841, par. 4 (S.D.N.Y.). (88) Lindo v. NCL (Bahamas), Ltd, 652 F.3d 1257, 1264 (11th Cir. 2011); GAR Energy & Assocs. v. Ivanhoe Energy Inc., 2011 WL 6780927 (E.D. Cal.); Bartlett Grain Co. v. Am. Int’l Group, 2011 WL 3274388 (W.D. Mo.); Todd v. S.S. Mut. Underwriting Ass’n (Bermuda) Ltd, 601 F.3d 329, 334 (5th Cir. 2010); Thomas v. Carnival Corp., 573 F.3d 1113 (11th Cir. 2009); Certain Underwriters at Lloyd’s London v. Argonaut Ins. Co., 500 F.3d 571 (7th Cir. 2007); Trippe Mfg Co. v. Niles Audio Corp., 401 F.3d 529 (3d Cir. 2005); InterGen NV v. Grina, 344 F.3d 134 (1st Cir. 2003); Gen. Elec. Co. v. Deutz AG, 270 F.3d 144, 154-55 (3d Cir. 2001); Int’l Paper Co. v. Schwabedissen Maschinen & Anlagen GmbH, 206 F.3d 411 (4th Cir. 2000); Smith/Enron Cogeneration LP v. Smith Cogeneration Int’l, Inc., 198 F.3d 88 (2d Cir. 1999); Becker Autoradio U.S.A., Inc. v. Becker Autoradiowerk GmbH, 585 F.2d 39, 43 nn. 8, 9 (3d Cir. 1978); A.O.A. v. Doe Run Res. Corp., 2011 WL 6091724, par. 2 (E.D. Mo.); FR 8 Singapore Pte Ltd v. Albacore Maritime Inc., 754 F.Supp.2d 628 (S.D.N.Y. 2010); A.T. Cross Co. v. Royal Selangor(s) PTE, Ltd, 217 F.Supp.2d 229, 234-35 (D.R.I. 2002); Progressive Cas. Ins. Co. v. C.A. Reaseguradora Nacional de Venezuela, 991 F.2d 42, 46 (2d Cir. 1993); W. of England Ship Owners Mut. Ins. Ass’n (Luxembourg) v. Am. Marine Corp., 1992 WL 37700, at 4 (E.D. La.); Meadows Indem. Co. v. Baccala & Shoop Ins. Servs., Inc., 760 F.Supp. 1036 (E.D.N.Y. 1991). (89) Rhone Mediterranee Compagnia Francese di Assicurazioni e Riassicurazioni v. Lauro, 712 F.2d 50, 53-54 (3d Cir. 1983); Ledee v. Ceramiche Ragno, 684 F.2d 184, 187 (1st Cir. 1982); I.T.A.D. Assocs., Inc. v. Podar Bros., 636 F.2d 75, 77 (4th Cir. 1981); Ferrara SpA v. United Grain Growers, Ltd, 441 F.Supp. 778, 781 (S.D.N.Y. 1977), 580 F.2d 1044 (2d Cir. 1978); Dev. Bank of Philippines v. Chemtex Fibers Inc., 617 F.Supp. 55, 57 n.12 (S.D.N.Y. 1985); Technetronics, Inc. v. Leybold-Geaeus GmbH, 1993 WL 197028, par. 6 (E.D. Pa.); Chloe Z Fishing Co. v. Odyssey Re (London) Ltd, 109 F.Supp.2d 1236, 1258-59 (S.D. Cal. 2000); Hodgson v. Royal Caribbean Cruises, Ltd, 706 F.Supp.2d 1248, 1260 (S.D. Fla. 2009); Aggarao v. MOL Ship Mgt Co., 675 F.3d 355, 373 (4th Cir. 2012); Bautista v. Star Cruises, 396 F.3d 1289, 1302 (11th Cir. 2005); Becker Autoradio U.S.A., Inc. v. Becker Autoradiowerk GmbH, 585 F.2d 39, 43 n.8 (3d Cir. 1978); Alghanim v. Alghanim, 828 F.Supp.2d 636, 645-46 (S.D.N.Y. 2011); Matthews v. Princess Cruise Lines, Ltd, 728 F.Supp.2d 1326, 1329-30 (S.D. Fla. 2010); Estibeiro v. Carnival Corp., 2012 WL 4718978 (S.D. Fla.); Lathan v. Carnival Corp., 2009 WL 6340059, par. 2 (S.D. Fla.); Maxwell v. NCL (Bahamas), Ltd, 454 F.Appx. 709, 710 (11th Cir. 2011).

127 arbitres n’ont pas de for”) (90). Pertanto, non hanno l’obbligo giuridico di applicare il sistema di diritto internazionale privato dello Stato ove è collocata la sede dell’arbitrato (91). Invece, debbono applicare senz’altro la legge di arbitrato vigente nel medesimo Stato o lex (loci) arbitri, che solitamente non prevede alcuna regola ai fini dell’individuazione della legge regolatrice della convenzione di arbitrato (92). Analogamente, le regole di arbitrato prevalentemente applicate nella prassi arbitrale non specificano, salvo rare eccezioni, quale sia la proper law of the arbitration agreement (93). Tuttavia, ciò non ha evitato che gli arbitri abbiano usual- mente ricercato soluzioni convergenti a quelle adottate dalle corti nazio- nali della sede dell’arbitrato e a quelle previste dai trattati internazionali, soprattutto dalla Convenzione di New York, e da strumenti di armoniz- zazione internazionale quale la Legge Modello (94). Tale prassi appare oltremodo opportuna in forza dell’obbligazione degli arbitri di rendere un lodo che sia giuridicamente eseguibile (enforceable at law) e, più in generale, ai fini della più ampia legittimazione delle decisioni emesse nell’ambito dell’arbitrato commerciale internazionale (95). I lodi arbitrali, pur nella loro varietà, denotano il costante riconoscimento del principio di separabilità della clausola arbitrale (96). Ed è proprio in forza di tale principio che la maggior parte dei tribunali ha riconosciuto che la legge applicabile alla clausola di arbitrato sia la legge del paese di svolgimento del processo arbitrale (97). Tale interpretazione è demandata da policies di

(90)GOLDMAN, Les conflits de lois dans l’arbitrage international de droit privé,inRecueil des Cours, vol. 109, 1963, 347, 374; GAILLARD, Aspects philosophiques du droit de l’arbitrage international, Martinus Nijhoff Publishers, 2008, 17, 47; REDFERN,HUNTER, cit. nota 24, 234; LEW, MISTELIS,KRÖLL, cit. nota 8, 111; HANOTIAU, cit. nota 1, 767; LEW, cit. nota 1, 118-119, 136; BERNARDINI, cit. nota 1, 200. (91)BERGER, cit. nota 1, 306. (92)BENEDETTELLI,CONSOLO,RADICATI DI BROZOLO, cit. nota 3, 593. Per alcune eccezioni, cfr. l’art. 48 della legge svedese di arbitrato del 1999, l’art. 6 della legge scozzese di arbitrato del 2010, l’art. 178(2) della legge svizzera di diritto internazionale privato del 1987, l’art. 9(6) della legge di arbitrato spagnola del 2011, l’art. 458-bis 1(3) del codice di procedura civile e amministrativa algerino del 1993, l’art. 166 del Libro X del codice civile olandese (Burgerlijk Wetboek), riformato nel 2014. (93) Per un’eccezione, cfr. art. 61(b) WIPO Arbitration Rules (in vigore dal 1 giugno 2014). Il previgente art. 59(b) WIPO Arbitration Rules (2002) disponeva la medesima regola. (94)LEW, cit. nota 1, 126, 144; BERNARDINI, cit. nota 1, 203; BERGER, cit. nota 1, 311. (95) Art. 41 ICC Arbitration Rules (2012); art. 32(2) LCIA Arbitration Rules (2014). (96) Final Award, ICC Case No. 6162, 17 Y.B. Comm. Arb. 153, 160-62 (1992); Final Award, ICC Case No. 1507, in JARVIN,DERAINS, Collection of ICC Arbitral Awards 1974-1985, 1990, 215, 216; Interim Award, ICC Case No. 4131, Dow Chemical France et al. v. Isover Saint Gobain,9Y.B. Comm. Arb. 131, 132 (1984); Final Award in ICC Case No. 7453, 22 Y.B. Comm. Arb. 107 (1997); Award in ICC Case No. 5730, in JDI (Clunet), vol. 117, 1990, 1029, 1032; Preliminary Award, ICC Case No. 5505, 13 Y.B. Comm. Arb. 110, 116-17 (1988); Interim Award, ICC Case No. 4504, in JDI (Clunet), vol. 113, 1986, 1118; Interim Award, ICC Case No. 4367, 9 Y.B. Comm. Arb. 134 (1986). (97) Final Award, ICC Case No. 14046, 35 Y.B. Comm. Arb. 241, 245 (2010); Interim Award, ICC Case No. 6149, 20 Y.B. Comm. Arb. 41, 44-45 (1995); Partial Award, ICC Case No. 6719, in JDI (Clunet), vol. 121, 1994, 1071, 1072; Final Award, ICC Case No. 5294, 14 Y.B.

128 uniformità e coerenza sistematica con la disposizione dell’art. V(1)(a) della Convenzione di New York (98), nonché dal carattere procedurale (rectius misto sostanziale-procedurale) della convezione arbitrale (99). Più raramente, gli arbitri hanno ravvisato nell’indicazione del luogo di svol- gimento dell’arbitrato la scelta implicita delle parti che la legge dello Stato della sede regolasse la validità della clausola di arbitrato (100). Un diverso filone di lodi arbitrali, sicuramente minoritario, ha sposato la soluzione dell’applicazione della lex contractus, in particolare laddove la choice-of- law fosse espressamente pattuita dalle parti e l’accordo arbitrale fosse incorporato in seno alla medesima clausola o in una clausola limitrofa (argomento della sedes materiae)(101). Invero, detto orientamento non sembra neanche contraddire il filone più invalso, dato che in tali casi la tecnica redazionale adottata dalle parti lasciava trasparire con tutta evi- denza una scelta espressa della proper law della convenzione arbitrale, quale identica alla lex causae (102). Infatti, viene pressoché unanimemente negata nella prassi arbitrale e in dottrina l’interdipendenza tra choice-of- law e proper law of the arbitration agreement (103). Come sopra menzio- nato, gli arbitri tendono in via di fatto a conformarsi, finanche scrupolo- samente, ai principi informatori della lex (loci) arbitri (104). Per l’effetto,

Comm. Arb. 137, 140 (1989); Final Award, ICC Case No. 5485, 14 Y.B. Comm. Arb. 156, 161 (1989); Interim Award, ICC Case No. 4504, in JDI (Clunet), vol. 113, 1986, 1118; Final Award, ICC Case No. 1507, in JARVIN,DERAINS, Collection of ICC Arbitral Awards 1974-1985, 1990, 215, 216; Award, ICC Case No. 5832, in JDI (Clunet), vol. 115, 1988, 1198-99 (1988); Award, ICC Case No. 4392, in JARVIN,DERAINS, Collection of ICC Arbitral Awards 1974-1985, 1990, 473, 474 (1990); Interim Award, ICC Case No. 4145, 12 Y.B. Comm. Arb. 97, 99 (1987); Award, ICC Case No. 3380, in JDI (Clunet), 1981, 927. (98) Interim Award, ICC Case No. 6149, 20 Y.B. Comm. Arb. 41, 44-45 (1995). (99) Award, ICC Case No. 5832, in JDI (Clunet), vol. 115, 1988, 1198-99; Final Award, ICC Case No. 5294, 14 Y.B. Comm. Arb. 137, 140 (1989); Interim Award, ICC Case No. 4504, in JDI (Clunet), vol. 113, 1986, 1118; Partial Award, Hamburg Chamber of Commerce, 21 marzo 1996, 22 Y.B. Comm. Arb. 35, 36 (1997); Final Award, ICC Case No. 1507, in JARVIN,DERAINS, Collection of ICC Arbitral Awards 1974-1985, 215, 216 (1990). (100) Partial Award, ICC Case No. 7373, in GRIGERA NAÓN, cit. nota 1, 71. Adde la risoluzione dell’Istituto di Diritto Internazionale (Neuchâtel, 1959) sull’arbitrato nel diritto internazionale privato, in Annuaire de l’Institut de droit international, 1959, II, 394. (101) Award, ICC Case No. 2626, in JARVIN,DERAINS, Collection of ICC Arbitral Awards 1974-1985, 1990, 316; Award, ICC Case No. 11869, 36 Y.B. Comm. Arb. 47, 51-52 (2011); Award, ICC Case No. 10044, in GRIGERA NAÓN, cit. nota 1, 93-94; Award, ICC Case No. 9987, Dallah Real Estate & Tourism Holding Co. v. Ministry of Religious Affairs, Gov’t of Pakistan, 2(4) Int’l J. Arab Arb. 370, 389 (2010); Award, ICC Case No. 9480/1998, in GRIGERA NAÓN, cit. nota 1, 55-56; Final Award, ICC Case No. 6752, 18 Y.B. Comm. Arb. 54, 55-56 (1993); Final Award, ICC Case No. 6379, 17 Y.B. Comm. Arb. 212, 215 (1992); Final Award, ICC Case No. 3572, 14 Y.B. Comm. Arb. 111 (1989); ICC Award in Case No. 6840, in ARNALDEZ,DERAINS, HASCHER, Collection of ICC Arbitral Awards 1991-1995, 1997, 132. Cfr. PARISH, cit. nota 1, 667. (102) Final Award, ICC Case No. 6752, 18 Y.B. Comm. Arb. 54, 56 (1993). (103)GOLDMAN, Arbitrage (droit international privé), in FRANCESCAKIS (dir.), Encyclopédie Dalloz - Droit International, 1968, par. 59. (104) Cfr. Final Award, ICC Case No. 14792, 37 Y.B. Comm. Arb. 110, 113-115 (2012), in cui il tribunale, avente sede in Svizzera, ha fedelmente applicato il favor validitatis demandato dall’art. 178(2) della legge federale svizzera di diritto internazionale privato.

129 ove questi ultimi risultino spiccatamente liberali, transnazionali e fautori dell’autonomia delle parti, come nel caso dell’ordinamento francese, gli arbitri non hanno mancato di perpetuarli anche nei loro lodi, deliberando la questione della validità dell’accordo arbitrale a prescindere dall’appli- cazione di una qualsivoglia legge nazionale, ricorrendo a principi generali e usi commerciali internazionali secondo la formula Dalico (105). Infine, in dottrina è stato ravvisato un filone arbitrale internazionale “carsico”, indipendente dall’applicazione di qualsivoglia lex (loci) arbitri, aderente al principio del favor validitatis, talvolta palesato, talvolta inespresso (106). Se da un lato non può disconoscersi una tendenza generale della prassi arbitrale al favor arbitrati, quivi più precisamente inteso quale policy volta ad assicurare l’effettività delle clausole di arbitrato, dall’altro lato po- trebbe rilevarsi che il corpus di detta giurisprudenza arbitrale in favorem validitatis non acclari l’adozione di un metodo analitico autonomo, cosic- ché il validation principle appare sovente commisto ad altri criteri, quale quello della closest connection (107).

5. Omettendo la pur significativa parentesi giurisprudenziale carat- terizzata dal primato della sede dell’arbitrato (XL Insurance, CvD, Abuja), la posizione delle corti inglesi sulla legge applicabile alla clausola compromissoria non sembrerebbe vistosamente mutata: infatti, all’appli- cazione automatica della legge scelta dalle parti per regolare il contratto si surrogherebbe la presunzione iuris tantum che la choice-of-law importi la designazione implicita che la medesima legge si applichi alla conven- zione di arbitrato (108). Detta evoluzione non è, tuttavia, di poco mo-

(105) Interim Award, ICC Case no. 4131, Dow Chemical France et al. v. Isover Saint Gobain,9Y.B. Com. Arb. 131, 134 (1984); Award, ICC Case No. 4381, in JDI (Clunet), vol. 113, 1986, 1102, 1104, cfr. DERAINS, Observation on Final Award in ICC Case No. 4381,inJARVIN, DERAINS,ARNALDEZ, Collection of ICC Arbitral Awards 1986-1990, 1994, 268; Interim Award, ICC Case No. 4695, 11 Y.B. Comm. Arb. 149 (1986); Partial Award, ICC Case No. 9987, Dallah Real Estate & Tourism Holding Co. v. Ministry of Religious Affairs, Gov’t of Pakistan, 2(4) Int’l J. Arab Arb. 337, 352 (2010); Award, ICC Case No. 17050, 29 ASA Bull. 634, par. 34 (2011); Award, ICC Case No. 16655, 4(2) Int’l J. Arab Arb. 125, 185 (2012); Final Award, ICC Case No. 9302, 28 Y.B. Comm. Arb. 54 (2003); Final Award, ICC Case No. 8938, 24(a) Y.B. Comm. Arb. 174, 176 (1999); Award in ICC Case No. 5721, in JDI (Clunet), vol. 117, 1990, 1019, 1023; Award, ICC Case No. 2375, in JDI (Clunet), vol. 103, 1976, 973. (106)BORN, cit. nota 9, 546. L’A. fa riferimento ai seguenti lodi: Award, ICC Case No. 11869, 36 Y.B. Comm. Arb. 47, 57 (2011); Partial Award, ICC Case No. 7920, 23 Y.B. Comm. Arb. 80 (1998); Partial Award on Jurisdiction and Admissibility, ICC Case No. 6474, 25 Y.B. Comm. Arb. 279 (2000); Final Award, ICC Case No. 6162, in ARNALDEZ,DERAINS,HASCHER, Collection of ICC Arbitral Awards 1991-1995, 1997, 75, 84; Final Award, ICC Case No. 5485, 14 Y.B. Comm. Arb. 156 (1989); Preliminary Award, Zurich Chamber of Commerce, 25 novembre 1994, 22 Y.B. Comm. Arb. 211 (1997). Adde, Award, ICC Case no. 4996, in JDI (Clunet), 1986, 1132, 1134. (107) Award, ICC Case No. 7154, in JDI (Clunet), vol. 121, 1994, 1059, 1061: “an arbitral clause has a closer relationship to the law that upholds its existence than to the law that denies it.”. (108)JOSEPH, cit. nota 1, 176, 182-183, 184, 187: “it is inherently unattractive for the courts to apply two different legal systems to the construction of the matrix contract and the dispute

130 mento. Infatti, mentre il common law più risalente trascurava il principio di separabilità dell’accordo arbitrale, il novello orientamento delle corti inglesi aspira a bilanciare, da un lato, l’esigenza che lo stesso sistema giuridico (same system of law) regoli l’integralità dei rapporti contrattuali tra le parti e, dall’altro lato, il principio di effettività e non frustrazione della clausola e del processo arbitrale, di cui il principio di separabilità costituisce eminente corollario. Ciononostante, la giurisprudenza inglese appare allo stato eccessivamente ispirata da una logica conflittuale che assoggetta le clausole arbitrali al medesimo metodo applicabile ad ogni altro contratto business-to-business.Ilrevirement delle corti inglesi con la sentenza Sulamérica paleserebbe, infatti, una conferma della prevalenza di tendenze tradizionaliste e positiviste quanto alla determinazione della legge applicabile nell’ambito dell’arbitrato commerciale internazionale, già enfatizzata in dottrina (109). Se da un lato il metodo conflittuale può suffragare esigenze di rigore scientifico riguardo all’individuazione della legge regolatrice dell’accordo arbitrale, dall’altro lato non si può non rilevare che un rischio di farraginosità sia insito nel ragionamento pro- mosso dalle corti inglesi. Nonostante l’opportuna esclusione del renvoi riguardo alla legge applicabile alle clausole arbitrali (110), diversamente dalla disciplina delle clausole di elezione del foro (111), tale rischio si verificherebbe comunque allorché la lex fori disponga che il collegamento più stretto con la clausola compromissoria sia da ravvisarsi con un ordi- namento diverso da quello del paese della sede dell’arbitrato. Come ha rimarcato autorevole dottrina: None of this complexity, or the uncertainties and costs it produces, comports with the ideals and aspirations of the international arbitral process [...] This confusion is not merely unfortunate, but also unnecessary (112). La ratio di certezza giuridica, predittività delle soluzioni rese dai giudici nazionali (in sede di controllo del lodo o in funzione di juge d’appui) e valorizzazione della comune intenzione e delle ragionevoli e genuine aspettative delle parti al tempo della stipulazione del contratto resolution provision unless they are required to do so by the parties’ express choice or by other compelling circ*mstances. [...] There is instinctive unease about having these kinds of questions determined under different laws.”. (109)LEW, cit. nota 1, 145: “the application of national laws prevails in this field”; BERGER, cit. nota 1, 312: “This view is even more valid today”; GRIGERA NAÓN, cit. nota 1, 95. (110) Ex multis, VAN DEN BERG, cit. nota 1, 1981, 291. (111) Considerando 20, Regolamento Bruxelles I-bis;HARTLEY,DOGAUCHI, Convention of 30 June 2005 on Choice of Court Agreements. Explanatory Report, Hague Conference on Private International Law, 2007, 815, par. 125. A favore dell’esclusione del rinvio in tema di legge applicabile alla validità sostanziale delle clausole di scelta del foro, cfr. POCAR, Brevi riflessioni in tema di revisione del Regolamento Bruxelles I e clausole di scelta del foro,inDir. comm. internaz., 2012, 332-334. (112)BORN, cit. nota 9, 474, 492. Adde,FOUCHARD,GAILLARD,GOLDMAN, cit. nota 8, 236, 245.

131 suffragherebbe il superamento del meccanicismo del metodo conflittuale in favore del metodo del voie directe. Inoltre, più in generale, l’approccio qui suggerito realizzerebbe un più stabile bilanciamento tra scienza ed arte (o cultura) dell’arbitrato internazionale, all’esito di una certamente desi- derabile dialettica reciproca tra teoria e prassi (113). Rimane la questione se il metodo del voie directe sia praticabile, dovendosi all’uopo individuare una regola sostanziale uniforme designante la legge applicabile alla vali- dità sostanziale della clausola compromissoria. È stata espressa l’opinione che, in assenza di tale regola, sia gli arbitri che i giudici nazionali, chiamati a decidere della proper law of the arbitration agreement, siano stati guidati in via di fatto dal mero favor validitatis (114). Tuttavia, il quadro di “magnificent confusion”, pur emergente in passato (115), potrebbe essere agevolmente ovviato (116). Più della terza via “alla francese” (117), che pure ha il pregio di risolvere il nodo mediante l’applicazione di una règle matérielle, la soluzione della lex (loci) arbitri quale legge applicabile alla clausola compromissoria desta un preponderante grado di consenso. Co- dificata dall’art. V(1)(a) della Convenzione di New York, nonché costan- temente applicata dalle corti dei paesi di civil law (118), detta regola appare essere confermata anche dai più recenti sviluppi su scala globale nella prassi di corti nazionali (119), istituzioni arbitrali internazionali, quale, significativamente, la London Court of International Arbitration (LCIA) (120), e tribunali arbitrali (121). L’applicazione della legge del paese di svolgimento dell’arbitrato appare giustificata alla luce del nesso in astratto più stretto con il patto compromissorio, della ratio di piena realizzazione del principio di separabilità della clausola arbitrale (corri- spondente al suo carattere misto sostanziale-procedurale), nonché del- l’investitura in favore delle corti del paese della sede della primary

(113)BLESSING, cit. nota 1, 171, 174, 188: “a purely academic analysis might not lead to the correct solution.”; REED, The 2013 Hong Kong International Arbitration Centre Kaplan Lecture - Arbitral Decision-Making: Art, Science or Sport?,30J. Int’l Arb. 85 (2013); CRIVELLARO, Advocacy in International Arbitration: an Art, a Science, or a Technique?, in questa Rivista, 2012, 39; PAULSSON, The Idea of Arbitration, Oxford University Press, 2013, passim. (114)LEW, cit. nota 1, 140; PEARSON, cit. nota 1, 125-126. (115)BLESSING, cit. nota 1, 170; cfr. anche LALIVE, cit. nota 80, 10. (116)BERGER, cit. nota 1, 332. (117)REDFERN,HUNTER, cit. nota 24, 172. (118) Cfr. par. 4.2.1. Contra,STÜRNER,WANDELSTEIN, cit. nota 1, 480. (119) Singapore High Court, FirstLink Investments Corp Ltd v GT Payment Pte Ltd and others [2014] SGHCR 12, in questa Rivista, 2014, 833, nota PONZANO. (120) Art. 16.4 LCIA Arbitration Rules (in vigore dal 1º ottobre 2014): “The law applicable to the Arbitration Agreement and the arbitration shall be the law applicable at the seat of the arbitration, unless and to the extent that the parties have agreed in writing on the application of other laws or rules of law and such agreement is not prohibited by the law applicable at the arbitral seat.”. Adde, art. 61(b) WIPO Arbitration Rules (in vigore dal 1º giugno 2014). (121) Final Award, ICC Case. No. 16015, 38 Y.B. Comm. Arb. 174, 182-183 (2013); Interim Award on Jurisdiction, ICC Case No. 14617, 38 Y.B. Comm. Arb. 111 (2013); Final Award on Jurisdiction, ICC Case No. 14581, 37 Y.B. Comm. Arb. 62, 67-69 (2012).

132 jurisdiction ai fini della revisione del lodo, nonché dell’eventuale funzione di juge d’appui a sostegno del procedimento arbitrale. Tra le varie con- correnti, tale opzione, fondata sull’elemento oggettivo del locus arbitri, appare la più idonea a garantire le esigenze di certezza giuridica e predittività delle parti, fondamentali per la continuata speditezza dei commerci internazionali, così applicandosi a tutte le clausole arbitrali una regola sostanziale uniforme suscettibile di soppiantare le potenzialmente inefficienti deviazioni del détour “conflittualista”.

CARLO DE STEFANO

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REGNO UNITO - HIGH COURT OF JUSTICE, QUEEN’S BENCH DIVISION, COMMERCIAL COURT, sentenza 11 giugno 2014, Mr. Justice Cooke; Christian Kruppa v. Alessando Benedetti and Bertrand des Pallières.

Arbitrato - Compromesso e clausola compromissoria - Interpretazione - Favor arbitrati - Clausole arbitrali patologiche - Clausole « multi-tier » per la risoluzione di controversie - Insussistenza dell’obbligo di ricorrere all’arbi- trato se questo è previsto come mera opzione facoltativa.

Il fondamentale requisito di una convenzione arbitrale è dato dall’impegno vincolante, assunto dalle parti, di sottoporre la controversia ad arbitrato. In assenza di tale manifestazione di volontà, esplicitamente od implicitamente ravvisabile, non è possibile, neppure in virtù del principio del favor arbitrati, attribuire efficacia in sede giudiziale alle cd. clausole arbitrali patologiche.

MOTIVI DELLA DECISIONE. — 1. The defendants in this action apply to stay the proceedings pursuant to section 9 of the Arbitration Act 1996. The sole question which arises is whether or not a “Governing Law and Jurisdiction” clause in the three material agreements (in identical terms) constitutes an “arbitration agree- ment” within the meaning of section 6(1) of that Act. By that sub-section “An arbitration agreement means an agreement to submit to arbitration present or future disputes (whether they are contractual or not)”. 2. The relevant clause reads as follows: “Governing law and jurisdiction. Laws of England and Wales. In the event of any dispute between the parties pursuant to this Agreement, the parties will endeavour to first resolve the matter through Swiss arbitration. Should a resolution not be forthcoming the courts of England shall have non-exclusive jurisdiction”. 3. (Omissis). The simple question therefore was whether or not the clause did constitute an arbitration agreement within the meaning of the Act and many of the authorities cited did not therefore fall for consideration. 4. Mr Paul Sinclair, for the claimant, submitted that the authorities gave rise to the following propositions: i) in a clause of this kind should be construed in the same way as any other clause in a contract, the aim being to ascertain the intention of the parties and what a reasonable person would have understood the parties to have meant, with all the relevant background knowledge that they had at the time. ii) Dispute resolution clauses can be arbitration agreements when the word “arbitration” is not used and need not be arbitration agreements even when the word is used. iii) Where a contract contains an exclusive jurisdiction clause and a mandatory arbitration clause, there is an assumption that the parties intend any dispute to be heard by the same tribunal and the court’s policy in favour of arbitration means that the usual way of reconciling the clauses is by holding that substantive issues go to arbitration and that the court’s jurisdiction extends only to ancillary matters relating to supervision or enforcement of the arbitration and awards. 5. Mr Stanley QC for the defendants did not disagree with these principles but stressed the need for the court to seek to give effect to all parts of a clause in the same way as it had to give effect to all clauses in a contract, insofar as it was possible to do so, in order to arrive at an harmonious result. In his submission, the

135 word “arbitration”, on its own, was sufficient for an English court to find a binding arbitration agreement, as shown by numerous charter party cases. The clause with which the court is here concerned is one which had been drafted by professionals and the words “Swiss arbitration” were words which were apt to refer only to arbitration and not to mediation or conciliation or some other form of alternative dispute procedure. Parties would be expected to know the difference between “arbitration” and “mediation” and the difference between the two or any other form of alternative dispute resolution. When the word “arbitration” is used, it should be given its ordinary and natural meaning unless there are other provisions in the contract which make it plain, such as those which existed in AIG Europe SA v QBE International Insurance Ltd [2001] 2 Lloyd’s Rep 268, that the arbitration is not to give rise to a binding and determinative result. It would not be usual to refer to some form of alternative dispute resolution by reference to nationality (e.g. “Swiss mediation”). 6. (Omissis). The provision effectively did little more than appears in section 9(4) of the Arbitration Act, which provides that the court should grant a stay of proceedings in favour of an arbitration agreement unless it was satisfied that the arbitration agreement was “null and void, inoperative, or incapable of being performed”. 7. I was particularly referred by both parties to different passages in a decision of mine in Sul America CIA Nacional de Seguros SA v Enesa Engenharia SA [2012] 1 Lloyd’s Rep 275 at paragraphs 3, 27-28 (omissis). 8. Thus the defendants submit that where possible, references to “arbitration” and “jurisdiction” will be construed so as to give effect to both. That process often involves confining the jurisdictional provisions to limited circ*mstances but the court has consistently preferred to take that course rather than give no effect to the arbitration provision. It was said that an harmonious construction is eminently possible here since it is well known that arbitration may for various reasons prove impossible and the parties must be free to provide for what would happen in such circ*mstances. The wording used is not inconsistent, it is said, with the choice of arbitration as the primary means of resolving disputes. 9. There are, in my judgment, as pointed out by the claimant, real difficulties in the defendants’ approach. The first and most obvious difficulty is that the parties have not specifically agreed to refer any dispute to arbitration but have agreed to “endeavour” to resolve the matter through Swiss arbitration. The second is that the form of the clause plainly envisages the possibility of two stages in the dispute resolution process. This appears clearly from the requirement that the parties are to endeavour to “first resolve” the matter through Swiss arbitration and from the following sentence which provides that, if no resolution is forthcoming, either party can refer the matter to the English courts. If a dispute has to be referred to arbitration, any award would, in the ordinary way, be binding upon the parties and no second stage would arise. 10. (Omissis). If regard is had to the precise wording used, it can be seen that the parties have agreed, not to refer the matter to arbitration as such, but to “endeavour” to resolve the matter through Swiss arbitration with an express fall-back provision, should they fail to do so in this way. Within the confines of one clause, the parties envisage the possibility of two stages — first an attempt to resolve the matter through Swiss arbitration, followed by litigation in the English

136 courts. If however a matter is referred to arbitration, the result of that arbitration is binding upon them so that the dispute between the parties is thereby resolved. What the clause anticipates however is an attempt to resolve the matter first by arbitration and that process not resulting in a solution with a consequent need for litigation in the courts. 11. To my mind, an agreement that a party will “endeavour” to first resolve the matter through Swiss arbitration involves something different from an agree- ment to refer a dispute to arbitration. In these contracts there is no agreement as to the number or identity of the arbitrators which would require further agreement on the part of the parties or the appointment of arbitrators by a court of the seat of arbitration. Because Switzerland is divided into cantons, this would require a cantonal court to apply the provisions of Swiss law but the clause does not give any cantonal court jurisdiction nor specify a cantonal seat. On the evidence before me, article 179 of the Private International Law Statute in Switzerland provides that arbitrators are to be appointed by agreement between the parties, but in the absence of such an agreement, the court where the arbitral tribunal has its seat can make the appointment itself. The defendants’ own expert notes that problems arise where the arbitration agreement does not specify a canton as a seat of the arbitration as in such circ*mstances it would not be clear to which cantonal court the request to appoint an arbitrator should be made. Although the defendants’ expert refers to different schools of thought as to the effect of such clause under Swiss law and to a view that, in the case of difficulties in the constitution in the arbitral tribunal, the claimant should be allowed to file an application with the cantonal court of its choice, the opinion goes on to say that “if the respondent refuses to co-operate in the determination of the most appropriate forum within Switzerland”, “such a refusal to co-operate is tantamount to an abuse of right”. What the expert does not say is that any cantonal court of either party’s choice could appoint an arbitrator or arbitrators. Instead, reliance is placed upon the offer made by the defendants that they would not raise any objection to any cantonal court to which the claimant might apply for such appointment. This does not appear to me to resolve the problem since it appears that, in order to commence arbitration, the parties have either to agree on the number and identity of the arbitrators or upon the cantonal court which would appoint arbitrators in default. In either eventuality, further agreement on the part of the parties is required before any arbitration could take place. 12. As the claimant submits, on its face, the clause is a two tier dispute resolution clause which provides for a process referred to as “Swiss arbitration” with a right to the parties to refer the matter to the jurisdiction of the English court, “should a resolution not be forthcoming” through the Swiss procedure envisaged. It is logically not possible to have an effective multi-tier clause consi- sting of one binding tier (i.e. arbitration) followed by another binding tier (i.e. litigation). In my judgment what the parties had in mind was that there should be an attempt to agree a form of arbitration between them in Switzerland. If they failed to do so, the English court was to have non-exclusive jurisdiction. 13. This is not a case, like many of those cited to me, where there are provisions requiring the parties to refer disputes to different tribunals or fora — namely to arbitration on one hand and to the jurisdiction of a specified court on the other, where the two provisions have to be reconciled to the extent possible.

137 Here the issue arises out of the form of the clause itself which specifically provides for two stages and the failure of the first to resolve the substantive dispute. It is in my judgment no answer for the defendants to say that an arbitration may for various reasons prove impossible and that the Arbitration Act itself envisages this because of the terms of section 9. The clause does not refer to the position where the agreement to arbitrate itself fails for one of the reasons enumerated in the section. The envisaged circ*mstance in which resolution does not take place is where the parties have “endeavoured” to resolve the dispute through arbitration but have failed in that endeavour. 14. The nature of the obligation incumbent upon the claimant appears from the form which an order for specific performance would take, if it were possible for the defendants to seek such an order. It would be an order that the claimant “endeavour to resolve the matter through Swiss arbitration”. The very nature of that obligation shows that there is not a binding agreement to arbitrate but merely an agreement to attempt to resolve the matter by a process of arbitration which has not been set out in the clause or elsewhere in the contract. The absence of provision relating to the number of arbitrators, the identity of the arbitrators, the qualifications of candidates for arbitration or the means by which they should be chosen shows the need for the parties to reach further agreement on the subject because the reference to “Swiss arbitration” does not specify the seat of the arbitration nor the court which could make any appointment in lieu of the parties’ agreement. The requirement to submit finally to a binding arbitration is absent and would, on the face of the clause, be inconsistent with its terms because of the two stage process envisaged. 15. In the circ*mstances, I hold that the clause does not require the parties to refer any dispute to arbitration in the sense required by the Arbitration Act but merely envisaged the parties attempting to refer the matter to arbitration by agreement between them. It provides for the parties’ failure to reach such agreement and therefore for the English courts to have jurisdiction in such circ*mstances on a non-exclusive basis. The defendants’ applications must there- fore be dismissed with costs.

Il principio del favor arbitrati e le convenzioni arbitrali patologiche nei contratti commerciali internazionali.

1. Nel recente caso Christian Kruppa v. Alessandro Benedetti e Bertrand des Pallières la High Court si è ancora una volta pronunciata sul problema delle cd. clausole arbitrali patologiche (1), ossia quelle conven- zioni d’arbitrato che, a causa dell’incerta ed ambigua formulazione, non

(1) Tale espressione è stata per la prima volta utilizzata da EISEMANN, La clause d’arbitrage pathologique,inCommercial Arbitration Essays in memoriam Eugenio Minoli, Torino, 1974, 129 e ss.. Con riguardo all’invalidità della convenzione arbitrale in generale, v. ATTERITANO, L’enforcement delle sentenze arbitrali nel commercio internazionale, Milano, 2009, 119 e ss, che sottolinea l’indifferenza del diritto internazionale rispetto alle diverse tipologie di vizio che possono riguardare l’accordo arbitrale e la necessità di riferirsi al diritto interno.

138 possono definirsi efficaci e, quindi, (i) produrre l’effetto obbligatorio in capo alle parti di ricorrere all’arbitrato; (ii) escludere l’intervento delle corti nazionali; (iii) generare il potere, in capo agli arbitri, di emettere un lodo risolutivo della controversia; e (iv) consentire che venga iniziato un procedimento arbitrale da cui scaturirà un lodo vincolante per le parti (2). Nel caso di specie, Mr. Justice Cooke ha dovuto analizzare una disposizione contrattuale che prevedeva, in primo luogo, un tentativo delle parti di ricorrere all’arbitrato (“the parties will endeavour to first resolve the matter through Swiss arbitration”) e, secondariamente, la giurisdizione non esclusiva delle corti inglesi (“should a resolution not be forthcoming the courts of England shall have non-exclusive jurisdiction”). Alla luce di tale clausola, il convenuto, essendo stato citato dinanzi alla High Court, ha eccepito un difetto di giurisdizione del giudice inglese asserendo che tra le parti fosse in vigore un accordo arbitrale. Stando alla definizione dell’art. 6 dell’English Arbitration Act 1996, quindi, tra le parti sarebbe stato in vigore un “accordo con cui si accetta di dedurre in arbitrato le controversie presenti e future relative al contratto”. In pre- senza di una simile convenzione, l’art. 9 dell’English Arbitration Act consente al defendant nel procedimento interno di richiedere al giudice una sospensione del processo e di rinviare le parti all’arbitrato. Questa norma è, a sua volta, espressione del più generale principio sancito dall’art. II, comma 3, della Convenzione di New York del 1958 per il riconoscimento e l’esecuzione delle sentenze arbitrali straniere, il quale obbliga le corti interne, in presenza di una convenzione arbitrale, a sospendere il proprio procedimento e rinviare le parti ad arbitrato “sem- preché non riscontri(no) che la detta convenzione sia caduca, inoperante o non sia suscettibile d’essere applicata”. Secondo l’interpretazione del convenuto, il mero riferimento all’ar- bitrato nell’ambito di un contratto deve essere considerato sufficiente affinché la corte interna dichiari, in applicazione dell’art. II, comma 3, della Convenzione di New York e dell’art. 9 dell’English Arbitration Act, di non avere giurisdizione. A suffragio della propria tesi, il convenuto ha citato numerosi precedenti in cui la giurisprudenza inglese ha considerato

(2)EISEMANN, op. cit., 129, DAVIS, Pathological Clauses: Frédéric Eisemann’s Still Vital Criteria,inArb. Int., 1991, 365 e ss.. Stando all’opinione della maggior parte dei commentatori, la ragione per cui ancor oggi si registrano casi di convenzioni arbitrali incapaci di produrre effetti giuridici sta nella scarsa attenzione che le parti di un contratto dedicano alla redazione di tali clausole che, non a caso, sono definite anche “midnight clauses” in quanto vengono generalmente concordate al termine delle negoziazioni contrattuali. Sui preferibili criteri per la redazione di tali clausole si vedano BOND, How to Draft an Arbitration Clause,inJ. Int. Arb., 1989, 66 e ss., TOWNSEND, Drafting Arbitration Clauses: Avoiding the 7 Deadly Sins,inDisp. Res. Journ, 2003, 1 e ss., DOAK BISHOP, A Practical Guide for Drafting International Arbitration Clauses,inInt’l Energy L. & Tax’n Rev., 2000, 16 e ss., ROBERTS, Drafting the Dispute Resolution Clause: the Midnight Clause, reperibile all’indirizzo www. ciarbnigeria.org/media/documents/ drafting_dispute_resolution_clause%5b1%5d.pdf.

139 valide ed efficaci alcune clausole arbitrali che difettavano di elementi essenziali, per l’analisi dei quali si rimanda al seguito di questo lavoro. Al contrario, stando alla tesi di parte attrice, la clausola in esame avrebbe dovuto essere interpretata alla luce degli ordinari criteri d’inter- pretazione dei contratti, che impongono, nel diritto inglese (3), di ricercare la reale volontà delle parti senza mai, tuttavia, smentire il dato letterale. L’attore, pur riconoscendo che nella prassi si tende spesso a considerare vincolanti le clausole arbitrali patologiche, ha affermato che ciò non è possibile quando, come nel caso di specie, non risulti un obbligo vinco- lante per le parti di ricorrere all’arbitrato. Il giudice ha sposato quest’ultima tesi ed ha affermato che la dispo- sizione contrattuale in esame, prevedendo un mero tentativo di ricorrere all’arbitrato, non pone alcun obbligo in capo alle parti. Inoltre, tale clausola, non contenendo riferimenti al procedimento arbitrale da seguire, al meccanismo di nomina degli arbitri ed alla sede dell’arbitrato, rende impossibile qualsiasi tentativo del giudice di supplire alla lacunosità della disposizione. Essendo, infatti, la Svizzera divisa in cantoni, alla luce dell’incerta formulazione della clausola, non si è rivelato possibile nep- pure immaginare quale tra i vari cantoni avrebbe potuto essere identifi- cato come sede dell’arbitrato. In conclusione, il giudice ha affermato che la clausola in esame pone in essere un procedimento per gradi (“multi tier”) in cui l’arbitrato costituisce solo un passaggio eventuale e precedente rispetto alla giurisdi- zione delle corti inglesi. Pertanto la richiesta di sospensione del processo in corso dinanzi alla High Court è stata respinta. La decisione di Mr. Justice Cooke è di particolare interesse per gli studiosi dell’arbitrato internazionale giacché sembra mettere in discus- sione l’orientamento quasi costante della giurisprudenza inglese in merito all’interpretazione liberale delle clausole arbitrali patologiche e, di conse- guenza, anche la portata applicativa del già citato art. II, comma 3, della Convenzione di New York. Quest’ultima norma, infatti, rimette alle corti nazionali la valutazione sull’inoperatività delle clausole arbitrali e, se da un lato non vieta un’interpretazione liberale delle convenzioni arbitrali ambigue e lacunose, d’altra parte consente anche un’interpretazione re- strittiva delle stesse. Se dunque — come si vedrà in seguito — la tendenza della prassi è quel- la di considerare efficaci clausole arbitrali dalla formulazione ambigua ed incerta, è legittimo chiedersi se la sentenza Kruppa v. Benedetti costituisca il punto di partenza per un mutamento di orientamento della giurispruden- za inglese rispetto all’interpretazione di clausole arbitrali patologiche.

(3)V.ANDREWS, Interpretation of Written Contracts in England, reperibile all’indirizzo http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=2330312, 2013,1ess.

140 La questione non riveste un interesse meramente teorico, in quanto la popolarità di Londra quale sede di importanti arbitrati internazionali è strettamente legata all’approccio di favore (si parla, a tal riguardo, di favor arbitrati) che le corti inglesi hanno assunto rispetto all’arbitrato, suppor- tando e semplificando il ricorso a tale mezzo di risoluzione delle contro- versie anche in presenza di clausole arbitrali patologiche (4). Inoltre, in considerazione della posizione d’avanguardia che la giurisprudenza in- glese ha assunto rispetto a tutte le questioni concernenti l’arbitrato commerciale internazionale, è verosimile ritenere che un eventuale mu- tamento di approccio delle corti inglesi rispetto alla questione dell’inter- pretazione dei patti d’arbitrato verrà osservato con interesse (e probabil- mente seguito come esempio) dagli operatori giuridici degli altri Stati. La presente analisi si pone l’obiettivo di verificare la collocazione della sentenza Kruppa v. Benedetti nell’ambito della prassi, inglese e non solo, che interpreta alla luce del favor arbitrati le clausole arbitrali pato- logiche (5). Se, da un lato, sarà dimostrato che la decisione in esame si inserisce perfettamente nel filone giurisprudenziale che tende a fornire un’inter- pretazione liberale dei patti d’arbitrato ambigui e lacunosi, d’altra parte l’analisi della giurisprudenza delle corti che non hanno assunto un approc- cio guidato dal favor arbitrati rivelerà come la sentenza Kruppa v. Bene- detti non condivida la linea argomentativa di quelle decisioni che hanno inteso restringere la giurisdizione arbitrale rispetto a quella delle corti interne. L’opinione secondo cui la sentenza non mette in discussione il principio del favor arbitrati, così come affermatosi nella giurisprudenza inglese ed in molti altri sistemi interni, sarà, infine, confermata attraverso il confronto della decisione in esame con le posizioni espresse in dottrina.

2. Come già anticipato, spesso i giudici tendono a considerare valide ed efficaci clausole arbitrali che contengono indicazioni minime rispetto al procedimento da seguire (6); di conseguenza, il novero delle clausole

(4)V.ZARRA, Il ricorso alle anti-suit injunction per risolvere i conflitti di giurisdizione ed il ruolo dell’international comity,inRiv. dir. int. priv. e proc., 2014, 561 e ss. (5)V.LEW,MISTELIS,KROLL, International and Comparative Commercial Arbitration, The Hague, 2003, 154 e ss.. Si faccia riferimento agli stessi autori, p. 1 e ss., per l’analisi dell’evoluzione del principio del favor arbitrati. Si noti che i tribunali interni tendono a giudicare la questione in base al proprio diritto interno, ma questo non è l’unica possibile soluzione. V. BLESSING, The Law Applicable to the Arbitration Clause,inVAN DEN BERG, Improving the Efficiency of Arbitration and Awards: 40 Years of Application of the New York Convention, ICCA Congress Series, The Hague, 1998, 168-188. (6)V.GRAVES, Arbitration as Contract: the Need for a Fully Developed and Comprehen- sive Set of Statutory Default Legal Rules,inWm & Mary Bus. L. Rev., 2011, 234. Con riferimento alla posizione delle corti inglesi, v. MERKIN, Arbitration Law, Londra, 2014, 87 e ss.. Analoga posizione è tenuta dagli arbitri internazionali che — in virtù del principio della kompetenz- kompetenz — si trovano a dover determinare la propria giurisdizione interpretando clausole

141 inoperanti a cui fa riferimento l’articolo II, comma 3, della Convenzione di New York risulterebbe limitato ai soli casi in cui è assolutamente impossibile risalire alla volontà delle parti di ricorrere all’arbitrato. Quest’orientamento trova giustificazione nella presunzione per cui se le parti hanno fatto riferimento all’arbitrato, allora esse hanno inteso tale forma di risoluzione delle controversie come esclusiva (7). Infatti, le corti nazionali ritengono generalmente sufficiente, per declinare la propria giurisdizione, che dall’accordo tra le parti risulti chiaramente l’intenzione di ricorrere all’arbitrato e di vincolarsi alla decisione degli arbitri (8). Tale approccio è perfettamente riassunto in un inciso della Corte suprema inglese nel caso Fiona Trust & Holding Corp v. Privalov (9), in cui si afferma che “è ragionevole presumere che, nell’ambito commerciale, le parti, facendo riferimento all’arbitrato, non intendano conferire ai giudici nazionali il potere di esprimersi circa la validità del contratto, ma abbiano conferito tale potere ai soli arbitri. Alla luce di questa presunzione si ritiene opportuno interpretare liberalmente le clausole arbitrali contenute in un contratto”. Quest’ultima presunzione assume un valore ancora maggiore (“special force”) nel caso in cui la controversia rientri nell’am- bito del commercio internazionale (10). Il favor arbitrati si è manifestato innanzitutto nei casi in cui le parti abbiano fatto riferimento ad un’istituzione arbitrale inesistente o abbiano utilizzato un’espressione impropria nel riferirsi ad un’istituzione. A tal riguardo, è possibile affermare che “generalmente, il riferimento ad una particolare città, al tipo di controversia o ad un settore del mercato hanno permesso alle corti di risalire all’istituzione a cui le parti intendevano fare riferimento” (11). A titolo di esempio, può essere menzionato un caso in cui, avendo le parti fatto riferimento alla “Corte internazionale di arbitrato (“Interna- tionales Schedsgericht”) in Austria”, la corte interna ha interpretato tale disposizione come un richiamo al centro di arbitrato internazionale isti- tuito presso la Camera Federale Austriaca per l’Economia (12). Analoga-

arbitrali patologiche. V. GAILLARD,SAVAGE, Fouchard, Gaillard and Goldman on International Commercial Arbitration, Leiden, 2009, 254 e ss.. (7)V.AUCHIE, The liberal interpretation of defective arbitration clauses in international commercial contracts: a sensible approach?,inInt. Arb. Law Rev., 2007, 207. (8)V.GRAVES, op. cit., 236. (9) House of Lords, 24 gennaio 2007, UKHL 40. (10) V. US Court of Appeal for the 3rd Circuit, 26 giugno 2003, China Minmetals Materials Import and Exp. Co. v. Chi Mei Corp, 334 F.3d 274, in cui si è affermato che “it is of course true that the FAA, of which the (New York) Convention is part, establishes a strong federal policy in favor of arbitration and that the presumption in favor of arbitration carries “special force” when international commerce is involved”. (11)LEW,MISTELIS,KROLL, op. cit., 155. (12) V. OLG Oldenburg, 20 giugno 2005, Schieds XZ, 223 e ss.

142 mente, nel caso Asland v. European Energy Corp. (13), in cui la clausola arbitrale faceva riferimento alla “Official Chamber of Commerce”di Parigi, la corte nazionale ha interpretato tale clausola come un indubbio riferimento alla Camera di Commercio Internazionale di Parigi. Nel caso HZI Research Center Inc. v. Sun Instruments Japan Co. Inc. (14), invece, la clausola arbitrale non offriva indicazioni circa l’istitu- zione a cui far capo, ma faceva riferimento solo alla nomina di tre arbitri da scegliere tra i membri delle “American or Japanese Arbitrator So- ciety”. Il giudice — sostenendo che la clausola arbitrale fosse valida ed efficace — ha interpretato la disposizione nel senso che le parti avessero inteso far riferimento ad un arbitrato ad hoc e conferito all’attore il diritto di scegliere una sede tra gli USA ed il Giappone. Con riguardo ai casi in cui le parti hanno fatto riferimento ad un’istituzione arbitrale inesistente, si registrano anche sentenze che hanno interpretato le disposizioni contrattuali andando ben oltre il dato letterale e la volontà delle parti da questo desumibile. In questi ultimi casi, l’atteggiamento dei giudici è stato fortemente criticato in dottrina, in quanto arbitrario ed ingiustificato (15). Nel caso Lucky-Goldstar International (HK) Ltd. v. Ng Moo Kee Engineering Ltd (16), la clausola arbitrale affermava che “qualsiasi con- troversia relativa al contratto avrebbe dovuto essere risolta in un paese terzo, secondo il diritto di tale paese terzo e nel rispetto delle regole procedurali dell’International Commercial Arbitration Association”. Il giudice ha dichiarato che tale disposizione costituisse un’efficace conven- zione arbitrale in quanto, nonostante il mero riferimento alle regole procedurali di un’istituzione inesistente e l’ambiguo richiamo ad un paese terzo, da essa emergeva chiaramente l’intenzione delle parti di rimettere agli arbitri la decisione sulla propria controversia. Il giudice ha pertanto offerto una propria interpretazione dell’ambigua disposizione ed ha affer- mato che la scelta del paese terzo in cui l’arbitrato avrebbe dovuto

(13) Tribunal de Grande Instance, Paris, 18 dicembre 1988, in Rev. Arb., 1992, 673 e ss. Analoga decisione è stata presa da un tribunale arbitrale nel caso CCI n. 6709, in RUBINO SAMMARTANO, International Arbitration, Law and Practice, New York, 2014, 248, in cui si faceva riferimento alla “Chamber of Commerce” di Parigi, omettendo la parola “international”. Per una decisione contraria, si veda invece la determinazione degli arbitri nell’arbitrato CCI Datel v. King, 1987, in RUBINO SAMMARTANO, op. cit., 247. In quest’ultimo caso, l’assenza della parola “international” fu ritenuta fondamentale per il tribunale arbitrale che ha declinato la propria giurisdizione. (14) Southern District Court of New York, 19 settembre 1995, in Mealey’s Rep, 1995, 11 e ss. Sulla stessa linea di pensiero v. Cour de Cassation, 14 dicembre 1983, Epoux Convert v. Société Droga,inRev. Arb., 1984, 483 e ss., US District Court of Connecticut, 13 aprile 2009, Singleton v. Grade A Market, Inc., LEXIS 31026 (15)V.AUCHIE, op. cit., 210, FRY, HKL Group Ltd v. Rizq International Holdings Pte. And HKL Group Co. Ltd. v. Rizq International Holdings Pte Ltd.,inJourn. Int. Arb., 2013, 453 e ss. (16) Supreme Court of Hong Kong, 5 maggio 1993, H.K.L.R., 73.

143 svolgersi era rimessa all’attore. La sentenza è stata fortemente criticata, oltre che per le conclusioni del tutto arbitrarie a cui giunge, perché il giudice non ha fornito alcuna spiegazione per l’orientamento assunto (17). Nel recente caso HKL Group Co Ltd. v. Rizq International Holdings Pte Ltd. (18) la clausola arbitrale rimetteva le controversie tra le parti al “Comitato arbitrale di Singapore secondo le regole della CCI”. Il giudice — offrendo una propria interpretazione della clausola — ha affermato che, nonostante il riferimento alla Camera di commercio internazionale e l’inesistenza del Comitato arbitrale di Singapore, le parti dovessero far riferimento al Singapore Arbitration Centre ed applicare le regole proce- durali di quest’ultima istituzione. Anche questa decisione ha attratto molte condivisibili critiche in virtù dell’assenza di un adeguato percorso argomentativo nella decisione del giudice (19). Una tendenza di favore si è manifestata anche quando le parti hanno inserito, nella stessa clausola, un riferimento sia all’arbitrato che alla giurisdizione nazionale. In tutti questi casi, le corti interne hanno sempre cercato di dare priorità alla convenzione arbitrale, restringendo l’ambito di applicazione del riferimento alla giurisdizione interna alle sole circo- stanze di annullamento ed esecuzione del lodo arbitrale. Ciò è accaduto, ad esempio, in un caso in cui la clausola arbitrale affermava che “in caso di controversie (“dispute”), le parti si impegnano a ricorrere all’arbitrato, ma in caso di contenziosi (“litigation”) il Tribunal de la Seine avrà giurisdizione esclusiva” (20). Allo stesso modo, nel caso Sulamérica CIA Nacional de Seguros SA v. Enessa Engenharia SA,lo stesso Mr. Justice Cooke (il medesimo giudice che ha redatto la sentenza che si commenta) ha dato priorità all’arbitrato nonostante la clausola disponesse sia per la giurisdizione esclusiva delle corti brasiliane che per un arbitrato a Londra. La decisione è stata giustificata sulla base della “strong policy in favor of arbitration” adottata nell’ordinamento inglese e dell’assunto per cui le parti, essendo operatori del commercio, intendono

(17)V.AUCHIE, op. cit., 210. (18) Singapore High Court, 22 marzo 2013, SGHCR 5. (19)V.FRY, op. cit., 453. (20) V. Tribunal de la Grande Instance de Paris, 1 febbraio 1979, in Rev. Arb. 1979, 339 e ss. V., invece, per il caso di clausole multi-tier che pongono l’arbitrato come ultimo step per la risoluzione della controversia, High Court, Queen’s Bench Division, Commercial Court, 18 febbraio 1991, Paul Smith Ltd. v.H&SInternational Holding Inc., 2 Lloyd’s Rep. 125. Sul punto v. TOCHTERMANN, Agreements to Negotiate in the Transnational Context-Issues of Contract Law and Effective Dispute Resolution,inRev. dr. unif. 2008, 685 e ss., PENGELLEY, Conflicting Dispute Resolution Clauses: the Rule in Paul Smith Revisited, reperibile all’indirizzo http:// ssrn.com/abstract=1343989, FLETCHER, Kruppa v. Benedetti: When is an Agreement to Arbitrate Not an Agreement to Arbitrate? When It’s an Agreement to Endeavour to Arbitrate, reperibile all’indirizzo www.kluwerarbitrationblog.com.

144 sempre rivolgersi ad un solo giudice per la risoluzione delle proprie controversie (21). Egualmente, le corti nazionali hanno considerato valide ed efficaci alcune convenzioni arbitrali anche se queste difettavano di un elemento fondamentale, come la sede, il metodo di selezione degli arbitri e le modalità con cui le corti nazionali possono supplire alla mancata nomina ad opera di una parte (22). Lo stesso è accaduto quando le parti, inten- dendo, nell’opinione del giudice, fare riferimento all’arbitrato, avevano erroneamente fatto riferimento alla conciliazione, alla determinazione di un esperto o ad un arbitrato alternativo a conciliazione (23), così come nei casi in cui il linguaggio usato dalle parti non dava, a prima vista, certezze rispetto all’obbligatorietà del ricorso all’arbitrato (24). Sebbene l’approccio assunto dai giudici nei precedenti riportati abbia, in nome del favor arbitrati, generalmente ottenuto il supporto degli operatori (25), la prassi rivela che, talvolta, i giudici hanno ritenuto valide ed efficaci alcune clausole arbitrali dalla formulazione vaga al punto da mettere in discussione l’esistenza del consenso a ricorrere all’arbitrato. Nella pronuncia David Wilson Homes v. Survey Services Ltd (26), la Court of Appeal londinese ha ritenuto valida ed efficace una clausola che disponeva che “ogni controversia che emergerà dal presente contratto dovrà essere rimessa ad un Queen’s Counsel of the English Bar che sarà concordato tra le parti [...] o, nel caso in cui tale accordo non possa essere raggiunto, al Chairman of the Bar Council”. Sebbene in questo caso non si potesse determinare con certezza che le parti avessero inteso fare riferimento ad un arbitrato — escludendo ad esempio la determinazione di un esperto — la Corte d’appello ha affermato che la disposizione in esame costituisse un valido accordo arbitrale in quanto sarebbe stato irragionevole che le parti avessero introdotto un meccanismo di risolu-

(21) High Court of Justice, Queen’s Bench Division, Commercial Court, 16 maggio 2012, I Lloyd’s Rep. 275. In questo caso il giudice ha anche emesso una anti-suit injunction volta ad impedire la prosecuzione del giudizio brasiliano che era stato contemporaneamente intentato. Tale provvedimento è stato anche sostenuto dalla Court of Appeal, 16 maggio 2012, EWCA Civ 638. Per una valutazione sull’opportunità di tali provvedimenti, v. ZARRA, op. cit., 561 e ss. (22) Per un’analisi di questi casi v. GOMEZ DOMINGUEZ, Causes and Consequences of Faulty Arbitration Clauses,inEstud. Socio-Jurid. de Bogotà, 2007, 122. V. anche RUBINO SAMMARTANO, op. cit., 247 e ss.. (23)V.MALEVILLE,“Pathological” arbitration clauses,inInt, Bus. L. Journ., 2000, 70 e ss.. Per una rassegna completa dei vizi che possono riguardare le clausole arbitrali, si veda TOWNSEND, op. cit., 1 e ss.. (24) Ciò è accaduto, ad esempio, dinanzi all’Ontario Court of Appeal, 8 luglio 1999, Canadian National Railway Co. v. Lovat Tunnel Equipment Inc., 174 DLR 385, in cui si è ritenuta valida ed efficace una clausola che affermava “the parties may refer any dispute to arbitration”. Per il nuovo approccio delle corti canadesi v. nota 37. (25)V.LEW,MISTELIS,KROLL, op. cit., 155, BLACKABY,PARTASIDES,REDFERN,HUNTER, Redfern and Hunter on International Arbitration, Oxford, 2009, 146 e ss. (26) Court of Appeal, 18 gennaio 2001, EWCA Civ 34, CA.

145 zione delle controversie che avrebbe impedito loro di ottenere una deci- sione vincolante. La stessa Court of Appeal, nel caso Hobbs Padgett & Co. (Reinsurance) Ltd. v. J.C. Kirkland Ltd. (27) ha affermato che la sola disposizione “suitable arbitration clause”, la cui presenza nel contratto rappresentava evidente- mente un refuso, costituisse un valido ed efficace accordo arbitrale. Stando all’opinione del giudice, nonostante la formulazione lacunosa, era infatti chiaro che le parti avessero inteso escludere la giurisdizione delle corti sta- tali. Stando all’opinione del giudice, l’uso della parola “suitable” è volto ad indicare una forma di arbitrato che un ragionevole operatore del mercato potrebbe ritenere adeguata per la controversia. Pertanto, ove una delle parti si fosse rifiutata di nominare il proprio arbitro, ciò sarebbe stato fatto dalla Corte alla luce dell’English Arbitration Act. Va tuttavia evidenziato che, dall’analisi complessiva della prassi in materia di interpretazione degli accordi arbitrali, emerge chiaramente che i precedenti appena citati (così come i casi Lucky Goldstar e HKL sopra riportati) non costituiscono altro che una sporadica eccezione rispetto all’approccio della giurisprudenza maggioritaria, per la quale, prima di poter conferire efficacia ad una convenzione arbitrale patologica, è neces- sario verificare l’esistenza di un reale vincolo a ricorrere all’arbitrato; come è stato correttamente affermato, “anche un ordinamento fortemente a favore di tale mezzo di risoluzione delle controversie non potrà conferire effetti ad una clausola che non contiene un accordo arbitrale vinco- lante” (28). Ove il consenso sia effettivamente ravvisabile, in virtù del primato che va attribuito alla volontà delle parti nell’interpretazione di un contratto, appare giustificabile l’orientamento delle corti nazionali che hanno as- sunto un ruolo attivo e suppletivo rispetto all’ambigua formulazione della convenzione arbitrale posta in essere dalle parti. Questa posizione è stata chiaramente e costantemente espressa dalla giurisprudenza svizzera (29)e da quella statunitense (30).

(27) Court of Appeal, 18 luglio 1969, Hobbs Padgett & Co. (Reinsurance) Ltd. v. J.C. Kirkland Ltd., 2 Lloyd’s Rep, 547 CA. (28)V.SIVAKUMAR, Non-mandatory arbitration clauses are also pathological, 2013, repe- ribile all’indirizzo http://blog.mylaw.net/non-mandatory-arbitration-clauses-are-also-pathologi cal/. (29)V.SCHERER,MOSS, A primer on pathological arbitration clauses in Swiss law, reperibile all’indirizzo www.kluwerarbitrationblog.com. L’autore ha spiegato come “as long as such provisions do not relate to essential elements of the arbitration agreement, such as the binding submission of disputes to an arbitral tribunal, courts will not in and themselves lead to its invalidity”. Per un esempio del genere si veda Swiss Tribunal Federal, 7 novembre 2011, caso 4A_246/2011, reperibile all’indirizzo http://www.swissarbitrationdecisions.com/sites/default/files/ 7%20novembre%202011%204A%20246%202011.pdf. Per un esempio di caso in cui non si è ravvisata l’esistenza di un accordo di arbitrato vincolante v. Swiss Tribunal Federal, 25 ottobre 2010, caso 4A_279/2010, reperibile all’indirizzo www.swissarbitrationdecisions.com/validity-of-

146 Tale orientamento appare giustificato soprattutto in virtù della natura consensuale dell’arbitrato come mezzo di risoluzione di controversie. Infatti, se è vero che la stessa esistenza di un arbitrato è naturalmente connessa ad una statuizione delle parti in cui si esclude la giurisdizione delle corti nazionali, è altresì vero che, affinché le corti nazionali possano declinare la propria giurisdizione, tale accordo debba esistere al di là di ogni ragionevole dubbio, a prescindere dal fatto che la volontà di ricorrere all’arbitrato sia stata espressa in modo errato o incompleto. Quest’approccio appare coerente anche con quanto espresso nell’art. II, comma 3, della Convenzione di New York, che — facendo riferimento alla sussistenza di un accordo arbitrale — presuppone, affinché le corti interne declinino la propria giurisdizione, l’esistenza di un consenso vali- damente espresso. L’atteggiamento dei giudici che hanno rinviato le parti ad arbitrato nonostante l’impossibilità di accertare l’esistenza del con- senso appare dunque, in ultima analisi, contrario alla stessa Convenzione di New York. Non sembra casuale, quindi, l’approccio restrittivo che i giudici na- zionali hanno assunto in sede di esecuzione (31) di lodi derivanti da convenzioni d’arbitrato patologiche (32). Il riferimento va, in particolare, ad una decisione della Corte d’Appello di Firenze (33), che ha negato l’esecuzione di un lodo arbitrale emesso a Londra in quanto ha ritenuto che la clausola arbitrale, che recitava “Eventual arbitration to be perfor- med in London according to English law”, non costituisse un valido ed efficace accordo arbitrale. L’uso dell’ambigua formulazione “eventual arbitration” non costituisce prova del consenso tra le parti a riferire ad arbitrato la soluzione delle possibili controversie che avrebbero potuto sorgere tra loroe—diconseguenza — l’esecuzione del lodo sarebbe risultata contraria al disposto della Convenzione di New York. pathological-arbitration-clause-rightly-denied-by-sw/ in cui la clausola arbitrale prevedeva “bin- ding arbitration through the American Arbitration Association or to any other US court”. (30)V.GRAVES, op. cit., 234. (31) Ai fini della presente trattazione, merita particolare attenzione la disposizione dell’art. V, comma 1, lettera a). In particolare, tale norma dispone che “Il riconoscimento e l’esecuzione della sentenza saranno negati, a domanda della parte contro la quale la sentenza è invocata, unicamente qualora essa fornisca all’autorità competente del paese, ove sono domandati il riconoscimento e l’esecuzione, la prova che: a) le parti nella convenzione di cui all’articolo II, erano, secondo la legge loro applicabile, affette da incapacità, o che la detta convenzione non è valida, secondo la legge alla quale le parti l’hanno sottoposta o, in mancanza d’una indicazione a tale riguardo, secondo la legge del paese dove la sentenza è stata emessa”. V. NACIMIENTO, Article V(1)(a), in KRONKE,NACIMIENTO (eds.), Recognition and Enforcement of Foreign Arbitral Awards: A Global Commentary, The Hague, 2010, 205 e ss. (32) A tal riguardo, si rammenta che l’art. IV della Convenzione di New York impone a colui che chiede l’esecuzione del lodo arbitrale la presentazione al giudice dell’esecuzione di un valido accordo arbitrale. (33) Corte d’appello di Firenze, 27 gennaio 1988, in Yearbook Commercial Arbitration Volume XV, The Hague, 1990, 496-497.

147 In presenza di una convenzione d’arbitrato dalla formulazione in- certa, anche la Corte d’appello statunitense per il nono circuito non ha ritenuto possibile dare esecuzione ad un lodo arbitrale precedentemente emesso (34). La clausola, infatti, disponeva che “In case of failure to settle the mentioned disputes by means of negotiations they should be settled by means of arbitration at the defendant’s side” ed i giudici non hanno ritenuto che tale formulazione, ed in particolare il verbo “should”, costituisse una indubbia espressione di consenso a favore dell’arbitrato. Alla luce di quanto esposto, l’analisi operata da Mr. Justice Cooke nel caso Kruppa v. Benedetti sembra collocarsi nel solco della giurisprudenza maggioritaria ed appare dunque corretta nell’affermare che la clausola arbitrale sottoposta al suo esame non contenga alcun riferimento all’ob- bligatorietà per le parti del ricorso all’arbitrato. Infatti, l’utilizzo della forma verbale “will endeavour” depone chiaramente nel senso dell’as- senza di qualsiasi forma di accordo fra le parti rispetto alla possibilità di utilizzare l’arbitrato come mezzo di risoluzione delle controversie (35). Se il giudice avesse rinviato la causa ad arbitrato, ciò non avrebbe trovato valido fondamento nella volontà delle parti così come risultante dal contratto ed, in ultima analisi, avrebbe costituito una violazione del disposto dell’art. II, comma 3, della Convenzione di New York. Non sembra, pertanto, che la sentenza in esame ponga in discussione il principio del favor arbitrati così come costantemente riconosciuto dalle corti nazionali nell’ambito di controversie commerciali internazionali. Infatti, la disposizione in esame non sembra altro che una clausola di scelta del foro in cui si prevede un mero tentativo, non obbligatorio, di ricorrere all’arbitrato. Non sembra dunque azzardato parlare, nel caso di specie, di vera e propria inesistenza del patto d’arbitrato (36), piuttosto che di una clausola arbitrale dalla formulazione incerta ed ambigua.

3. Da un confronto tra le argomentazioni utilizzate da Mr. Justice Cooke e la prassi di quegli ordinamenti che applicano il favor arbitrati in modo restrittivo è possibile ottenere un’ulteriore conferma di quanto appena affermato. Tra gli ordinamenti che adottano una concezione limitata di favor arbitrati, e che — conseguentemente — interpretano restrittivamente l’art. II, comma 3, della Convenzione di New York, la prima posizione a venire

(34) V. US Court of Appeals for the Ninth Circuit, 28 settembre 2010, Polimaster Ltd. v. RAE Systems, Inc., 08-15708, 09-15369. (35) La clausola in esame ricorda le cd. clausole arbitrali non complete che si erano affermate nel diritto internazionale pubblico prima dell’avvento della Corte Permanente di Giustizia Internazionale. Sul punto v. CONFORTI, Diritto Internazionale, Napoli, 2013, 451-458. Nel caso di specie, tuttavia, il vincolo gravante sulle parti è ancora più sfumato, in quanto non si ravvisa neppure l’obbligo de contrahendo esistente nelle clausole arbitrali non complete. (36)V.ATTERITANO, op. cit., 133-135.

148 in rilievo è quella della Corte suprema canadese. Tale organo ha negli anni più recenti assunto un orientamento da cui si evince “un forte scetticismo nel conferire una legittimazione all’arbitrato” (37). Se nel caso Seidel v. TELUS Communications Inc. (38), i giudici si sono limitati ad affermare che “il ruolo della Corte non è né di incentivare né di ostacolare il ricorso all’arbitrato, quale procedimento privato e riservato” nella più recente sentenza Hryniak v. Mauldin (39) la Corte ha assunto un orientamento di netto sfavore nei riguardi dell’arbitrato. E’ stato infatti affermato che “in alcuni consessi, l’arbitrato — come mezzo privato di risoluzione delle controversie — è sempre più spesso visto come una valida alternativa ai lenti procedimenti interni. Tuttavia l’arbitrato non costituisce la soluzione a tutti i problemi, in quanto la circostanza per cui le parti non facciano riferimento ad una corte interna compromette l’applicazione del diritto (“rule of law”) e lo sviluppo del common law”. Allo stesso modo, le corti scozzesi hanno sempre interpretato le convenzioni arbitrali alla luce degli ordinari criteri d’interpretazione dei contratti, senza partire dal presupposto per cui, alla luce del favor arbitrati, debba essere conferita efficacia a tali accordi ogni qual volta ciò risulti possibile (40). Nella sentenza ERDC Construction Ltd v. HM Love & Co (41), il giudice ha affermato che “non vi è alcuna necessità di far ricorso ad un’interpretazione liberale della clausola arbitrale; ciò che la corte deve fare è determinare, alla luce della terminologia usata nel contratto, qual era l’intenzione delle parti nel momento in cui esse hanno stipulato il contratto”. Tale approccio si ritrova anche nel caso Bruce v. Kordula (42), in cui la clausola arbitrale disponeva che “eventuali controversie [...] devono essere giudicate da un arbitro scelto da entrambe le parti, o, in caso di assenza di accordo tra le stesse, nominato dal Rettore della Faculty of Arbiters su richiesta di una parte”. Da questa clausola è evidente che, nonostante l’ambiguità e l’incertezza della terminologia utilizzata dalle parti, vi fosse una chiara intenzione di far sì che la controversia non fosse decisa dalle corti nazionali. In tali circostanze, secondo un approccio guidato dal favor arbitrati, tale patto d’arbitrato avrebbe potuto essere considerato efficace. Il giudice ha invece affermato che “nel presente caso

(37)V.BACHAND, Favor Arbitrandum and the Supreme Court of Canada: More Red Flags, reperibile all’indirizzo www.kluwerarbitrationblog.com. (38) Supreme Court of Canada, 18 marzo 2011, 2011 SCC 15, reperibile all’indirizzo http://scc-csc.lexum.com/scc-csc/scc-csc/en/item/7927/ index.do?r=AAAAAQAKZGVzcHV0ZWF1eAAAAAAB (39) Supreme Court of Canada, 23 gennaio 2014, 2014 SCC 7, reperibile all’indirizzo http://scc-csc.lexum.com/scc-csc/scc-csc/en/item/13427/ index.do?r=AAAAAQAHbWF1bGRpbgAAAAAB. (40)V.AUCHIE, op. cit., 211. (41) Court of Session, 26 luglio 1996, 1995 S.L.T. 254. (42) Court of Session, 15 maggio 2011, 4 Int ALR N-6 (2002).

149 vi è una totale ed irrisolvibile incertezza sull’autorità a cui si fa riferi- mento” e pertanto non ha conferito efficacia alla clausola arbitrale. Anche le corti italiane hanno adottato un approccio non sempre di favore rispetto alle clausole arbitrali dalla formulazione ambigua. A tal riguardo, è necessario ricordare che, con la riforma operata con legge n. 40 del 2006, il legislatore italiano ha introdotto nel codice di procedura civile l’art. 808 quater, il quale dispone che “nel dubbio, la convenzione d’arbi- trato si interpreta nel senso che la competenza arbitrale si estende a tutte le controversie che derivano dal contratto o dal rapporto cui la conven- zione si riferisce” (43). Ad una lettura della disposizione, appare tuttavia chiaro che essa ha una portata molto limitata rispetto alla variegata casistica esaminata in precedenza e rispetto alla quale la giurisprudenza interna di molti Stati si è mostrata molto aperta nell’ottica del favor arbitrati. L’art. 808 quater, infatti, consente solo di interpretare estensivamente le clausole arbitrali la cui portata applicativa non sia espressa chiaramente dalle parti. Inoltre, come è stato osservato in dottrina (44), il criterio interpretativo posto in essere dalla norma in esame potrà entrare in gioco solo sussidiariamente rispetto all’applicazione delle norme del Codice civile sull’interpretazione dei contratti. Ciò vuol dire che, ove il giudice ravvisi, anche implicita- mente, che le parti abbiano inteso restringere la portata applicativa della convenzione arbitrale, egli non darà applicazione al criterio del favor nell’interpretazione della clausola. È inoltre dubbia l’applicabilità della disposizione in esame ai casi in cui vi siano più contratti collegati ma solo uno di essi contenga una convenzione d’arbitrato (45). Non è un caso che la giurisprudenza di merito, confermando un orientamento assunto dalla Cassazione prima della riforma del 2006 (46), abbia recentemente confermato che “nel caso in cui un contratto contenga sia una clausola compromissoria, sia una clausola che individua in via esclusiva la competenza di un determinato foro, insorge un dubbio sul-

(43) È comune opinione che tale norma abbia consentito l’ingresso nell’ordinamento italiano del principio del favor arbitrati nell’interpretazione delle convenzioni arbitrali. V. CARAMASCHI, La clausola compromissoria,inIl Civilista, ottobre 2007, 52 e ss., TEDIOLI, La nuova disciplina dell’arbitrato,inStudium Iuris, 2007, 139 e ss.. (44)CONFORTINI, La clausola compromissoria,inALPA,VIGORITI, Arbitrato. Profili di diritto sostanziale e di diritto procedurale, Torino, 2013, 726 e ss. (45)V.FRIGNANI, The application of the New York Convention by Italian Courts, in questa Rivista, 2014, 317-318. Tale autore fa riferimento all’interpretazione restrittiva assunta da Cass., 28 luglio 1998, n.7398, in Riv. dir. int. priv. proc., 1999, 319. (46) Cass., 15 febbraio 2002, n. 2208, reperibile all’indirizzo www.ilcaso.it, in cui si è affermato che “stante l’eccezionalità della deroga alla competenza del giudice ordinario a favore di quella degli arbitri, la clausola compromissoria, per essere valida, deve essere formulata in maniera tale da non lasciare margini di ambiguità o di incertezza in ordine alla volontà delle parti di devolvere agli arbitri la competenza a decidere delle controversie nascenti dal contratto. Non risponde a tale requisito il contratto che preveda o anche una clausola volta a stabilire la competenza di un determinato foro”.

150 l’effettiva volontà delle parti di deferire la causa agli arbitri, con la conseguenza che, in caso di incertezza, deve darsi la prevalenza alla competenza del giudice ordinario” (47). Anche con riguardo alla questione dell’errata individuazione dell’isti- tuzione arbitrale nell’ambito della convenzione d’arbitrato, infine, la giu- risprudenza italiana si è spesso limitata a prendere atto dell’inesistenza dell’istituzione a cui si era fatto riferimento e non ha quindi rinviato le parti ad arbitrato (48). La prassi esaminata rivela che, negli ordinamenti nazionali che non adottano il favor arbitrati nella sua concezione più ampia, la giurispru- denza sembra sempre partire dal presupposto per cui la giurisdizione degli arbitri è un’eccezione rispetto a quella statale e — pertanto — il ricorso all’arbitrato non deve essere incentivato dai giudici interni attraverso un’interpretazione liberale delle convenzioni arbitrali patologiche. Al contrario, nella sentenza Kruppa v. Benedetti, il giudice ha espres- samente confermato che “nei casi in cui le parti facciano riferimento a più organi giudicanti — in particolare gli arbitri e le corti nazionali — è necessario cercare un’interpretazione che possa conciliare le due disposi- zioni”. Tale interpretazione, stando a quanto affermato anche nel citato caso Sulamérica CIA Nacional de Seguros SA v. Enessa Engenharia SA deve sempre partire dal presupposto della “strong policy in favor of arbitration” presente nell’ordinamento e quindi conferire efficacia alla clausola arbitrale a discapito dell’indicazione della corte nazionale. A questo punto, e solo dopo aver precisato la necessità di non distaccarsi dall’orientamento giurisprudenziale maggioritario, il giudice ha posto in essere un’operazione di distinguishing ed ha spiegato che — alla luce della totale assenza di manifestazione della volontà delle parti — non è possi- bile in questo caso conferire efficacia alla convenzione arbitrale. Non sembra, in conclusione, che la sentenza Kruppa v. Benedetti possa essere assimilata agli orientamenti di quei sistemi giuridici che applicano una concezione ristretta del favor arbitrati.

4. Per quanto concerne gli orientamenti della dottrina in merito all’interpretazione delle clausole arbitrali patologiche, si registra — così come nella giurisprudenza — una notevole spaccatura tra coloro i quali partono da una presunzione di validità di queste disposizioni contrattuali e quelli che invece propendono per un’interpretazione restrittiva di tali clausole. Si rileva, poi, una corrente intermedia che prova a giustificare una lettura liberale delle convenzioni arbitrali patologiche alla luce delle stesse norme sull’interpretazione dei contratti.

(47) Tribunale di Milano, 10 settembre 2012, reperibile all’indirizzo www.ilcaso.it. (48) V., anche per la giurisprudenza ivi citata, FRIGNANI, op. cit., 307-310.

151 In linea generale, può concordarsi con chi ha fatto riferimento al favor arbitrati nell’interpretazione delle convenzioni arbitrali patologiche come una “double edged sword”(49). Infatti, se da un lato l’attribuzione di effetti giuridici alla, seppur errata ed incompleta, manifestazione di volontà delle parti può rispondere ad un interesse di queste ultime, dall’altro lato un simile approccio parte dal presupposto, non necessariamente corretto, che l’intenzione delle parti sia sempre quello di preferire l’arbitrato alla giurisdizione nazionale. Con riguardo al primo orientamento emerso in dottrina, esso ritiene che gli accordi arbitrali vadano sempre interpretati estensivamente (50). La ragione per un tale approccio starebbe nell’applicazione della presun- zione per cui un operatore del mercato ragionevole non può aver inteso rimettere la propria controversia a più di un solo organo giudicante. Quest’orientamento non è stato esente da critiche (51). In particolare, si è rilevato che esso è arbitrario e spesso ingiustificato, in quanto privo di fondamento giuridico. Infatti, se è vero che le convenzioni arbitrali sono normali disposizioni contrattuali, la legge impone che esse siano interpre- tate alla luce degli ordinari criteri di interpretazione dei contratti, così come di volta in volta applicabili (52). Tali critiche sembrano condivisibili giacché gli autori che sposano la tesi precedentemente citata semplice- mente omettono di far riferimento alle regole civilistiche sull’interpreta- zione dei contratti. Una lettura liberale dei patti d’arbitrato sarebbe dunque giustificabile alla luce del solo favor arbitrati, senza tuttavia trovare una giustificazione nel diritto positivo. D’altra parte non sembra condivisibile neppure l’opinione di chi parte dal presupposto di dover necessariamente interpretare restrittivamente le clausole arbitrali. Tale approccio si basa sulla considerazione per cui — essendo l’arbitrato un’eccezione rispetto alla giurisdizione delle corti nazionali — l’esistenza di una rinuncia all’essenziale diritto di essere giudicati presso un tribunale pubblico deve essere accertata al di là di ogni ragionevole dubbio (53). Tuttavia, come è stato correttamente rilevato, se è vero che l’arbitrato è oggi considerato in molti ordinamenti nazionali

(49)GRAVES, op. cit., 238. (50)JOSEPH, Jurisdiction and Arbitration Agreements and their Enforcement, Maastricht, 2010, 110 e ss., AMERASINGHE, Jurisdiction Ratione Personae Under the Convention on the Settlement of Investment Disputes Between States and Nationals of Other States,inBrit. Yearb. Int. L., 1974-1975, 227, 267, KARRER,KALIN-NAUER, Is There a Favor Iurisdictionis Arbitri? — Standards of Review of Arbitral Jurisdiction Decisions in Switzerland,inJourn. Int. Arb., 1996, 31 e ss. (51) V., tra gli altri, GAILLARD,SAVAGE, op. cit., 261, AUCHIE, op. cit., 208 e ss. (52)V.SUTTON,GILL,GEARING, Russell on Arbitration, Maastricht, 2007, 48 e ss., AUCHIE, op. cit., 208. BEALE, Chitty on Contracts, Maastricht, 2012, 2900 e ss., STEMPEL, Arbitration, Unconscionability, and Equilibrium: The Return of Unconscionability Analysis as a Counter- weight to Arbitration Formalism,inOhio St. Journ. On Disp. Res., 2003-2004, 764, MALAGA, Defecting Arbitration Clauses, reperibile all’indirizzo www.kluwerarbitrationblog.com. (53) Tale opinione è stata espressa da AUCHIE, op. cit., 208.

152 come perfettamente alternativo alla giurisdizione nazionale, un’interpre- tazione necessariamente restrittiva delle convenzioni d’arbitrato non sa- rebbe coerente con il crescente ruolo che l’arbitrato ha assunto nell’am- bito dei meccanismi per la soluzione di controversie commerciali internazionali (54). Tra le varie opinioni espresse, persuasiva appare quella di chi (55), per giustificare il favor arbitrati, pur riconoscendo la necessità di interpretare le clausole arbitrali patologiche secondo gli ordinari criteri di interpreta- zione contrattuale, ha fatto riferimento al criterio di “effective interpreta- tion”. In virtù di tale principio, tra due significati attribuibili ad una clausola, bisogna sempre guardare a quello che ne garantisce l’efficacia. Secondo l’opinione di tali autori, che sembra collocarsi in una posizione intermedia rispetto a quelle precedentemente citate, il criterio interpre- tativo dell’interpretazione effettiva può essere classificato alla stregua di un “universally recognised rule of interpretation”, in quanto riconosciuto da molti ordinamenti statali (56), così come nell’ambito di corpi normativi transnazionali come i principi Unidroit (57). Tale forma di interpretazione è stata inoltre adottata in numerose pronunce arbitrali e nazionali (58). Oltre che per la vasta applicazione, ci sembra che il principio dell’inter- pretazione effettiva rappresenti ad oggi la migliore sintesi possibile delle posizioni espresse dalla prassi statale in merito al principio del favor arbitrati. Se da un lato, infatti, è vero che gli Stati tendono sempre più a riconoscere all’arbitrato un ruolo di primo piano tra i mezzi di risoluzione di controversie internazionali commerciali, è altresì corretto che il fonda- mento giuridico dell’approccio giurisprudenziale che interpreta con favore i patti d’arbitrato venga ricercato in una norma giuridica. È dunque rimesso al giudice il compito di conferire efficacia alle convenzioni arbi- trali patologiche, sempreché ci si muova nei limiti di ciò che è permesso dal diritto, ossia nell’ambito dei possibili significati desumibili dalla ter- minologia utilizzata nel patto d’arbitrato. Premettendo che nella sentenza Kruppa v. Benedetti non si fa men- zione di alcuno dei succitati orientamenti, un’analisi accurata del provve- dimento rivela che l’approccio assunto da Mr. Justice Cooke è perfetta- mente conforme al criterio interpretativo dell’interpretazione effettiva

(54)V.GAILLARD,SAVAGE, op. cit., 260, LEW,MISTELIS,KROLL, op. cit., 17 e ss., BLACKABY, PARTASIDES,REDFERN,HUNTER, op. cit.,1ess. (55)GAILLARD,SAVAGE, op. cit., 254 e ss.. (56) V., a titolo di esempio, art. 1156 del Codice civile francese, art. 1367 del Codice civile italiano, art. 23 del Codice cecoslovacco del commercio internazionale. (57) V. principio 4.5 dei Principi Unidroit nei contratti internazionali. (58) V., tra gli altri, lodo CCI 1434, 1975, in Journ. de Droit Int., 1976, 979-980, Cour d’Appel de Paris, 5 maggio 1989, BKMI Industrieanlagen GmbH v. Dutco Construction Co. Ltd., in Rev. Arb., 1989, 723, con nota di BELLET. Per ulteriori precedenti, v. GAILLARD,SAVAGE, op. cit., 259, nota 85.

153 appena esposto. Infatti, come già detto, il giudice ha chiarito che se è vero che in presenza di accordi arbitrali ambigui debba essere ricercata una soluzione interpretativa che privilegi il ruolo dell’arbitrato rispetto a quello delle corti interne, è altresì vero che lo stesso giudice non è autorizzato a desumere da un contratto più di quanto le parti abbiano — esplicitamente o implicitamente — lasciato emergere dal testo di quel contratto. Nel caso di specie, l’uso della formula verbale “will endeavour to resolve the matter through Swiss arbitration” non lascia spazio ad un’interpretazione diversa da quella operata da Mr. Justice Cooke.

5. Il principio del favor arbitrati, secondo cui le convenzioni arbitrali devono essere — per quanto possibile — interpretate nel senso di confe- rire efficacia al riferimento all’arbitrato operato dalle parti, è tuttora fortemente radicato nella giurisprudenza interna di molti Stati. L’esistenza di una “strong policy in favor of arbitration” non deve, tuttavia, consentire che anche disposizioni contrattuali da cui non emerge (esplicitamente o implicitamente) la volontà delle parti di fare ricorso all’arbitrato siano considerate alla stregua di validi ed efficaci accordi arbitrali. Come è stato dimostrato in precedenza, infatti, è lo stesso art. II, comma 3, della Convenzione di New York che, facendo riferimento all’esistenza di un accordo arbitrale quale presupposto in presenza del quale le corti interne devono negare la propria giurisdizione, sembra presupporre la verifica della sussistenza di un reale vincolo, per le parti, di ricorrere all’arbitrato. La decisione nel caso Kruppa v. Benedetti sembra perfettamente inserirsi nel filone giurisprudenziale maggioritario che tende ad interpre- tare estensivamente le clausole arbitrali patologiche, partendo però sem- pre dalla ricerca dell’effettiva volontà delle parti. Se da un lato, infatti, il giudice, posta l’impossibilità di risalire alla volontà delle parti di vincolarsi all’arbitrato, non ha conferito efficacia alla lacunosa disposizione contrat- tuale sottoposta al suo esame, d’altra parte, l’analisi del provvedimento rivela che esso non adotta criteri interpretativi più restrittivi rispetto a quelli adottati dalla prassi maggioritaria nell’interpretazione di clausole arbitrali patologiche. La sentenza esaminata sembra, infine, perfettamente giustificabile alla luce dell’opinione della corrente dottrinaria che propende per la giustificazione del favor arbitrati attraverso il criterio dell’interpretazione effettiva delle disposizioni contrattuali. Tale approccio, in ultima analisi, è rispettoso ed attuativo della necessità di trovare un fondamento nel diritto positivo per l’interpretazione liberale di clausole arbitrali patologiche che viene operata dalla prassi di molti Stati.

GIOVANNI ZARRA

154 REGNO UNITO - COURT OF APPEAL (civil division), sentenza 21 ottobre 2014 — Giudice Beatson; Caresse navigation Ltd v Zurich Assurances Maroc and other.

Clausola compromissoria - Polizza di carico - Incorporazione della clausola arbitrale - Richiamo ad altro contratto che non contiene clausole arbitrali - Interpretazione della volontà dei contraenti - Criteri.

Allorché in una polizza di carico siano incorporate clausole arbitrali o di giurisdizione contenute nel contratto di noleggio, l’intenzione delle parti ricavata dal contesto del contratto prevale sul significato letterario di esso quando applicando quest’ultimo il contratto non avrebbe alcun senso dal punto di vista commerciale.

CENNI DI FATTO. — L’armatore noleggiava la propria motonave Channel Ranger con un contratto « a tempo » alla società U-Sea Bulk A/S (formulario NYPE), che a sua volta la noleggiava « a viaggio » alla società Glencore Interna- tional (formulario Amwelsh 1979). Il contratto di noleggio « a viaggio » prevedeva una clausola a favore della giurisdizione inglese (« questo Charter Party è gover- nato dalla legge inglese, e ogni controversia in relazione a questo Charter Party sarà sottoposta alla giurisdizione esclusiva della High Court of Justice of England and Wales »). La polizza di carico incorporava tutte le statuizioni del contratto « a viaggio », stabilendo anche l’incorporazione di una clausola arbitrale (« Tutti i termini, le condizioni, le eccezioni, inclusa la legge e la clausola arbitrale, sono con questo documento incorporati ... ») che in realtà nel contratto « a viaggio » non esisteva. Poiché il ricevitore contestava all’armatore di essere responsabile di aver contaminato la merce trasportata, quest’ultimo instaura un procedimento contro il ricevitore e la sua compagnia assicurativa, volto a far accertare l’assoluta man- canza di proprie responsabilità. Le parti convenute eccepiscono il difetto di giurisdizione del tribunale inglese adito. Il tribunale rigetta l’eccezione. La pro- nuncia è impugnata in appello.

MOTIVI DELLA DECISIONE.

Introduction 1. This is an appeal against an interim anti-suit injunction made by Males J on 14 October 2013: see [2013] EWHC 3471 (Comm.). The dispute concerns a claim under a bill of lading on the “Congenbill 1994” form of just over US$1 million for damage to a cargo of coal shipped on the vessel Channel Ranger from Rotterdam to Nador in Marocco in April 2011. Males J granted the injunction because he had previously decided (1) that the bill of lading incorporated an English law and exclusive jurisdiction clause referred to in the charterparty. 2. The shipowner, and respondent to the appeal is Caresse Navigation Ltd (“Caresse”), a Marshall Islands company. The consignee and receiver of the cargo is the Office National de L’Electricite (“l’ONE”), a Moroccan state electricity

(1) [2013] EWHC 3081 (Comm) reported at [2014] I Lloyd’s Rep 337.

155 generating company, and the appellants are its insurers and parties to whom rights of suit under the bill of lading appear to have passed under Moroccan law. I shall refer to the appellants as “the cargo interests”. The injunction restrained the cargo interests from pursuing proceedings which they had commenced under the bill of lading in the Commercial Court in Casablanca, Morocco against the Master of the Vessel in his capacity as a representative of Caresse, the shipowner. At the conclusion of the hearing, my Lord the Master of the Rolls stated that the appeal would be dismissed. I now give my reasons for that decision. My reasons are substantially the same as those given by the judge in his admirably clear judgment.

The terms of the bill of lading and the charterparty 3. The bill of lading evidenced or contained a contract of carriage between Glencore International AG (“Glencore”), the shipper, and Caresse. Clause (1) of its printed conditions of carriage provides: “All terms, and conditions, liberties and exceptions of the Charter Party, dated as overleaf, including the Law and Arbitration clause are herewith incorporated”

The fundamental question is whether, in the circ*mstances of this case, these words have the effect of incorporating an English law and exclusive jurisdiction clause referred to in the charterparty. 4. A box on the front page of the form of the bill of lading in this case (dated 6 April 2011) contains a typed clause using materially the same words as clause (1) of the printed conditions to express the scope of the incorporation. It stated: “Freight payable as per Charter Party. All terms, conditions, liberties and exem- ptions including the law and arbitration clause, are herewith incorporated”.

Another box on the front page of the bill of lading identified the charterparty as “dated 06.01.2011”. Clause (2) of the printed terms is a General Paramount clause, providing for (in this case) the Hague-Visby Rules to apply to the bill of lading contract. 5. The charterparty in question was a voyage charter in the form of an email fixture recap dated 6 January 2011 which set out the main terms and concluded. “... otherwise as per proforma C/P Glencore/Eitzen lates C/P dated 14 January 2009 (see attached) logically amended as per main terms agreed”. The Glencore/Eitzen charterparty was on the Americanised Welsh Coal Charter (“AmWelsh”) form 1979, clause 5 of which provided: “This Charter Party shall be governed by English Law, and any dispute arising out of or in connection with this charter shall be submitted to the exclusive jurisdiction of the High Court of Justice of England and Wales”.

The factual and procedural background 6. Caresse chartered the “Channel Ranger” to U-Sea Bulk A/S by a contract

156 on an amended NYPE form dated 23 March 2011 in order for U-Sea Bulk A/S to perform a shipment which it had agreed to perform under a voyage charter with Glencore dated 6 January 2011. That voyage charter was made by an email fixture recap containing the clause referring to the Glencore/Eitzen charterparty set out in [5] above. 7. The shipment of the cargo of 39,001.503mt of “coal in bulk” was acknow- ledged by the bill of lading which described the cargo as “Carbon vapeur” and stated that it was “shipped in apparent good order and condition”. As the cargo was consigned to the order of l’ONE, the bill was negotiable and took effect as a contract between the shipowner and Glencore. Page 1 of the “Congenbill 1994” form states “to be used with carterparties”. I have referred (see [3] and [4] above) to clause (1) of the printed conditions of carriage and to the box stating that “freight is payable as per CHARTER-PARTY, dated 06.01.2011”. 8. On arrival at Nador, it was discovered that the temperature of the cargo had increased. Due to the risk of flammable gas evolution, it was decided to douse a hotspot in the hold with water to preserve the safety of the vessel, the rest of the cargo, and those on board. After the cargo was discharged, l’ONE complained that it had been damaged by the self-heating and dousing and intimated its claim against Caresse under the bill of lading. As a result of that, on 8 June 2011, Caresse instituted these proceedings seeking a declaration of non-liability against l’ONE and the other cargo interests. Hamblen J granted Caresse permission to serve out of the jurisdiction. Service on the insurers in Morocco was only effected on 25 February 2013. Service on l’ONE was effected on 6 May 2013. 9. On 28 March 2013, l’ONE and the other cargo interests commenced the proceedings in Morocco to which I have referred. On 22 May 2013, l’ONE and the other cargo interests challenged the jurisdiction of the English court in these proceedings. It was the Moroccan proceedings which, in turn, led to Caresse applying on 13 August 2013 for an interim anti-suit injunction to restrain pursuit of the Moroccan proceedings on the ground that those proceedings were in breach of the exclusive jurisdiction clause in clause 5 of the Glencore/Eitzen charterparty incorporated into the bill of lading via the carterparty in the fixture recap dated 6 January 2011. 10. The cargo interests’ challenge to English jurisdiction was rejected by Males J: see [2013] EWHC 3081 (Comm), reported at [2014] 1 Llyod’s Rep 337. He held that Caresse had a good arguable case that the bill of lading was governed by English law, and thus satisfied the jurisdictional gateway in CPR PD 6B para. 3.1. (6)(c). He also held that the bill of lading incorporated an English law and exclusive jurisdiction clause referred to in the charterparty, thus going further than what would have been required to satisfy the jurisdictional gateway in CPR PD 6B para. 3.1. (6)(d). It was on the basis of the latter decision that, after handing down his decision, he granted the anti-suit injunction. The cargo interests appeal, with his permission, against his decision to grant that injunction. 11. The judge did not give the cargo interests permission to appeal against his rejection of their challenge to English jurisdiction, and they did not renew that application after Aikens LJ refused permission on the papers. They have pursued

157 their appeal against the injunction and continue to assert that the English Court does not have jurisdiction over them. Mr Byam-Cook’s skeleton argument on behalf of Caresse contends that this amounts to seeking to have matters both ways and that is an abuse of process. That question was not, however, canvassed before us at the hearing.

The judge’s decision 12. The judge decided that the voyage charter in the fixture recap incorpo- rated clause 5 of the Glencore/Eitzen charterparty. He concluded that the effect of the bill of lading, and in particular printed clause (1) set out at [3] above and the typed clause set out at [4] above, was to incorporate the English proper law and exclusive English jurisdiction clause in clause 5 of the Glencore/Eitzen charter- party into the bill of lading. His reasoning was as follows: (1) There is a particular need for clarity and certainty in the rules governing the incorporation of charterparty clauses into bills of lading because of the negotiabile nature of bills of lading and the fact that they may come into the hands of parties who are not aware of the terms of the charterparty: see [38] and [42], citing Federal Bulk Carriers Inc v C Itoh and Co Ltd (The Federal Bulker) [1989] 1 Lloyd’s Rep 103 and Siboti K/S v BP France Sa (The Siboti) [2003] EWHC 1278 (Comm), reported at [2003] 2 Lloyd’s Rep 364 at [24]. (2) General words of incorporation in a bill of lading (however wide) will not be effective to incorporate an arbitration or jurisdiction clause because such clauses are “ancillary” to the main contract to which they relate: see [38], citing The Siboti. (3) A specific reference to an arbitration or jurisdiction clause in a bill of lading will be effective. in such a case, it does not matter that the wording of the clause in the charterparty may require some degree of manipulation to make it applicable to the bill of lading: see [38], citing The Delos [2001] 1 Lloyd’s Rep 703. (4) The question whether, when referring to “arbitration”, the parties clearly meant “jurisdiction”, is “essentially one of construction rather than incorpora- tion”. Although the question “can be posed by asking whether the jurisdiction clause in the carterparty is incorporated into the bill of lading, the real question is what the parties should reasonably be understood to have meant by the words ‘law and arbitration clause’, which plainly contemplate the incorporation of at least one kind of ancillary clause. That is a question to be answered objectively, having regard to the background circ*mstances, which include the fact that the charter- party does not contain an arbitration clause, but does contain a law and jurisdiction clause”: see [43]. (5) “[S]pecial rules to the effect that ancillary clauses will not be incorporated unless specific words are used are of comparatively little weight in deciding whether specific words which are accepted to be effective to incorporate at least one kind of ancillary clause (an arbitration clause) can properly be read as extending also to another kind of ancillary clause”: see [43]. (6) The submission on behalf of the cargo interests that there was no reason to suppose that the parties had made a mistake in referring to “arbitration” rather than “jurisdiction” was rejected: see [40] and [43].

158 (7) The only clause in the charterparty to which the parties could have intended their words to refer is the law and jurisdiction clause. Accordingly, it is “a more natural construction of the bill of lading to read it as referring to that clause, rather than to read it as referring to an arbitration clause in the charter- party ‘if any’”. The judge saw no basis for adding the words “if any” into the bill of lading when the original parties to that contract (Glencore and Caresse) kenw, or must be taken to have known, that the charterparty contained no arbitration clause, because that would render the specific incorporating words empty of content: see [44]. (8) It followed that the principle stated by Lord Hoffmann in Chartbrook Ltd v Persimmon Homes Ltd [2009] UKHL 38, reported at [2009] 1 AC 1101 at [25] applies to this case. This is because it is (a) “clear that something has gone wrong with the language” and (b) it is clear “what a reasonable person would have understood the parties to have meant”: see [45]. (9) Provided the clause in the charterparty was one which was usual in the trade and can be identified as the one which the parties to the bill of lading contract clearly had in mind when referring to the charterparty, this conclusion did not (see [47]-[48]), run counter to the particular need for clarity and certainty in this context (see (1) above) because: (a) A consignee would be bound by whatever terms the original parties to the bill of lading had agreed by the reference to the charterparty arbitration clause although it would not know, for example, the seat of the arbitration and whether the tribunal was to be a sole arbitrator or a panel without reference to the charterparty; and (b) The consignee would know from the specific words in the bill of lading that the incorporation extended to at least some ancillary clauses concerned with choice of law and dispute resolution and was not confined to terms which were “germane to the shipment, carriage and delivery of the goods” (2). (10) It followed from (9) that “the consignee is equally bound by a clause in the charterparty which can be identified as the clause which the parties to the bill of lading contract clearly had in mind when referring to the charterparty “law and arbitration clause”, at any rate provided that (as here) the clause in question is one that was usual in the trade”, and the judge so concluded: see [48]. 13. After reaching his conclusion, the judge stated (at [49]) that he was reinforced in it by the decision of Gloster J in YM Mars Tankers Ltd v Shield Petroleum (Nigeria) Ltd [2012] EWHC 2652 (Comm). In that case the bill of lading was on the Congenbill form and used the standard wording incorporating the “law and arbitration clause” of the charterparty. The relevant clause in the charterparty provided that disputes involving sums less than US$50,000 were to go to arbitra- tion in accordance with the LMAA small claims procedure, but disputes involving a sum in excess of that were to be subject to the jurisdiction of the English court. Gloster J rejected the submission that the bill of lading did not, on its true construction, provide for the hurisdiction of the English court over a claim for an amount in excess of US$50,000. She stated (at [30]) that “it would be un-

(2) The phrase used in the authorities since at least TW Thomas & Co. Ltd. v. Portsea Shipping Co. Ltd [1912] AC 1, and see [15] below.

159 commercial to suggest that, simply because the ‘law and litigation clause’ in the Head Charterparty provides that the arbitration should be limited to disputes below a certain level, that somehow meant that only the arbitration provision should be carved out for the purpose of the bill of lading”. She also stated that it would be “absurd” to suggest that, once the claim threshold is exceeded, no jurisdictional provisions are incorporated. 14. The judge recognized that case is not on all fours with this case but (at [50]) considered that it “demonstrates that the question for decision is a question of construction of the bill of lading and that, at least in some circ*mstances, a reference to ‘arbitration’ in the bill of lading may properly be read as providing for court jurisdiction...”.

Analysis of the appellants’ case 15. English law has long recognized the particular need for certainty that follows from the negotiable nature of a bill of lading, which may come into the hands of a person in another jurisdiction who has no ready means of ascertaining the terms of the charterparty. It has developed special rules for the incorporation of the terms of the charterparty into the bill of lading. These include the now well-established principle that general words of incorporation in the bill of lading only incorporate provisions from the charterparty which are directly “germance” or “relevant” to the shipment, carriage, discharge and delivery of the cargo and not charterparty terms such as arbitration and jurisdiction clauses which are ancillary. That principle and the authorities in this frequently litigated area are discussed by Sir Guenter Treitel in Carver on Bills of Lading (3ʳ ed) § 3-021 - 3-023. 16. The appellants’ case in this court was substantially the same as that put to the judge. Mr. Whitehead relied on the ordinary and natural meaning of the words of the reference in the bill of lading to the “law and arbitration clause”, which he submitted was plainly a reference to an agreement to arbitrate and not to one submitting disputes to the exclusive jurisdiction of a particular national court. He also relied on five other matters. The first was the principle that general words of incorporation in the bill of lading do not suffice to incorporate ancillary terms of the charterparty. He argued that in this context the interests of commercial certainty are paramount, particularly where what is at issue is the meaning of a standard term in a widely used form of bill of lading. The others were precedent, inconsistency of the jurisdiction clause in the charterparty and the express termis of the bill of lading, the presumption against surplusage in commercial contracts, and the decision of this court in The Merak [1965] P 223, which he submitted decided that the court is not able to correct a mistake in the bill of lading. 17. At various points in his submissions, Mr Whitehead contended that, because of the need for certainty and clarity, particularly in relation to the provisions of a standard form, the charterparty is not part of the admissible background to construing words in a bill of lading and that it should never be necessary to look beyond the words of the bill of lading to ascertain what clauses of the charterparty are incorporated. He, however, accepted that even this may not, in fact, achieve the certainty which he maintained was paramount because knowing from the words of the bill of lading that it was subject to an arbitration

160 clause in the charterparty, although sufficient for the clause to be incorporated, would not identify the seat of the arbitration or the nature of the tribunal. He was unable to give a reason of principle justifying that departure from the certainty for which he contended, and relied simply on the fact that it was estabilished by authorities binding on this court. 18. As to the distinction in the authorities between the insufficiency of the words “all the terms” in the bill of lading’s incorporation clause to incorporate an arbitration clause (3) and the fact that the words “all the ... clauses” which (subject to a test of consistency) has been held to be sufficient to do so (4), Mr Whitehead’s inability to give a reason of principle for this reflects the approach of Bingham LJ, in The Federal Bulker (5), and Hobhouse J and Oliver LJ, in The Varenna (6). They appeared to justify the distinction simply on the ground that earlier decisions had so interpreted the use of the words “all the ... clauses” in an incorporation clause in a bill of lading. 19. In The Varenna, Oliver LJ, describing himself as a tyro in the area, observed that it was “discouraging .. to find what appears to be a simple construc- tion point overlaid by a great weight of authority which it is claimed, compulsively restricts the inquiry to predestinate grooves” (7). It is, however, not surprising in a commercial context, that where a settled construction has been given to a particular form of words, courts will recognise that other commercial parties are entitled to rely and act on it. (8) If, however, a settled construction involves courts having to make fine distinctions between the particular form of words given the construction and very similar forms of words that cannot be explained by reference to differences in the ordinary meaning of the two forms of words or the objectively ascertained intention of the parties, the certainty achieved may come at a cost. That cost arises because any deviation from the form that has been sanctified by the construction may lead to a different result which can be explained only in formal terms and not on the basis of any substantial linguistic difference or principle. While the consequent complexity may not, in itself, be objectionable, ultimately such differences may not be healthy for the coherence of the law and perceptions as to its fairness. 20. Mr Whitehead’s starting point was to seek to rely on the ordinary and natural meaning of the words “arbitration clause” in the bill of lading. The literal meaning of the words themselves is obvious. However, the modern approach (9)is to construe a contract in its context, and the relevant question here is whether, as the judge found, in all the circ*mstances of this case the words had another meaning. I acknowledge, as the judge did, the particular need for certainty in this context: see the summary of the judge’s views at [12 (1)] above. But, as Mr

(3) E.g. The Federal Bulker [1989] 1 Lloyd’s Rep 103. (4) E.g. The Merak [1965] P 223 (discussed at [32] ff below) and The Annefield [1971 - P 168. (5) [1989] 1 Lloyd’s Rep 103 at 107-108. (6) [1984] QB 599 at 608 and 621-622. (7) Ibid., at 618. (8) See Sir Guenter Treitel in Carver on Bills of Lading (3 ed) §§ 3-014 and 3-034. (9) See the cases cited at [32] below.

161 Whitehead acknowledged (see [17] above), even the approach for which he contends will not provide full certainty. 21. The next question is the legitimacy of looking beyond the words of the bill of lading and considering the language of the charterparty. This may arise in two situations. The first in when considering the initial question of incorporation of charterparty terms into the bill. The second is whether language in the bill which prima facie suffices to incorporate a charterparty clause will not be effective because the language of the charterparty clause is inconsistent with it or because the words of the charterparty cannot be “verbally manipulated” to reflect their operation in the different context of a bill of lading contract. This case is concerned only with the first, the initial question of incorporation of charterparty terms into the bill, and I make no observations on the second situation. 22. I turn to the legitimacy of looking beyond the terms of the bill of lading when considering the initial question of incorporating charterparty terms into it. Gross J (as he then was) stated in The Siboti (at [26]) that the more recent decisions in The Varenna and The Federal Bulker provide Court of Appeal authority for the proposition that the inquiry not only begins but ends with the bill of lading, but that the authorities do not all speak with one voice. He, however, made it clear (at [29] and [33]) that he considered the more recent authorities to be correct. He did not have to resolve any differences between their approach and the approach in the earlier decisions in The Annefield [1971] P 168 and The Merak [1965] P 223. Nor, for the reasons I give at [26]-[29] below, does this court. 23. The next limb of Mr Whitehead’s submissions is precedent. He maintai- ned that the words “... and arbitration clause” in the Congenbill form have a settled meaning in the case law, which establishes that they incorporate the charterparty arbitration clause. He relied on The Delos [2001] 1 Lloyd’s Rep 703 at [12] per Langley J, and on the earlier decisions, The Rena K [1979] QB 377 at 390-391 and The Nerano [1994] 2 Lloyd’s Rep 50 at 55, [1996] 1 Lloyd’s Rep 1 at 4, considered in that case. I do not consider that Mr Whitehead is assisted by those cases. 24. The Delos is distinguishable because the charterparty in that case contai- ned separate clauses dealing with governing law and arbitration (clause 13) and venue and arbitration (clause 18). Langley J held that the reference in the Congen bills to “the law and arbitration clause” of the charterparty was sufficient only to incorporate clause 13. It was obvious that the reference to “the law and arbitration clause” incorporated the arbitration clause in the charterparty. Clause 13 was fact a law and arbitration clause. The position in the charterparty in that case is different to that in this case. Although the reference in the bill of lading in that case was to a single clause in the charterparty, there were two separate clauses in the charterparty. The charterparty dealt with venue and arbitration in clause 18 but with law and arbitration in clause 13. It is not surprising a reference in the bill of lading in this case is also to a single clause of the charterparty. However, because clause 5 of the AmWelsh form of charterparty which zas incorporated into the charterparty in this case is a single clause dealing with law and jurisdiction, there is only one charterparty clause with the potential to be incorporated.

162 25. The Rena K was principally concerned with the question of manipulation of words in a charterparty to give effect to it in a bill of lading contract, and not the question before this court. The Nerano was principally concerned with whether there was inconsistency with a provision on the face of the bill of lading in that case that “English law and jurisdiction applies” and clause 1 of the conditions of carriage on the back of the document, which provided inter alia “all terms and conditions liberties exceptions and arbitration clause of the charterparty, dated as overleaf, are herewith incorporated”. 26. I turn to Mr Whitehead’s reliance on the principle that general words of incorporation in a bill of lading, even if they are comparatively wide, are insuffi- cient to incorporate provisions of the charterparty such as arbitration and juri- sdiction clauses which are ancillary in the sense of not being directly relevant to the shipment, carriage, and delivery of the goods. It is important to remember that this principle about the effect of general words is an exception to the general approach of English law which in principle accepts incorporation of standards terms by the use of general words (10). Although in some cases the distinction between “general” words and “spe- cific” words may not be as clear as it appears at first sight to be (11), that is not a problem in this case. Caresse do not seek to rely on some generic phrase referring to a group of charterparty terms as referring to the ancillary clause. The bill of lading specifically refers to and seeks to incorporate one kind of ancillary clause, an arbitration clause. 27. The issue in this case is thus not the effect of general words falling within the exception. It is as to the effect of a specific reference in the bill to one kind of charterparty ancillary provision and the construction of the words “law and arbitration clause” in the bill of lading, in particular the word “arbitration”. Does the fact that the clause in the bill of lading is effective to incorporate one kind of ancillary clause mean that, in the context of the case, it can properly be read ad meaning another kind of ancillary clause, a jurisdiction clause? For that reason and those given by the judge (see [43], summarized at [12 (4) and (5)] above), Mr Whitehead’s reliance on the principle about the insufficiency of general words is misplaced. 28. Once it is recognized that the question is one of construction, it is established that the rules that apply to the construction of contracts generally are applicable to the construction of the bill of lading. The words of the bill must be looked at as a whole in their context (12). In The Siboti Gross J stated (at [36]) “[i]n every case, the Court is seeking to ascertain the intention of the parties and, when construing the language, it is necessary to have regard to the individual context and commercial background”. 29. It is true that, in The Siboti Gross J held that the “governing law/dispute resolution” clause in the charterparty which provided that “all bills of lading under

(10) See e.g. The Athena [2006] EWHC 2530 (Comm) at [65] per Langley J. (11) See Sir Guenter Treitel in Carver on Bills of Lading (3 ed) § 3-016. (12) See e.g. The Nerano [1996] 1 Lloyd’s Rep 1, at. 3.

163 this Charter Party shall incorporate this exclusive jurisdiction clause” was not incorporated into the bill of lading. The cargo interests’ submissions about the effect of that case, however, significantly underplay an important distinction between it and the present case. In that case the incorporation clause in the bill of lading did not supply the date of the charterparty, the names of the parties to it or contain an explicit reference to any dispute resolution clause in the charterparty. So all that it contained were “general words” of the sort that do not suffice. Gross J stated (at [48]) that the only bridge between the bill of lading and the charter- party relied on by the claimant in that case was the governing law/dispute resolution clause in the charterparty. But, what had to be construed to determine the initial question whether an ancillary term in the charterparty was incorporated into che bill, were the terms of the bill of lading, not those of the charterparty. The case was thus a classic example of the application of the proposition that general words of incorporation in a bill of lading are, even if they are comparatively wide, insufficient to incorporate ancillary provisions of the charterparty. In the present case, there are two bridges in the bill of lading. The first, ineffective in itself, is the date of the charterparty. The second bridge consists of the words “law and arbitration clause” in the bill of lading’s incorporation clause. 30. Mr Whitehead also submitted that the clauses in the charterparty in this case are inconsistent with the provisions in the bill of lading. Accordingly, they cannot and will not be incorporated. This part of his argument overlapped with that based on the ordinary natural meaning of the words in the bill of lading. A reference to an arbitration clause, he maintained, is not a reference to a jurisdic- tion clause. Accordingly, incorporating a jurisdiction clause from the charterparty is inconsistent with the express provision in the bill of lading. I reject the submission that the reference to an arbitration clause is inconsistent with the incorporation of the jurisdiction clause in the circ*mstances of this case. As the judge stated (at [43], summarized at [12 (5)] above), in this context the question is not one of incorporation but of construing the meaning of the word used in the bill of lading. It is only after a meaning is attributed to it that one can consider whether there is a problem of inconsistency. Moreover, the argument that the clauses are inconsistent has an element of circularity because it proceeds on the basis of an assumption about the meaning of the words of incorporation rather than deter- mining that meaning by the usual means and then considering whether there is inconsistency. 31. I also reject the submission based on The Eurus [1998] 1 Lloyd’s Rep 351 at 357 that because it is well-estabilished that, in the interpretation of commercial contracts, the presumption against surplusage is of little value it followed that there is no need to strive to search for an alternative to the term “arbitration clause” in the incorporation provisions in the bill of lading. Mr Whitehead’s approach would denude the words of any meaning. The argument that the words meant “arbitration clause if any” is in my judgment wholly uncommercial because the original parties to the bill of lading (Glencore and Caresse) knew or must be taken to have known of the terms of the charterparty and thus that it did not contain an arbitration clause. This is particulary so since they chose to repeat the wording of clause (1) of the printed conditions of the Congenbill form in the typed clause on the front of the bill of lading.

164 32. Finally, I turn to The Merak [1965] P 223 and its effect. An important component of Mr Whitehead’s submissions was the proposition that in The Merak this court held that it is not impossible to read the words of a bill of lading in a way which seeks to correct what was said to be an obvious mistake in it. It followed, he argued, that there is no justification in principle or on the authorities, as a matter of construction, for reading a reference to the arbitration clause in the incorporation clause of the bill of lading in this case as a reference to a jurisdiction clause in the charterparty which he contended was wholly inept and irrelevant to the bill of lading. Before setting out the material terms of the bill of lading and charterparty in that case, and considering the judgments, I observe that it is a case that predates the modern contextual approach to construction and implication in cases such as Chart- brook Ltd. v Persimmon Homes Ltd. [2009] UKHL 38, reported at [2009] 1 AC 1101, and its precursors notably Mannai Investment Co. Ltd. v Eagle Star Life Assurance Co. Ltd [1997] AC 749 at 774 (per Lord Hoffmann), and see also 767E-768D, 770F- 771B, and 772H (per Lord Steyn), and Investors Compensation Scheme Ltd. v West Bromwich BS [1998] 1 WLR 896, at 912-913 (per Lord Hoffmann). 33. The charterparty in The Merak, dated 21 April 1961, was on the Nubal- twood form. It provided that the bills of lading should be prepared in the form endorsed upon the charter “... and all terms, conditions, clauses (including clause 32 [the arbitration clause]) .. as per this charter”. The bill of lading stated that the voyage was “as per charter dated April 21, 1961” and contained a clause incor- porating “all the terms conditions, clauses ... including clause 30 contained in the said charterparty”. The arbitration clause in the former version of the Nubaltwood form of charter was clause 30, but clause 30 of the form used in The Merak was concerned with the shipowner’s right to substitute another vessel and had no relevance to the bill of lading contract. 34. The plaintiffs issued proceedings under the bill of lading against the shipowner in respect of damage to the cargo, contending that the arbitration clause was not incorporated into the bill of lading. The court rejected this contention, unanimously holding that the words “including clause 30” in the bill of lading’s incorporation clause were mere surplusage and could be struck out and that the remaining words of the clause were adequate and effective to incorporate the arbitration clause in the charterparty. 35. In reaching that conclusion, although Davies and Russel LJJ (at 254G and 259D) stated that a bill of lading, as a negotiable instrument, must be construed according to its terms without reference to any extrinsic facts or documents, they in fact relied on the fact that the charterparty expressly provided in clause 32 that that clause applied to disputes arising out of the bills of lading. Davies LJ (at 254) stated that since the bill referred to the charter it was impossible to construe the bill without reference to the charter, and Russell LJ (at 259) relied on the fact that the charterparty arbitration clause expressly referred to disputes arising out of “any bill of lading issued hereunder”. Sellers LJ stated (at 250) “[T]he incorporating clause is clear and wide, and to be understood requires a reference to the charterparty. In order to discover what the terms of the bill

165 of lading are, that is to construe or interpret it, the holder has to refer to the charterparty and select therefrom the clauses which apply”.

It is possible that the language used means that insufficient attention was paid to the differences between the two situations to which I refer at [21] about the question of considering the language of the charterparty. This part of the decision may, in the light of the subsequent decisions in The Varenna and The Federal Bulker, only be justifiable because of the use of the word “clauses” in the bill of lading’s reference to the charterparty: see The Siboti at [46 (ii) and (iii) and see my observations at [20]-[21] above. This is because the court’s reliance on the provisions of the charterparty in construing the incorporation clause in the bill of lading may not reflect the more modern approach: see The Siboti at [26]-[29]. 36. What Mr Whitehead relied on as the basis on which a majority of the court, Sellers LJ dissenting, rejected another argument advanced for holding that the arbitration clause was incorporated. Davies and Russell LJJ stated that was no justification, as a matter of construction, for reading the incorporation clause in the bill of lading as if the reference to clause 30 was a reference to the arbitration clause, clause 32, because this would be contrary to all the canons of construction. Mr Whitehead submitted that The Merak is therefore binding authority for the proposition that there is no power to correct a mistaken reference in a bill of lading in the way the judge did when acceding to Caresse’s submissions. He relied in particular on the words of Russell LJ at 259 that: “it is true that clause 30 is wholly irrelevant to the bill of lading and must have been inserted in error. But there is no room for the application of the maxim falsa demonstration non nocet cum decorpore constat for there is no corpus evident, as there would have been had the bill said ‘including clause 30 (arbitration)’.”

He also relied on the statements of Davies and Russell LJJ at 254G and 259D to which I refer at è [35] above. 37. In my view, Mr Whitehead is not assisted by The Merak. In concluding that the court is not entitled to remedy an obvious mistake Davies and Russell LJJ took what to modern eyes is a very old.fashioned and outdated approach to interpretation. The case was described as “an unusual case” by Bingham LJ in The Federal Bulker (13). In The Merak Davies LJ (at 254), but not the other two members of the court, considered that it was important that the plaintiffs, who it happened were both the charterer and the shipper, were themselves parties to the charter. Sir Guenter Treitel’s explanation of the case is inconsistent with Mr Whitehead’s submission based on it. Sir Guenter stated (14) that the unusual feature in the case was that the parties “had plainly intended to incorporate the charterparty arbitration clause and would have succeeded in doing so but for their ‘slip of drafting’, and that, “in these special circ*mstances, the Court of Appeal took account of the fact that there had been such a slip and gave effect to the

(13) [1989] 1 Lloyd’s Rep. 103 at 108. (14) Carver on Bills of Lading (3 ed) § 3-034.

166 evident intention of the original parties to the bill, even though the court was not able to correct the error by rectifying the bill”. 38. As my Lord, Sir Robin Jacob, observed during the hearing, had The Merak been decided today, in the light of Chartbrook and other decisions of the House of Lords and the Supreme Court on the construction of contracts, it is very likely that the approach of Sellers LJ in his dissenting judgment would have prevailed. Sellers LJ recognized the negotiable nature of the bill of lading and the fact that it may be acquired by a party with no knowledge of the charterparty. Despite this, he stated (at 250) that: “... [T]he bill of lading clause can properly be read by substituting ‘32’ for ‘30’ ... on two grounds. Anyone reading the charterparty, as the bill of lading holder would have to do, would know that the arbitration clause was intended, and I cannot see why the court should shut its eyes to the obvious on some technical ground of construction. A practical, not an abstract, construction is called for”. 39. I also accept Mr Byam — Cook’s submissions that The Merak,isnot authority for Mr Whitehaed’s proposition that the words of incorporation in the bill of lading must be construed and interpreted in isolation from, and without regard to, the charterparty. The majority judgments do not purport to lay down a proposition to this effect but represent a decision on the specific facts of that case. This is seen from the statements about the charterparty to which I refer at [35] above. It is seen particularly clearly from the judgment of Russell LJ who, in the passage set out at [36] above, gave an example of circ*mstances in which it would have been possible to correct a mistake. He considered that it would have been possible to do this had the bill of lading included the words “including clause 30 (arbitration)”. It also appears that the majority may have accepted the submission of Mr Willmer on behalf of the charterers (see 241) that, notwithstanding the mistake, in that case the words in the bill of lading could not be read differently. 40. Finally, I observe that the decision of this court was anticipated by Aikens LJ when refusing the cargo interests’ application for permission to appeal against the judge’s dismissal of their challenge to the Court’s jurisdiction. He stated “... the reasoning of the judge leading to the conclusion that the jurisdiction clause was incorporated is compelling...” . I respectfully agree. It is for these reasons that I concluded at the end of the hearing that the appeal was to be dismissed.

Clausole arbitrali e incorporazione nelle polizze di carico.

1. Una delle questioni sollevate di fronte al giudice inglese Mr. J Males fu, inter alia, la difficoltà di conciliare il testo della polizza di carico con la lettera del contratto di noleggio (Charter Party). Il primo infatti conteneva una espressa incorporazione della clausola arbitrale contenuta nel Charter Party,mailCharter Party non conteneva alcuna clausola arbitrale bensì la clausola sulla attribuzione della competenza all’autorità

167 giudiziaria inglese in caso di controversia. L’armatore sosteneva che il contenuto della polizza di carico e le sue specific words of incorporation provavano l’assoluta volontà delle parti di incorporare la dispute resoution clause contenuta nel Charter Party, ossia la jurisdiction clause. Il fatto che la polizza di carico menzionasse la dispute resolution clause sbagliata, ossia quella arbitrale anziché giurisdizionale, non era altro che un’inesattezza compiuta dalle parti, le quali avevano scritto erroneamente arbitration intendendo però jurisdiction. Secondo l’armatore si sarebbe trattato, pertanto, di un mero errore di scrittura, volendo senza dubbio le parti incorporare nella polizza la clausola relativa alla giurisdizione del tribu- nale inglese. A sostegno del proprio ragionamento l’armatore invocava la pronuncia della House of Lord in Chartrook Ltd v Persummon Homes Ltd, (1) in cui la corte afferma che una correzione degli errori materiali, ivi compresi quelli linguistici, è sempre possibile: l’interpretazione di un documento deve avvenire in primo luogo alla luce dell’intenzione delle parti, anziché alla stregua delle parole testuali, qualora seguendo quest’ul- time non vi sia alcun significato dal punto di vista commerciale (2). Il ricevitore e la compagnia assicurativa invece sostenevano che, così come precedentemente stabilito da varie pronunce della House of Lords, le regole per l’incorporazione si ispirano a esigenze di chiarezza e certezza e che quindi non vi era alcuna ragione di applicare la teoria dell’errore materiale o « linguistico ». Pertanto, da un lato, l’incorporazione della clausola di giurisdizione del tribunale inglese era inammissibile in quanto non espressamente richiamata nella polizza di carico, dall’altro, non essendovi nel contratto di noleggio alcuna clausola arbitrale, il riferimento ad essa contenuto nella polizza di carico si aveva per non apposto. L’assenza di qualsiasi dispute resolution clause applicabile implicava, quindi, che un’eventuale controversia dovesse essere demandata all’auto- rità giudiziaria competente per territorio secondo le regole previste in materia di conflict of law. Il giudice adito, in linea con l’orientamento espresso dalla giurispru- denza inglese da oltre un secolo, ammetteva la natura negoziabile della polizza di carico nonché le esigenze di certezza e chiarezza su cui si basano le regole speciali sull’incorporazione delle clausole contenute nei contratti di noleggio nelle polizze di carico; tuttavia riteneva che nel caso di specie si trattasse di una questione di « costruzione dei documenti » piuttosto che di incorporazione, e che il quesito a cui rispondere riguardasse che cosa le parti avevano inteso al momento della redazione della polizza di carico.

(1) [2009] UKPC 38; [2009] 1 AC 1101. (2) « [Although it is] not easily accept that people have made linguistic mistakes, particularly in formal documents [when] something must have gone wrong with the language (...) the law did not require a court to attribute to the parties an intention which a reasonable person would not have understood them to have had [emphasis added] ».

168 L’intenzione delle parti era essenzialmente quella di incorporare la clausola relativa alla risoluzione delle controversie presente nel Charter Party, ossia la clausola di giurisdizione a favore del tribunale inglese. Tale interpreta- zione, secondo il giudice, non contraddice le esigenze di chiarezza e certezza, in quanto il ricevitore sarebbe stato a conoscenza del fatto che l’incorpo- razione dei termini del Charter Party non era limitata a quelli attinenti alla spedizione, al trasporto, alla consegna delle merci (germane), ma si esten- deva altresì ad almeno « qualche clausola ancillare » connessa con la riso- luzione delle controversie. Il giudice sosteneva inoltre che, anche quando non vi erano incongruenze tra Charter Party e polizza di carico, il ricevitore della polizza di carico restava in ogni caso all’oscuro dell’esatto contenuto del contratto di noleggio, e quindi anche dei termini esatti di una eventuale clausola arbitrale in esso contenuta (ad esempio quelli relativi alla sede, alla legge che regola la procedura arbitrale, alla composizione del collegio). Il difetto di giurisdizione veniva pertanto respinto e i convenuti proponevano appello avverso la decisione di primo grado.

2. Nel giudizio di gravame la corte d’appello conferma la decisione di primo grado, dichiarando che la clausola di giurisdizione contenuta nel contratto di noleggio era validamente incorporata nella polizza di carico. La corte stabilisce infatti che, nonostante il significato letterale delle parole « arbitration clause » fosse ovvio, un approccio moderno circa l’incorporazione impone di costruire il contratto nel suo contesto, verifi- cando di volta in volta quale sia il vero significato delle parole. Muovendo dal ragionamento posto in essere nel Siboti (3) dal giudice Gross, la corte decide ancora una volta che la polizza di carico provvedeva ad incorporare « almeno una delle clausole ancillari relative alla risoluzione delle contro- versie ». Una volta stabilito che una di dette clausole trovava spazio nella polizza di carico, era una questione di « costruzione e non di incorpora- zione » determinare quale fosse l’esatta clausola da ritenersi incorporata; tale esercizio di costruzione doveva essere condotto alla luce del signifi- cato commerciale dell’intero contratto da ricavarsi in primo luogo dall’in- tenzione delle parti contrenti.

3. Mentre non è possibile delineare un principio univoco circa l’in- corporazione delle clausole arbitrali nei contratti di appalto e di fornitura, il fenomeno dell’incorporazione nelle polizze di carico sembra poter rice- vere, almeno fino alla pronuncia Channel Ranger, un inquadramento certo e rintracciabile nelle pronunce dei giudici inglesi a partire dall’inizio del ventesimo secolo. Infatti, la natura della polizia di carico, il suo carattere

(3) Siboti K/S v BP France SA (The “Siboti”) [2003] 2 Lloyd’s Rep. 364.

169 negoziabile e le esigenze di certezza nei rapporti commerciali, fanno sì che la materia meriti uno speciale trattamento rispetto agli altri contratti. Indipendentemente da alcune posizioni dottrinali in senso contrario, la seguente asserzione rappresenta un orientamento ormai consolidato nella giurisprudenza inglese: parole generali (general words) contenute nella polizza di carico, come ad esempio « all terms and conditions as per charter party are herewith incorporated », non sono sufficienti ad incor- porare nella polizza la clausola arbitrale contenuta nel contratto di noleg- gio, in quanto è richiesto a tal fine un riferimento specifico alla suddetta clausola, che si ottiene ad esempio aggiungendo le parole « including the arbitration clause ». In Thomas v. Porstsea (4)laHouse of Lord affermò per la prima volta che le ragioni sottese alla necessità di un riferimento specifico alla clausola arbitrale nelle polizze di carico derivano dal fatto che la polizza di carico, in quanto titolo di credito negoziabile, è capace di obbligare soggetti terzi diversi dai contraenti originari del contratto di noleggio, i quali potreb- bero non essere a conoscenza del suo esatto contenuto. Di conseguenza, l’incorporazione mediante general words dei termini del contratto di noleggio può riguardare solo quei termini che sono considerati attinenti (germane) alla polizza di carico, cioè tutti i termini relativi alla ricezione del carico, al trasporto, alla consegna e al pagamento del nolo. La clausola arbitrale invece non può essere considerata attinente alla polizza di carico, ma rappresenta un contratto ancillare al contrato di noleggio (5). La clausola arbitrale pertanto potrà essere soggetta a incorporazione sola- mente mediante uno specifico riferimento ad essa fatto all’interno della polizza di carico stessa. Una seconda ragione evidenziata dalla House of Lord consiste nel fatto che la clausola arbitrale preclude alle parti l’instaurazione di un procedimento di fronte alla autorità giudiziaria. Una preclusione del genere non può che essere fatta mediante un clear language, capace di farla giungere a conoscenza di tutte le parti coinvolte. Pertanto, qualora la polizza di carico volesse escludere il ricorso alla autorità giudiziaria per eventuali controversie nascenti in relazione ad essa, dovrebbe farlo in maniera esplicita e non con un riferimento generico al contratto di noleggio. Infatti, come già anticipato, il destinatario della polizza potrebbe essere ignaro del contenuto del Charter Party in virtù del quale quella polizza di carico è stata emessa. Al di là dell’orientamento consolidatosi da oltre un secolo in materia, la decisione del Channel Ranger dimostra un approccio piuttosto liberale

(4) TW Thomas & Co Ltd v. Portsea Steamship Co Ltd (The Portsmouth) [1912] A.C. 1 (HL). (5) « The arbitration clause is a self-contained contract collateral or ancillary to the substantive contract ».

170 del tribunale inglese ed una tendenza a pushing the boundaries still further, ossia a discostarsi da un metodo ritenuto ormai antiquato e ultra tecnico. Per valutare l’impatto del nuovo orientamento occorre chiedersi fino a che punto le rigide regole dell’incorporazione, consolidatesi attraverso le decisioni dei tribunali, debbano considerarsi ancora valide e necessarie a garantire il corretto funzionamento del circuito armatore-noleggiatore- ricevitore.

4. Come osservato in precedenza, il giudice di primo grado e la corte d’appello stabiliscono che il riferimento contenuto nella polizza di carico ad « almeno qualche clausola ancillare relativa alla risoluzione delle controversie » (at least some ancillary clauses concerned with choise of law and dispute resolution) renderebbe effettiva l’incorporazione della clau- sola che prevede la giurisdizione del tribunale inglese. Quando il contratto di noleggio contiene una clausola arbitrale, il destinatario della polizza non è a conoscenza del contenuto del contratto di noleggio salva l’ipotesi in cui gli venga consegnato anche quest’ultimo. Di conseguenza, tanto nel caso della clausola di giurisdizione come in quello della clausola arbitrale, il destinatario è sempre in una posizione di incertezza riguardo al suo contenuto esatto, ad esempio per ciò che attiene agli aspetti procedurali, al foro ecc. Dunque, proprio il riferimento ad « almeno qualche clausola ancillare relativa alla risoluzione delle controversie » renderebbe possi- bile, nel caso di specie, l’adattamento linguistico e l’incorporazione della clausola di giurisdizione. L’argomentazione della corte è tuttavia fallace sotto il seguente profilo: è indubbio che il destinatario della polizza di carico abbia interesse a conoscere con esattezza quale meccanismo di risoluzione delle contro- versie preveda il contratto. Ma una polizza di carico che prevede l’incor- porazione di una clausola arbitrale è già prima facie dimostrazione che una eventuale controversia tra le parti verrà risolta attraverso un meccanismo, quello arbitrale appunto, che possiede determinate caratteristiche, come ad esempio una procedura più veloce e snella, il carattere confidenziale, e infine una determinazione ad opera di esperti in materia. Vi sono senza dubbio anche aspetti che il destinatario potrà non conoscere se non mediante la trasmissione del contratto di noleggio in allegato alla polizza di carico, come ad esempio la sede, la legge che regola la procedura arbitrale o l’esatta composizione del collegio; ma come è possibile affer- mare che la questione relativa alla composizione numerica del collegio arbitrale sia essenziale tanto quanto quella relativa al fatto che la proce- dura sia regolata o meno da un pool di esperti in diritto marittimo o commerciale? Inoltre, può una situazione di incertezza circa i dettagli della procedura essere considerata di fondamentale importanza tanto quanto la consapevolezza del fatto che la controversa sarà regolata da un procedimento arbitrale? La risposta non può che essere negativa.

171 In conclusione, è possibile affermare che una polizza di carico che pre- vede l’incorporazione della clausola arbitrale contiene alcune informazioni essenziali, seppure non tutte, circa il procedimento da adottare per la ri- soluzione di una eventuale controversia futura. La tesi a riguardo del giudice di primo grado e della corte d’appello non può essere perciò condivisa.

5. Prima di valutare se la « rilettura » della clausola della polizza di carico effettuata nel Channel Ranger possa essere considerata legittima o meno, occorre soffermarsi brevemente sulla natura della modificazione operata d’ufficio e sulla sua interpretazione e applicazione in materia di polizze di carico e contratti di noleggio. In varie pronunce (6) i tribunali inglesi hanno affermato che, laddove la clausola arbitrale contenuta nel Charter Party si riferisca a controversie relative soltanto a quest’ultimo, la clausola richiede di essere modificata d’ufficio, affinché essa sia applicabile anche alle controversie relative alla polizza di carico emessa in virtù di quel contratto di noleggio. Pertanto, la clausola « any dispute under the charter party shall be settled by arbitra- tion in London » è facilmente modificabile nel seguente modo: « any dispute under this charter party as well as under the bill of lading shall be settled by arbitration in London ». L’unica gentle verbal manipulation ammissibile è però quella del contratto di noleggio, mai quella della polizza di carico. Al contrario, la manipolazione posta in essere in primo grado così come in appello riguarda la polizza di carico anziché il Charter Party; i giudici hanno sostituito la clasuola « all terms and conditions ... including the Law and the Arbitration clause, are herewith incorporated », con quella « all terms and conditions ... including the Law and Jurisdiction clause, are herewith incorporated ». Di conseguenza, la « teoria della modifica » elaborata nel corso del secolo passato non può mai assistere una simile alterazione della polizza di carico come quella fatta nel Channel Ranger.

6. Secondo il tribunale e la corte d’appello, in accordo con la pronuncia della House of Lord in Chartrook Ltd v Persummon Homes Ltd (7), la legge permette una modifica-correzione del contratto ogniqual- volta un’interpretazione letterale del testo non avrebbe, considerato il contesto, alcun senso dal punto di vista commerciale. Ancora una volta, una simile interpretazione non può essere condivisa sotto un duplice profilo: in primo luogo, essa contrasterebbe con la decisione della Court of Appeal nel caso The Merak (8). In quella occasione la corte accertò che il

(6) The Rena K [1978] 1 Lloyds Rep. 545; The Delos [2001] 1 Lloyds Rep. 703, P. 704; The Nerano [1996] 1 Lloyd’s Rep. 1, C.A. (7) [2009] UKPC 38; [2009] 1 AC 1101. (8) [1964] 2 Loyd’s Rep. 527.

172 riferimento espresso nella polizza di carico alla clausola 30 del Charter Party (diritto di sostituzione della nave) era in realtà un errore in quanto senza dubbio le parti avrebbero voluto incorporare la clausola 32 (clausola arbitrale). Secondo la corte, la massima falsa demonstratio non nocet cum de corpore constant permetteva solamente di cancellare la clausola 30 e non anche di sostituirla con la clausola 32, quindi non si arrivava a alterare la lettera della polizza di carico. Come sottolineato da Davies L.J: « to do so would be to depart from any known canon of construction; and, since the plaintiffs were not original parties to the bill of lading, rectification is impossible ». Pertanto, mutatis mutandis, la sostituzione della parola ar- bitration con jurisdiction sarebbe semplicemente non accettabile. In secondo luogo, in Chartrook Ltd v Persummon Homes Ltd la House of Lord ha espresso il principio per cui, quando dal contesto e dalle circostanze del caso concreto emerge che vi è stato qualche errore lingui- stico, « the law did not require a court to attribute to the parties an intention which a reasonable person would not have understood them to have had » (la legge non richiede che sia attribuita alle parti una volontà che una persona ragionevole non avrebbe compreso dal tenore letterario del contratto). La clausola che la House of Lord intese alterare in virtù della teoria dell’errore linguistico era però inserita in un contratto vinco- lante solamente tra le parti contraenti. In altre parole, non era uno strumento negoziabile. La polizza di carico, che invece è uno strumento negoziabile, non può essere trattato, per ciò che attiene alla sua interpre- tazione ed alterazione, come un semplice contratto. La corte d’appello, nel Channel Ranger, descrive la decisione nel The Merak come un datato approccio sull’interpretazione dei contratti, da considerarsi ormai supe- rato alla luce della recente pronuncia della House of Lord in Chartrook Ltd. Tuttavia, per le ragioni sopra esposte, la teoria dell’errore linguistico così come definita in Chartrook Ltd non può essere applicata alla polizza di carico, che in quanto titolo di credito è soggetta a regole di interpre- tazione ed alterazione differenti. Le due pronunce perciò non sono incompatibili tra loro bensì si riferiscono a due ambiti di applicazione diversi; la seconda sarà infatti applicabile solamente ai casi in cui vi sia un contratto vincolante esclusivamente tra i contrenti originari.

7. Fino ad adesso abbiamo considerato il caso, così come accaduto in occasione del Channel Ranger, in cui la polizza di carico prevede l’incorporazione della clausola arbitrale contenuta nel contratto di noleg- gio mentre quest’ultimo contiene una diversa clausola, ossia quella di giurisdizione. Tribunale e corte d’appello, confidando nella dottrina del- l’errore linguistico, concludevano che la clausola di giurisdizione era validamente incorporata nella polizza di carico. Abbiamo visto come una tale interpretazione debba essere considerata errata sotto vari profili; a questi è possibile aggiungere un ulteriore e forse

173 preponderante aspetto, ossia quello della necessità di adottare un linguaggio univoco al fine di escludere la giurisdizione dell’autorità giudiziaria. Consideriamo ora lo scenario diametralmente opposto a quello veri- ficatasi nel Channel Ranger, ossia che la polizza di carico preveda l’incor- porazione della clausola di giurisdizione mentre il contratto di noleggio contenga una clausola arbitrale. Applicando mutatis mutandi l’approccio della corte, in presenza di una simile discrepanza tra il Charter Party e la polizza di carico, la clausola arbitrale sarebbe incorporata validamente nella polizza. Di conseguenza, il destinatario e firmatario della polizza vedrebbe precludersi la possibilità di instaurare un giudizio di fronte all’autorità giudiziaria, tuttavia igno- rando di aver rinunciato a tale diritto. In tema di arbitrato commerciale internazionale è principio fondamentale riconosciuto dalle varie Conven- zioni (9) che, per essere valida, la clausola arbitrale debba essere redatta per iscritto. La ratio sottesa a tale principio consiste nel fatto che qualsiasi contraente non può essere privato del suo diritto di adire l’autorità giudiziaria se non in forza di una rinuncia esplicita a tale diritto. Appare pertanto ovvio che seguire il criterio adottato dalla pronuncia in com- mento significherebbe negare il principio, universalmente riconosciuto a tutela dei contraenti, per il quale il ricorso all’autorità giudiziaria può essere escluso solamente mediante l’utilizzo di un very clear language.

8. Ci pare che la sentenza in esame debba essere riconsiderata attentamente dalla House of Lord, la quale ha adesso l’opportunità di scegliere tra un approccio cosiddetto flessibile ed uno rigido in materia di incorporazione nelle polizze di carico delle clausole arbitrali contenute nei Charter Party. Tale decisione dipenderà indubbiamente dalle esigenze degli operatori nel settore marittimo. In altri termini, l’Alta corte dovrà valutare se il mercato è incline a supportare un metodo più flessibile, ossia volto a favorire un approccio al fenomeno piuttosto commercial-oriented, ovvero se un metodo più rigido sia ancora preferito dall’industria dello shipping, considerata l’esigenza di garantire più alta protezione ai desti- natari delle polizze di carico e la necessità di assicurare maggiore certezza nei contratti commerciali.

LORENZO MACCHI

(9) New York Convention 1958, Art. II; Arbitration Act 1996, Section 5; UNCITRAL Model Law, Art. 7 (Option 1).

174 GIURISPRUDENZA ARBITRALE

I) ITALIANA

Lodi annotati

COLLEGIO ARBITRALE (Tucci Pres., D’Addebba, De Vito), nella controversia tra X S.r.l. (avv. Sepe) e Consorzio Y (avv. Finelli); lodo reso in Bari il 24 giugno 2014.

Anticipazione degli acconti sugli onorari degli arbitri - Ammissibilità ex art. 2234 cod. civ. - Inadempimento - Rinuncia legittima all’incarico. - Anticipazione delle spese ex art. 816 septies cod. proc. civ. - Inadempimento - Caducazione del solo rapporto processuale instauratosi davanti al collegio - Ammissibilità della riproposizione della domanda davanti a un nuovo collegio arbitrale.

L’art. 816 septies cod. proc. civ. riconosce espressamente agli arbitri il potere di determinare le spese prevedibili da porre a carico di ciascuna delle parti, ma non esclude la prassi degli arbitri di richiedere nel corso del procedimento anche il versamento dell’acconto sui compensi sul presupposto della disposizione di cui all’art. 2234 cod. civ., potendo quindi gli arbitri rinunciare all’incarico in mancanza di adempimento delle parti. L’art. 816 septies cod. proc. civ., laddove prevede quale effetto legale dell’ina- dempimento delle parti al versamento anticipato delle spese prevedibili nella misura determinata dagli arbitri, che queste ultime non sono più vincolate alla convenzione di arbitrato con riguardo alla controversia che ha dato origine al procedimento arbitrale, produce la caducazione del solo rapporto processuale instauratosi innanzi al collegio, potendo quindi le stesse domande essere riproposte davanti a un nuovo organo arbitrale.

MOTIVI DELLA DECISIONE. — Con riferimento al problema sollevato dal Con- sorzio Y nelle sue memorie autorizzate in data 9 giugno 2014, p. 2, si dà atto che la X ha provveduto a versare agli arbitri, tramite assegno circolare, la quota restante dell’acconto alle parti richiesta, sicché risulta avere adempiuto a ciò che inizialmente il Collegio ha richiesto, con la conseguenza che lo stesso Collegio è, almeno per ciò che riguarda tale profilo, vincolato ad espletare il mandato ricevuto. Fatta questa premessa, rimane da risolvere il problema pregiudiziale del- l’inammissibilità del presente procedimento arbitrale, sollevato dal Consorzio Y in riferimento all’art. 816 septies cod. proc. civ.

175 Infatti, come si è già detto e come risulta incontestato, tra le parti è stata dedotta in arbitrato una precedente controversia, che si è conclusa con un provvedimento del precedente Collegio in data 18 febbraio 2013. Con tale prov- vedimento, il sopra indicato Organo Giudicante, in via del tutto preliminare ha dichiarato estinta la procedura per l’omesso mancato pagamento entro i termini stabiliti, dell’anticipazione delle spese, determinate nel verbale di costituzione e fissazione del relativo regolamento in data 8 novembre 2012. Il Collegio, nel momento stesso in cui fissava, con il richiamato verbale dell’otto novembre 2012, la prima udienza di comparizione per la data del 26 novembre 2012, chiedeva alle parti, entro la stessa data del 26 novembre 2012, il versamento della somma di E 45.000,00 (quarantacinquemila) “... a titolo di acconto sui compensi per gli arbitri nella misura di E 40.000,00 e per il segretario nella misura di E 5.000,00”; e ciò con assegno-circolare intestato al segretario, che avrebbe provveduto a ripartire la somma tra gli arbitri sulla base del titolo sopra precisato. Nel caso di specie, pertanto, gli arbitri non hanno determinato il prevedibile costo finale dell’arbitrato né hanno offerto alcun criterio per giustifi- care l’ammontare degli acconti richiesti. Rimane incontestato, però, al di là della legittimità o non del rifiuto delle parti di pagare i richiesti acconti, che il prece- dente Collegio arbitrale, con ordinanza in data 18 febbraio 2013, preso atto del mancato versamento della somma entro il termine fissato e ritenuta tardiva l’istanza depositata in data 8 febbraio 2013 di rideterminazione dell’ammontare delle spese da anticiparsi, ha pronunciato ordinanza di estinzione del procedi- mento arbitrale ai sensi dell’art. 816 septies cod. proc. civ., determinando, nella successiva data del 19 marzo 2013, con altra ordinanza, la misura degli onorari e delle spese, che riteneva dovuti dalle parti, in considerazione della ridotta sua attività. Poiché nemmeno tale liquidazione è stata accettata dalle parti, gli avv.ti nelle loro rispettive qualità di Presidente e di Arbitri componenti il Collegio arbitrale sopra individuato, in data 6 giugno 2013, presentavano ricorso ex art. 814 cod. proc. civ. al Presidente del Tribunale di Foggia, affinché, con sua ordinanza ex art. 814, comma 2°, cod. proc. civ. determinasse l’ammontare delle spese e degli onorari in misura pari a quella liquidata dal Collegio medesimo; richiesta che il Presidente del Tribunale di Foggia accoglieva solo in parte con la sua ordinanza del 14 gennaio 2014. Passando a esaminare i termini della presente controversia, secondo l’attuale difesa dellaX,ilmancato pagamento degli acconti, posto in essere dalle parti, avrebbe costituito l’esercizio di una loro legittima facoltà, sicché anche se gli arbitri hanno fatto riferimento all’articolo sopra citato per giustificare la loro ordinanza di estinzione, tale richiamo non avrebbe potuto mai legittimare il prodursi degli effetti legali previsti dall’art. 816 septies dove si sancisce, nell’ultimo comma, che, se le parti non hanno provveduto all’anticipazione delle spese nel termine fissato dal giudice, esse “... non sono più vincolate alla convenzione di arbitrato con riferimento alla controversia che ha dato origine al procedimento arbitrale”. In realtà, l’eccezione sollevata dalla X non ha alcun pregio, considerato che il precedente Collegio arbitrale, con ordinanza in data 18 febbraio 2013, ha preso atto del mancato versamento della somma entro il termine fissato ed ha ritenuto tardiva l’istanza depositata dalla X, in data 8 febbraio 2013, di rideterminazione dell’ammontare delle spese da anticiparsi. Sulla base di tale valutazione, che non risulta essere stata mai impugnata, il precedente Collegio ha pronunciato ordi-

176 nanza di estinzione del procedimento arbitrale ai sensi dell’art. 816 septies cod. proc. civ., ponendo in essere, nella successiva data del 19 marzo 2013, altra ordinanza, con la quale ha determinato la misura degli onorari e delle spese, che riteneva dovuti dalle parti, in considerazione della ridotta sua attività. Più complesse risultano le altre questioni dibattute tra le parti che perven- gono, a riguardo, ad opposte soluzioni. In primo luogo, si pone il problema se il mancato pagamento dell’anticipa- zione delle spese auto liquidate dal Collegio, determini, come sostiene il Consorzio “... l’inammissibilità dell’odierno procedimento arbitrale per l’inefficacia della clausola compromissoria per le domande già proposte nel precedente procedi- mento arbitrale”. In definitiva, il Collegio, accogliendo la sopra rilevata eccezione preliminare formulata dal Consorzio, dovrebbe dichiarare “... l’inammissibilità dell’odierno procedimento arbitrale per i quesiti già proposti, dalla ricorrente X, nel precedente procedimento arbitrale conclusosi ex art. 816 septies, cod. proc. civ.” (Memorie autorizzate Consorzio in data 9 giugno 2014, p. 10). Si tenga presente che, come esplicitamente chiarisce la difesa del Consorzio (p. 8 delle sopra richiamate Memorie autorizzate), esiste dottrina, secondo la quale la pre- visione normativa dell’art. 816 septies cod. proc. civ. determinerebbe una vera e propria causa di estinzione della convenzione di arbitrato, inquadrando la fatti- specie quale inadempimento contrattuale delle parti, grave al punto da compor- tare la risoluzione contrattuale. Precisa ulteriormente la difesa del Consorzio: “Ma, nonostante ciò rilevi ad ulteriore favore della posizione del mio rappresentato, ritengo che la clausola compromissoria abbia un’autonomia negoziale rispetto al contratto sottoscritto dalle parti”. Pertanto, l’inammissibilità dell’odierno procedi- mento vale soltanto, secondo il Consorzio, per i quesiti già proposti e non per quelli eventualmente diversi. Anche se il problema posto al Collegio risulta, per la scelta adottata dal Consorzio, più limitato rispetto a quello che, in generale, la norma da applicare ha creato, appare necessario ricostruire la disciplina della disposizione in esame. Come è noto, prima dell’entrata in vigore dell’attuale art. 816 septies cod. proc. civ., cioè per i procedimenti arbitrali nei quali la domanda di arbitrato è stata proposta prima del 2 marzo 2006, per prassi è sempre stato consentito agli arbitri di chiedere alle parti il versamento di anticipazioni sul rimborso delle spese e di acconti sugli onorari. Infatti, con riferimento alle spese, nessuno ha mai dubitato che gli arbitri non avessero alcun obbligo di esporsi a livello finanziario, nell’in- teresse delle parti e che quindi avessero, nei confronti di queste ultime, non soltanto un diritto al rimborso delle spese compiute, ma anche un diritto ad avere l’anticipazione delle stesse. D’altro canto, con riferimento agli onorari non poteva non valere il principio, ampiamente riconosciuto per il più generale contratto di prestazione d’opera intellettuale di attenuare la regola generale della postnume- razione, secondo la quale il diritto al compenso pattuito si acquista solo dopo che sia stato raggiunto il risultato al quale è diretta la prestazione d’opera richiesta; e ciò sulla base dell’art. 1719 cod. civ., dettato in tema di mandato e dell’art. 2234 cod. civ., in tema di contratto di prestazione d’opera intellettuale. Sul piano, invece, ben più complesso, delle conseguenze derivanti dall’ina- dempimento delle parti all’obbligo di anticipare le spese e di versare gli acconti sugli onorari, si riteneva giustamente che gli arbitri non potessero mai sospendere il termine per la deliberazione del lodo né, tanto meno, rifiutare di pronunciarsi

177 sulla domanda arbitrale pendente senza incorrere in un’innegabile responsabilità professionale. A riguardo, contrariamente ad alcune decisioni giurisprudenziali (v. Cass. 21 marzo 1969, n. 899), si riconosceva agli arbitri il diritto di rinunciare all’incarico ricevuto per il giustificato motivo rappresentato appunto dall’inadem- pimento delle parti. L’attuale art. 816 septies cod. proc. civ. è intervenuto a disciplinare espressa- mente la materia, ma non è chiaro nel suo contenuto. Esso ha chiaramente riconosciuto agli arbitri sia il potere di determinare le spese prevedibili da porre a carico di ciascuna delle parti sia il potere di stabilire il termine entro il quale gli anticipi stabiliti debbono essere versati. La nuova norma non esclude certamente la prassi degli arbitri di richiedere, nel corso del procedimento anche il versamento dell’acconto sui compensi, sempre sul presupposto della disposizione di cui all’art. 2234 cod. civ., sicché gli arbitri continueranno ad essere legittimati a rinunciare all’incarico in mancanza di adempimento delle parti. L’analisi specifica della norma lascia però aperti numerosi problemi, consi- derato che, secondo la lettera della stessa: (i) gli arbitri possono subordinare la prosecuzione del procedimento al versamento anticipato delle spese prevedibili; (ii) salvo diverso accordo delle parti, gli arbitri determinano la misura dell’anticipazione a carico di ciascuna delle parti medesime; (iii) se una delle parti non presta l’anticipazione richiestale, l’altra può anticipare la totalità delle spese; (iv) se le parti non procedono all’anticipazione nel termine stabilito dagli arbitri, esse non sono più vincolate alla convenzione di arbitrato con riguardo alla controversia che ha dato origine al procedimento arbitrale. Gli effetti giuridici del mancato versamento, quanto al destino della contro- versia che ha dato origine al procedimento arbitrale, sono senz’altro da chiarire. In astratto, l’imperfetta formulazione della norma e la sua specifica finalità che mira a tutelare in primo luogo gli arbitri, potrebbe fare ritenere che il mancato versamento degli anticipi non avrebbe alcun effetto sul procedimento arbitrale in corso, poiché quel mancato versamento integrerebbe soltanto un giustificato motivo di rinuncia all’incarico da parte degli arbitri. Se gli arbitri, malgrado il mancato versamento non rinunciano al mandato, la procedura arbitrale prosegue senza alcuna interruzione sino all’eventuale decisione finale. Il fatto che l’ultima parte della norma preveda come effetto legale che, se le parti non procedono all’anticipazione nel termine stabilito dagli arbitri, esse non sono più vincolate alla convenzione di arbitrato con riguardo alla controversia che ha dato origine al procedimento arbitrale, significa — nella prospettiva in esame — che il mancato versamento delle anticipazioni richieste darebbe luogo ad un giustificato motivo di rinuncia da parte degli arbitri e ad una conseguente perdita di efficacia della convenzione anche per le parti. In realtà, contrariamente all’interpretazione sopra riferita, l’ultimo comma dell’art. 816 septies prevede, come ulteriore effetto legale dell’inadempimento delle parti, che queste ultime — e non soltanto gli arbitri — non sono più vincolate alla convenzione di arbitrato con riguardo alla controversia che ha dato origine al procedimento arbitrale, sicché bisogna stabilire il contenuto di questo particolare ed autonomo effetto legale. Tale effetto legale:

178 (i) non può identificarsi con la pura e semplice risoluzione della convenzione arbitrale, con la conseguente legittimazione delle parti ad adire soltanto l’Autorità Giudiziaria Ordinaria, perché la perdita di efficacia della convenzione arbitrale è prevista soltanto in termini relativi, come ha del resto riconosciuto la stessa difesa del Consorzio (“Se le parti non provvedono all’anticipazione nel termine fissato dagli arbitri, non sono più vincolate alla convenzione di arbitrato con riguardo alla controversia che ha dato origine al procedimento arbitrale”); (ii) non può identificarsi nella pura e semplice sospensione del procedimento, ma produce la caducazione del solo rapporto processuale instauratosi innanzi al precedente Collegio con la conseguenza che anche le stesse domande, dedotte nel precedente giudizio e non decise né affrontate dal precedente Collegio, possono essere sempre riproposte dalle parti ed affrontate innanzi al nuovo Collegio; (iii) la clausola compromissoria, come riconosce la difesa del Consorzio, ha un’autonomia negoziale rispetto al contratto sottoscritto dalle parti“. (Con riferi- mento a tale tesi, l’inammissibilità dell’odierno procedimento varrebbe, soltanto, secondo il Consorzio, per i quesiti già proposti e non per quelli eventualmente diversi). Per completezza della motivazione, anche se, nel caso di specie, le domande formulate dalle parti nel presente Giudizio arbitrale fossero in ipotesi le stesse, rispetto a quelle formulate nel precedente giudizio arbitrale, a parere del Collegio, appare più corretta l’interpretazione della norma nel senso che essa, in caso di mancata anticipazione delle spese richieste alle parti, produce la caducazione del solo rapporto processuale instauratosi innanzi al precedente collegio; sicché, anche le stesse domande, dedotte nel precedente giudizio e non decise né affrontate dal precedente Collegio, possono essere sempre riproposte dalle parti ed affrontate innanzi al nuovo Collegio. Tale soluzione, infatti, consente di evitare che, come invece ritiene la difesa del Consorzio, alcuni quesiti — quelli ritenuti del tutto identici ai quesiti dedotti nel precedente giudizio arbitrale e assolutamente non esaminati dal precedente Collegio — debbano essere ormai sottoposti all’Autorità Giudiziaria Ordinaria, mentre altri quesiti, non proposti innanzi al precedente Collegio, dovrebbero essere proposti e decisi dall’attuale Collegio arbitrale, vio- lando quei principi che proprio gli artt. 31-40 del nostro codice di rito sanciscono per garantire l’unità dell’organo giurisdizionale decidente. Fermo quanto sopra in linea di principio, nel caso di specie, però, come si rileva facilmente dagli stessi scritti difensivi delle parti e dalle domande che esse stesse prospettano al Collegio (v. pagg. Omissis), a prescindere dalla fondatezza delle stesse che gli arbitri sono chiamati a valutare nel merito, appare indubbio che la controversia su cui il presente Collegio è chiamato a pronunciarsi ha ad oggetto un petitum diverso da quello che fu sottoposta al Collegio precedente nell’ambito dell’arbitrato introdotto con ricorso del 2 maggio 2012, se per petitum deve intendersi ciò che l’attore chiede in concreto al Giudice come provvedimento (Cass. 482/2009; 18792/2011). Nel presente giudizio il Collegio arbitrale: (i) è chiamato a decidere sulla richiesta della X, di pagamento della somma di E 240.000,00 (duecentoquarantamila), per lavori di sbancamento e liberazione dai rifiuti dei suoli, su cui sono stati edificati successivamente i fabbricati; (ii) è chiamato a decidere sulla richiesta della X di pagamento di E 813.916,96 (ottocentotredicimilanovecentosedici e novantasei), in base a liquidazione effet-

179 tuata dal CTU nel procedimento di accertamento tecnico preventivo, Rg. (Omis- sis) a favore della X per lavori eseguiti per suo conto dalla Z in regime di subappalto; (iii) è chiamato a decidere sulla nuova domanda della X di liquidazione della somma di E 68.871,30 (sessantottomilaottocentosettantuno e trenta), che la stessa ritiene che non le sarebbero stati pagati in occasione del 6° stato di avanzamento per una asserita erronea interpretazione della clausola del contratto di appalto; (iv) è chiamata a decidere sul quesito n. 8 attuale, che risulta completamente nuovo, in quanto non è stato mai posto al precedente Collegio arbitrale; (v) è chiamato a decidere per la prima volta sulla fondatezza di una domanda di condanna riconvenzionale, che se pure preannunciata nel precedente giudizio, non è mai stata formulata nei suoi termini esatti di domanda di condanna, non essendosi in quella sede dato luogo ad alcuna attività istruttoria. (Omissis).

Anticipazione degli acconti e delle spese per lo svolgimento dell’arbitrato e conseguenze del mancato adempimento delle parti.

1. Il lodo arbitrale in esame, definito dal collegio parziale, è incen- trato sulle conseguenze del mancato versamento di una somma che era stata specificamente richiesta alle parti da un primo collegio arbitrale « a titolo di acconto sui compensi degli arbitri », il conseguente provvedi- mento con cui il collegio arbitrale « preso atto del mancato versamento della somma entro il termine fissato » aveva « pronunciato ordinanza di estinzione del procedimento ai sensi dell’art. 816 septies cod. proc. civ » e il rapporto che tale vicenda produce su un successivo giudizio arbitrale in cui le stesse domande (1) siano riproposte insieme con altre domande che non erano oggetto del precedente giudizio arbitrale. In tale contesto il collegio arbitrale si pone e risolve due questioni che sono punti nodali dell’interpretazione dell’art. 816 septies cod. proc. civ. La prima di esse riguarda l’esegesi della disposizione, che si riferisce alle sole « spese prevedibili », lasciando il dubbio se tale termine possa essere comprensivo anche di acconti sugli onorari degli arbitri; la seconda, che costituisce il punto centrale del lodo, è invece relativa agli effetti che l’applicazione della norma produce sulla convenzione di arbitrato. Il primo tema viene affrontato dagli arbitri per affermare la compa- tibilità tra la prassi di richiedere in via anticipata anche la liquidazione di parte dei compensi degli arbitri e la norma introdotta dalla riforma del 2006, che non tratta invece esplicitamente la questione, ma non la diretta riferibilità a questa norma del diritto agli anticipi sul compenso. Il collegio

(1) O almeno quelle che una delle parti qualifica come tali, deducendone l’inammissi- bilità a causa della pretesa sopravvenuta inefficacia della clausola compromissoria ai sensi del richiamato art. 816 septies cod. proc. civ.

180 arbitrale ricorda in proposito che a fondamento dell’uso di richiedere alle parti anticipazioni sul rimborso delle spese e acconti sugli onorari si poneva in passato il principio di attenuazione della regola generale di postnumerazione (2), la cui operatività era già riconosciuta con riferi- mento al contratto di prestazione d’opera intellettuale. Sul piano delle conseguenze derivanti dall’inadempimento delle parti all’obbligo di anti- cipazione delle spese e di versamento degli acconti, gli arbitri richiamano poi il diritto degli arbitri di rinuncia all’incarico per giustificato motivo rappresentato dall’inadempimento delle parti, derivante dall’applicazione di disposizioni contrattuali estensibili al contratto di arbitrato, quali sono gli articoli 1719 e 2234 cod. civ. in tema di mandato e di prestazione di opera intellettuale. Da qui il passaggio successivo alla disciplina costruita in proposito dalla riforma del 2006 è veloce e conclusivo. Il collegio arbitrale sottolinea infatti che il dettato normativo dell’art. 816 septies cod. proc. civ. riconosce con chiarezza agli arbitri solo il potere di determinare le spese prevedibili da porre a carico di ciascuna delle parti e quello di stabilire il termine entro il quale gli anticipi devono essere versati. Quanto agli acconti sui compensi, invece, dal silenzio normativo viene tratta la conclusione che la disposizione richiamata « non esclude certamente la prassi degli arbitri di richiedere, nel corso del procedimento anche il versamento dell’acconto sui compensi, sempre sul presupposto della disposizione di cui all’art. 2234 cod. civ., sicché gli arbitri continueranno ad essere legittimati a rinunciare all’incarico in mancanza di adempimento delle parti » (3). Il lodo è invece più analitico in ordine alle conseguenze e agli effetti del mancato pagamento delle spese prevedibili, problema quest’ultimo che viene risolto nel senso che l’art. 816 septies, comma 2, cod. proc. civ., laddove prevede che le parti « non sono più vincolate alla convenzione di arbitrato con riguardo alla controversia che ha dato origine al procedi- mento arbitrale », produrrebbe l’effetto della « caducazione del solo rap- porto processuale instauratosi davanti al precedente Collegio, con la conseguenza che anche le stesse domande, dedotte nel precedente giudi- zio e non decise né affrontate dal precedente Collegio, possono essere sempre riproposte dalle parti ed affrontate innanzi al nuovo collegio ». Per arrivare a questa soluzione il collegio arbitrale esclude espressamente che l’effetto legale preclusivo determinato dalla norma possa identificarsi con la pura e semplice risoluzione della convenzione di arbitrato, con conse-

(2) In base alla quale il diritto al compenso sorgerebbe solo dopo che sia stato raggiunto il risultato cui la prestazione è funzionale. (3) Il che avrebbe dovuto implicare nel caso di specie, che riguardava il mancato pagamento di acconti sui compensi, una pronuncia diversa da quella emanata dai primi arbitri ai sensi dell’art. 816 septies cod. proc. civ., non applicabile alla mancata anticipazione dei compensi.

181 guente legittimazione delle parti alla successiva proposizione della mede- sima azione solo in via ordinaria e ciò in ragione della circostanza che la perdita di efficacia della convenzione di arbitrato sarebbe prevista dalla norma solo in termini relativi e con riguardo esclusivo alla controversia che ha dato origine al procedimento arbitrale (4).

2. Dico subito che mentre la conclusione relativa al versamento degli acconti mi trova pienamente consenziente, non mi pare invece complessivamente condivisibile la soluzione astrattamente delineata dal collegio arbitrale con riferimento alla mancata anticipazione delle spese. Quanto al profilo degli acconti sugli onorari è vero infatti che, fino all’ultima riforma dell’arbitrato, doveva in proposito farsi riferimento (5) agli artt. 2234 e 1719 cod. civ., che prevedono rispettivamente che, salvo diversa pattuizione, il prestatore d’opera intellettuale abbia diritto all’an- ticipazione delle spese occorrenti al compimento dell’opera e, secondo gli usi, anche ad anticipi sul compenso e che al mandatario debbano essere somministrati i mezzi necessari per l’esecuzione del mandato e l’adempi- mento delle obbligazioni che a tal fine il mandatario abbia contratto a proprio nome. La situazione non è a mio avviso cambiata dopo l’entrata in vigore dell’art. 816 septies cod. proc. civ. che riguarda solo l’anticipazione delle spese prevedibili per il funzionamento dell’arbitrato, mentre nulla dispone in relazione al versamento di acconti sugli onorari degli arbitri. Il con- fronto tra gli articoli 816 septies e 814 del codice di rito mi sembra in proposito stringente. Tra i diritti degli arbitri vi è sia quello al rimborso delle spese che quello al pagamento degli onorari, ma il meccanismo rafforzato delineato dalla prima delle due norme richiamate è posto a tutela della sola anticipazione delle spese, pur intese queste in senso ampliativo (6). La norma va letta infatti come riferita a ogni spesa neces-

(4) Al fondo di questa esclusione si intravvede anche la particolarità del caso concreto, dove alla riproposizione di domande già formulate nel precedente giudizio si accompagnavano anche domande nuove, in modo tale che la soluzione esclusa avrebbe comportato la necessità di formulare davanti al giudice ordinario solo le domande oggetto del precedente procedimento concluso ai sensi dell’art. 816 septies cod. proc. civ., con prosecuzione dell’arbitrato per le altre, il che pare al collegio contrario al principio di concentrazione di liti connesse su cui si fondano alcuni istituti propri del processo di cognizione. (5) Cfr. A. BRIGUGLIO, La nuova disciplina dell’arbitrato, in Commentario a cura di A. BRIGUGLIO-E. FAZZALARI-R. MARENGO, Milano, 1994, sub art. 814, pag. 80. (6) Per l’interpretazione restrittiva delineata nel testo cfr. G.F. RICCI,inArbitrato, a cura di F. CARPI, sub art. 816 septies, Bologna, 2008, pag. 465; S. MARULLO DI CONDOJANNI, Commen- tario alle riforme del processo civile, a cura di A. BRIGUGLIO-B. CAPPONI, III, II, sub art. 816 septies, pag. 816; S. LA CHINA, L’arbitrato, Il sistema e l’esperienza, 4ª ed. 2011, pag. 104; PAOLETTI, in Commentario breve al diritto dell’arbitrato a cura di M. BENEDETTELLI-C. CONSO- LO-L. RADICATI DI BROZOLO, Padova, 2010, sub art. 816 septies, pag. 252; P.L. NELA,Le recenti riforme del processo civile, in Comm. a cura di S. CHIARLONI, sub art. 816 septies, pag. 1763 e seg., ove non viene neanche in discussione un possibile significato più ampio della norma. Per

182 saria per l’arbitrato, non solo quindi alle spese vive di trasferta degli arbitri e cose analoghe, ma anche alle spese per la segreteria, per la nomina di un consulente, per le traduzioni ecc. (7). Tuttavia, se l’art. 816 septies cod. proc. civ. deve essere preferibil- mente inteso come disposizione che si riferisce solo alle spese, seppure intese nel senso ampio richiamato, ciò non significa che agli arbitri sia precluso chiedere anticipazioni con riguardo agli onorari. In proposito, il lodo in esame ricorda correttamente che l’art. 816 septies cod. proc. civ. si limita a disciplinare la possibilità di subordinare il proseguimento del procedimento arbitrale al versamento anticipato delle spese prevedibili e ricava dalle norme contrattuali, e in particolare dall’art. 2234 cod. civ., la conclusione che, nonostante il silenzio normativo, la possibilità di richie- dere nel corso del procedimento anche il versamento degli acconti non sia da escludere. La conclusione è condivisibile perché accanto all’art. 816 septies cod. proc. civ. continuano a operare, quali fonti del diritto degli arbitri di ottenere sia le anticipazioni delle spese che quella degli onorari, le due disposizioni sostanziali richiamate dal collegio arbitrale. Il rapporto tra le parti e gli arbitri si sostanzia infatti in un contratto variamente qualifi- cato (8), ma non è dubbio che, accanto alla disciplina tipica prevista dal codice di rito, allo stesso di applichi anche quella compatibile dei tipi contrattuali della cui natura partecipa e quindi, in particolare, la disciplina del contratto di mandato e di quello di prestazione d’opera intellettuale, che può quindi servire a integrare le lacune della normativa specifica. Dalla lettura restrittiva dell’art. 816 septies cod. proc. civ. non può trarsi dunque la conseguenza che, regolando la stessa la sola anticipazione delle spese, manchi un diritto degli arbitri a richiedere anticipatamente parte dei propri compensi e che questi ultimi possano maturare e essere richiesti solo dopo la pronuncia del lodo. Il diritto agli anticipi degli onorari sussiste ed è comunque regolato dall’art. 2234 cod. civ., la cui applicazione non comporta tuttavia le conseguenze di cui alla norma

l’interpretazione ampliativa cfr. invece G.VERDE, Lineamenti di diritto dell’arbitrato, 4º ed.; Torino, 2013 pag. 97, per il quale a tale lettura non si può obbiettare « che gli arbitri non hanno il potere di imporre alle parti la determinazione dei loro compensi » Infatti, nulla esclude che, ciononostante, « essi possano subordinare l’accettazione e l’esecuzione dell’incarico arbitrale al previo deposito, a titolo di acconto, di una determinata somma, così che il deposito mai pregiudichi il diritto delle parti di ripetere le somme depositate in eccesso, qualora, a lodo sottoscritto ed essendo sorta questione sulla misura dei compensi, il giudice li determini in misura inferiore rispetto a quanto ritenuto dagli arbitri ». (7) Cfr. G.F. RICCI,inArbitrato, a cura di F. CARPI, sub art. 816 septies, Bologna, 2008, pag. 465. (8) Per un approfondimento di questi temi sia consentito il rinvio al mio volume Arbitrato, Commento agli articoli 806-840, in Commentario del codice di procedura civile a cura di S. CHIARLONI, Bologna, 2014, sub art. 813.

183 dedicata alla disciplina dell’anticipazione delle spese e si accompagna invece a effetti diversi quali sono quelli richiamati dal lodo in esame. In proposito, l’art. 2234 cod. civ. costituisce specifica esplicazione dell’obbligo di collaborazione che grava su chi richiede una prestazione d’opera intellettuale, così da porre il prestatore in condizioni di dare inizio e di proseguire la propria opera e, sotto altro profilo, vale a mitigare la regola della postnumerazione, secondo cui il diritto al compenso pattuito si matura una volta posta in essere una prestazione tecnicamente idonea a raggiungere il risultato cui la stessa è diretta. Credo quindi che la norma sostanziale richiamata attribuisca al prestatore, salva diversa pattuizione, un vero e proprio diritto all’anticipazione, potendo quindi gli arbitri, in mancanza di patto contrario, pretenderne il pagamento (9). Ciò significa che gli arbitri, nonostante il silenzio dell’art. 816 septies cod. proc. civ., hanno un vero e proprio diritto alle anticipazioni degli onorari e potranno quindi subordinare al loro pagamento le prestazioni richieste attraverso il meccanismo tipico dell’eccezione di inadempimento. Le conseguenze delle mancate anticipazioni possono dunque condurre gli arbitri alla rinuncia al loro incarico, ma senza che vi siano sul vincolo compromissorio le conseguenze delineate dall’art. 816 septies cod. proc. civ.

3. Queste ultime sono tuttavia a mio avviso diverse da quelle delineate dal collegio arbitrale e attengono proprio alla caducazione del vincolo compromissorio, seppure in relazione alla sola controversia che ha dato origine al procedimento arbitrale. Accordando agli arbitri la facoltà di subordinare la prosecuzione del procedimento al versamento anticipato delle spese prevedibili, il legisla- tore ha infatti articolato un meccanismo complesso, volto al raggiungi- mento della certezza che le parti non intendano adempiere e che con ciò accettino la conseguenza della perdita di efficacia del patto di arbitrato a favore del potere decisorio del giudice togato con riferimento alla contro- versia in atto. Dopo la determinazione della misura dell’anticipazione a carico di ognuna delle parti, che avviene secondo una valutazione discre- zionale, le parti stesse sono infatti libere di effettuare o meno le anticipa- zioni richieste. Tuttavia, in mancanza di versamento di una di esse, all’altra è lasciata la scelta di provvedere per intero al versamento, sostituendosi così anche all’altra parte nel pagamento, oppure di abban- donare la procedura arbitrale in favore della giustizia ordinaria. Il legislatore ha quindi consentito alla parte adempiente la scelta di coltivare l’arbitrato attraverso l’anticipazione di quanto dovuto anche dall’altra parte, oppure di ricorrere al giudice ordinario qualora l’antici-

(9) Cfr. Cass., sez. I, 10 novembre 2006, n. 24046.

184 pazione totale appaia esorbitante, o comunque tale da non essere prefe- ribile alla rinuncia alla giustizia arbitrale per la controversia in atto. Per aversi certezza della consapevolezza e volontà di veder caducato il vincolo compromissorio, il legislatore ha poi stabilito che gli arbitri debbano fissare un termine perentorio per il pagamento degli anticipi sulle spese. Ciò significa che il meccanismo funziona attraverso la fissazione di un duplice termine: dapprima quello originario disatteso da almeno una delle parti e poi quello successivo che gli arbitri sono tenuti a fissare per dare modo all’unica parte adempiente di surrogarsi all’altra, oppure a en- trambe le parti di pagare, pena la caducazione del vincolo arbitrale limitatamente alla causa già attivata. Se le parti non provvedono al pagamento, gli arbitri possono poi emanare una pronuncia di rito, che al contempo dia atto dell’inadempi- mento delle parti e del determinarsi dell’operare della causa di non proseguibilità dell’arbitrato, con caducazione della convenzione di arbi- trato limitatamente alla causa stessa. Dopo di ciò le parti sono libere di riproporre l’azione in via ordinariaeamepare che una sua eventuale nuova formulazione in via arbitrale non possa che essere concordata tra le parti stesse, anche eventualmente in modo implicito per il tramite della mancata eccezione di attuale inesistenza del patto compromissorio di cui all’art. 817 cod. proc. civ. Che questo sia l’effetto del modo di operare dell’art. 816 septies cod. proc. mi sembra derivare da un confronto sistematico con altre disposi- zioni che regolano il sistema dell’arbitrato (10). La norma da ultimo richiamata costituisce infatti una voluta deroga all’art. 808 quinquies cod. proc. civ. ed è basata su una ratio del tutto diversa. In quest’ultimo caso il legislatore ha avuto cura di precisare che la chiusura del procedimento arbitrale senza una pronuncia di merito non toglie efficacia alla conven- zione di arbitrato, risultato quest’ultimo già immanente nel sistema; con l’art. 816 septies cod. proc. civ. lo stesso legislatore ha voluto invece creare un’ipotesi in cui, a seguito dell’inadempimento delle parti, alla chiusura in rito del procedimento consegue anche la caducazione del patto arbitrale, proprio in deroga alla norma generale. Con ciò si è consentito alle parti, in una logica del tutto diversa, di ovviare ai costi dell’arbitrato scegliendo la via alternativa del giudice togato.

4. Credo dunque che l’art. 816 septies cod. proc. civ. disponga in modo non equivoco che l’inadempimento delle parti alla richiesta di anticipazione effettuata dagli arbitri conduce alla caducazione del patto

(10) Cfr. invece in senso difforme M. COMASTRI-A. MOTTO, La nuova disciplina dell’ar- bitrato, Comm. a cura di S. MENCHINI, sub art. 816 septies, Padova, 2010, pag. 277, sulla base di considerazioni critiche sulla ragionevolezza della norma e di un’esigenza di parallelismo, che non mi sembra condivisibile, con l’art. 808 quinquies cod. proc. civ.

185 compromissorio, pur limitatamente alla causa oggetto del procedimento arbitrale. Il che significa che l’inefficacia sopravvenuta del patto compro- missorio riguarda solo la lite già proposta agli arbitri, rimanendo per il resto immutato il vincolo arbitrale con riferimento a ogni diversa lite che dovesse insorgere inter partes e che sia ricompresa nella sfera di efficacia di quella convenzione di arbitrato. È vero che in un caso come quello prospettato dal lodo in esame ciò significa che la sola controversia già prospettata in sede arbitrale trovi una preclusione alla sua nuova decisione in via arbitrale (11), mentre le do- mande nuove mai precedentemente formulate continuino a dover essere proposte agli arbitri, salvo diversa volontà comune delle parti (12), ma questo è un effetto legato al chiaro meccanismo costruito dal legislatore con l’art. 816 septies cod. proc. civ. Se le parti « non sono più vincolate alla convenzione di arbitrato con riferimento alla controversia che ha dato origine al procedimento arbitrale », ciò significa che, a meno di nuova stipulazione compromissoria, esse non possono che adire il giudice ordi- nario con riferimento a quella lite; la soluzione prospettata dal collegio arbitrale implica invece il permanere del vincolo alla convenzione di arbitrato, con una lettura rettificativa del testo normativo che a me desta perplessità. Va ancora segnalato, tuttavia, che dall’ultima parte della motivazione del lodo si evince che il tema trattato ha nel caso di specie consistenza meramente teorica, perché il collegio arbitrale considera le domande pendenti davanti a sé integralmente nuove e diverse rispetto a quelle prospettate dalle parti nel primo arbitrato. Da questo punto di vista la soluzione finale proposta dal lodo appare quindi in ogni caso corretta, perché la perdita di efficacia del patto compromissorio prevista dall’art. 816 septies cod. proc. civ. è relativa e riguarda la sola controversia che ha dato origine al procedimento arbitrale e non altre. Domande diverse sono e rimangono quindi proponibili in via arbitrale, posta la permanente efficacia inter partes della convenzione di arbitrato.

LAURA SALVANESCHI

(11) Inesorabilmente destinata al rilievo a seguito della eccezione formulata in arbitrato da una delle parti, che attesta la mancata volontà di quest’ultima di addivenire comunque a una nuova compromissione della lite. (12) Diversa volontà che è pur sempre ipotizzabile, data la già manifestata intenzione delle parti di non confermare la propria scelta per l’arbitrato attraverso un comportamento concludente qual è la mancata corresponsione delle anticipazioni sulle spese.

186 DOCUMENTI E NOTIZIE

Le nuove “Arbitration Rules” della London Court of Inter- national Arbitration.

Si pubblica qui di seguito il testo delle nuove “Arbitration Rules” della LCIA, in vigore dal 1º ottobre 2014.

Preamble Where any agreement, submission or reference howsoever made or evidenced in writing (whether signed or not) provides in whatsoever manner for arbitration under the rules of or by the LCIA, the London Court of International Arbitration, the London Court of Arbitration or the London Court, the parties thereto shall be taken to have agreed in writing that any arbitration between them shall be conducted in accordance with the LCIA Rules or such amended rules as the LCIA may have adopted hereafter to take effect before the commencement of the arbitration and that such LCIA Rules form part of their agreement (collectively, the “Arbitration Agreement”). These LCIA Rules comprise this Preamble, the Articles and the Index, together with the Annex to the LCIA Rules and the Schedule of Costs as both from time to time may be separately amended by the LCIA (the “LCIA Rules”).

Article 1 Request for Arbitration 1.1 Any party wishing to commence an arbitration under the LCIA Rules (the “Claimant”) shall deliver to the Registrar of the LCIA Court (the “Registrar”) a written request for arbitration (the “Request”), containing or accompanied by: (i) the full name and all contact details (including postal address, e-mail address, telephone and facsimile numbers) of the Claimant for the purpose of receiving delivery of all documentation in the arbitration; and the same particulars of the Claimant’s legal representatives (if any) and of all other parties to the arbitration;

187 (ii) the full terms of the Arbitration Agreement (excepting the LCIA Rules) invoked by the Claimant to support its claim, together with a copy of any contractual or other documentation in which those terms are contained and to which the Claimant’s claim relates; (iii) a statement briefly summarising the nature and circ*mstances of the dispute, its estimated monetary amount or value, the transaction(s) at issue and the claim advanced by the Claimant against any other party to the arbitration (each such other party being here separately described as a “Respondent”); (iv) a statement of any procedural matters for the arbitration (such as the arbitral seat, the language(s) of the arbitration, the number of arbitrators, their qualifications and identities) upon which the parties have already agreed in writing or in respect of which the Claimant makes any proposal under the Arbitration Agreement; (v) if the Arbitration Agreement (or any other written agreement) howsoever calls for any form of party nomination of arbitrators, the full name, postal address, e-mail address, telephone and facsimile numbers of the Claim- ant’s nominee; (vi) confirmation that the registration fee prescribed in the Schedule of Costs has been or is being paid to the LCIA, without which actual receipt of such payment the Request shall be treated by the Registrar as not having been delivered and the arbitration as not having been commenced under the Arbitration Agreement; and (vii) confirmation that copies of the Request (including all accompanying documents) have been or are being delivered to all other parties to the arbitration by one or more means to be identified specifically in such confir- mation, to be supported then or as soon as possible thereafter by documentary proof satisfactory to the LCIA Court of actual delivery (including the date of delivery) or, if actual delivery is demonstrated to be impossible to the LCIA Court’s satisfaction, sufficient information as to any other effective form of notification. 1.2 The Request (including all accompanying documents) may be sub- mitted to the Registrar in electronic form (as e-mail attachments) or in paper form or in both forms. If submitted in paper form, the Request shall be submitted in two copies where a sole arbitrator is to be appointed, or, if the parties have agreed or the Claimant proposes that three arbitrators are to be appointed, in four copies. 1.3 The Claimant may use, but is not required to do so, the standard electronic form available on-line from the LCIA’s website for LCIA Requests.

188 1.4 The date of receipt by the Registrar of the Request shall be treated as the date upon which the arbitration has commenced for all purposes (the “Commencement Date”), subject to the LCIA’s actual receipt of the regis- tration fee. 1.5 There may be one or more Claimants (whether or not jointly repre- sented); and in such event, where appropriate, the term “Claimant” shall be so interpreted under the Arbitration Agreement.

Article 2 Response 2.1 Within 28 days of the Commencement Date, or such lesser or greater period to be determined by the LCIA Court upon application by any party or upon its own initiative (pursuant to Article 22.5), the Respondent shall deliver to the Registrar a written response to the Request (the “Response”), contain- ing or accompanied by: (i) the Respondent’s full name and all contact details (including postal address, e-mail address, telephone and facsimile numbers) for the purpose of receiving delivery of all documentation in the arbitration and the same particulars of its legal representatives (if any); (ii) confirmation or denial of all or part of the claim advanced by the Claimant in the Request, including the Claimant’s invocation of the Arbitra- tion Agreement in support of its claim; (iii) if not full confirmation, a statement briefly summarising the nature and circ*mstances of the dispute, its estimated monetary amount or value, the transaction(s) at issue and the defence advanced by the Respondent, and also indicating whether any cross-claim will be advanced by the Respondent against any other party to the arbitration (such cross-claim to include any counterclaim against any Claimant and any other cross-claim against any Respondent); (iv) a response to any procedural statement for the arbitration contained in the Request under Article 1.1(iv), including the Respondent’s own state- ment relating to the arbitral seat, the language(s) of the arbitration, the number of arbitrators, their qualifications and identities and any other proce- dural matter upon which the parties have already agreed in writing or in respect of which the Respondent makes any proposal under the Arbitration Agreement; (v) if the Arbitration Agreement (or any other written agreement) howsoever calls for party nomination of arbitrators, the full name, postal address, e-mail address, telephone and facsimile numbers of the Respondent’s nominee; and

189 (vi) confirmation that copies of the Response (including all accompanying documents) have been or are being delivered to all other parties to the arbitration by one or more means of delivery to be identified specifically in such confirmation, to be supported then or as soon as possible thereafter by documentary proof satisfactory to the LCIA Court of actual delivery (includ- ing the date of delivery) or, if actual delivery is demonstrated to be impossible to the LCIA Court’s satisfaction, sufficient information as to any other effective form of notification. 2.2 The Response (including all accompanying documents) may be sub- mitted to the Registrar in electronic form (as e-mail attachments) or in paper form or in both forms. If submitted in paper form, the Response shall be submitted in two copies where a sole arbitrator is to be appointed, or, if the parties have agreed or the Respondent proposes that three arbitrators are to be appointed, in four copies. 2.3 The Respondent may use, but is not required to do so, the standard electronic form available on-line from the LCIA’s website for LCIA Re- sponses. 2.4 Failure to deliver a Response within time shall constitute an irrevo- cable waiver of that party’s opportunity to nominate or propose any arbitral candidate. Failure to deliver any or any part of a Response within time or at all shall not (by itself) preclude the Respondent from denying any claim or from advancing any defence or cross-claim in the arbitration. 2.5 There may be one or more Respondents (whether or not jointly represented); and in such event, where appropriate, the term “Respondent” shall be so interpreted under the Arbitration Agreement.

Article 3 LCIA Court and Registrar 3.1 The functions of the LCIA Court under the Arbitration Agreement shall be performed in its name by the President of the LCIA Court (or any of its Vice-Presidents, Honorary Vice-Presidents or former Vice-Presidents) or by a division of three or more members of the LCIA Court appointed by its President or any Vice-President (the “LCIA Court”). 3.2 The functions of the Registrar under the Arbitration Agreement shall be performed under the supervision of the LCIA Court by the Registrar or any deputy Registrar. 3.3 All communications in the arbitration to the LCIA Court from any party, arbitrator or expert to the Arbitral Tribunal shall be addressed to the Registrar.

190 Article 4 Written Communications and Periods of Time 4.1 Any written communication by the LCIA Court, the Registrar or any party may be delivered personally or by registered postal or courier service or (subject to Article 4.3) by facsimile, e-mail or any other electronic means of telecommunication that provides a record of its transmission, or in any other manner ordered by the Arbitral Tribunal. 4.2 Unless otherwise ordered by the Arbitral Tribunal, if an address has been agreed or designated by a party for the purpose of receiving any communication in regard to the Arbitration Agreement or (in the absence of such agreement or designation) has been regularly used in the parties’ previous dealings, any written communication (including the Request and Response) may be delivered to such party at that address, and if so delivered, shall be treated as having been received by such party. 4.3 Delivery by electronic means (including e-mail and facsimile) may only be effected to an address agreed or designated by the receiving party for that purpose or ordered by the Arbitral Tribunal. 4.4 For the purpose of determining the commencement of any time-limit, a written communication shall be treated as having been received by a party on the day it is delivered or, in the case of electronic means, transmitted in accordance with Articles 4.1 to 4.3 (such time to be determined by reference to the recipient’s time-zone). 4.5 For the purpose of determining compliance with a time-limit, a written communication shall be treated as having been sent by a party if made or transmitted in accordance with Articles 4.1 to 4.3 prior to or on the date of the expiration of the time-limit. 4.6 For the purpose of calculating a period of time, such period shall begin to run on the day following the day when a written communication is received by the addressee. If the last day of such period is an official holiday or non-business day at the place of that addressee (or the place of the party against whom the calculation of time applies), the period shall be extended until the first business day which follows that last day. Official holidays and non-business days occurring during the running of the period of time shall be included in calculating that period.

Article 5 Formation of Arbitral Tribunal 5.1 The formation of the Arbitral Tribunal by the LCIA Court shall not be impeded by any controversy between the parties relating to the sufficiency of the Request or the Response. The LCIA Court may also proceed with the arbitration notwithstanding that the Request is incomplete or the Response is missing, late or incomplete.

191 5.2 The expression the “Arbitral Tribunal” includes a sole arbitrator or all the arbitrators where more than one. 5.3 All arbitrators shall be and remain at all times impartial and inde- pendent of the parties; and none shall act in the arbitration as advocate for or representative of any party. No arbitrator shall advise any party on the parties’ dispute or the outcome of the arbitration. 5.4 Before appointment by the LCIA Court, each arbitral candidate shall furnish to the Registrar (upon the latter’s request) a brief written summary of his or her qualifications and professional positions (past and present); the candidate shall also agree in writing fee-rates conforming to the Schedule of Costs; the candidate shall sign a written declaration stating: (i) whether there are any circ*mstances currently known to the candidate which are likely to give rise in the mind of any party to any justifiable doubts as to his or her impartiality or independence and, if so, specifying in full such circ*mstances in the declaration; and (ii) whether the candidate is ready, willing and able to devote sufficient time, diligence and industry to ensure the expeditious and efficient conduct of the arbitration. The candidate shall furnish promptly such agreement and declaration to the Registrar. 5.5 If appointed, each arbitral candidate shall thereby assume a continu- ing duty as an arbitrator, until the arbitration is finally concluded, forthwith to disclose in writing any circ*mstances becoming known to that arbitrator after the date of his or her written declaration (under Article 5.4) which are likely to give rise in the mind of any party to any justifiable doubts as to his or her impartiality or independence, to be delivered to the LCIA Court, any other members of the Arbitral Tribunal and all parties in the arbitration. 5.6 The LCIA Court shall appoint the Arbitral Tribunal promptly after receipt by the Registrar of the Response or, if no Response is received, after 35 days from the Commencement Date (or such other lesser or greater period to be determined by the LCIA Court pursuant to Article 22.5). 5.7 No party or third person may appoint any arbitrator under the Arbitration Agreement: the LCIA Court alone is empowered to appoint arbitrators (albeit taking into account any written agreement or joint nomi- nation by the parties). 5.8 A sole arbitrator shall be appointed unless the parties have agreed in writing otherwise or if the LCIA Court determines that in the circ*mstances a three-member tribunal is appropriate (or, exceptionally, more than three). 5.9 The LCIA Court shall appoint arbitrators with due regard for any particular method or criteria of selection agreed in writing by the parties. The LCIA Court shall also take into account the transaction(s) at issue, the nature

192 and circ*mstances of the dispute, its monetary amount or value, the location and languages of the parties, the number of parties and all other factors which it may consider relevant in the circ*mstances. 5.10 The President of the LCIA Court shall only be eligible to be appointed as an arbitrator if the parties agree in writing to nominate him or her as the sole or presiding arbitrator; and the Vice Presidents of the LCIA Court and the Chairman of the LCIA Board of Directors (the latter being ex officio a member of the LCIA Court) shall only be eligible to be appointed as arbitrators if nominated in writing by a party or parties — provided that no such nominee shall have taken or shall take thereafter any part in any function of the LCIA Court or LCIA relating to such arbitration.

Article 6 Nationality of Arbitrators 6.1 Where the parties are of different nationalities, a sole arbitrator or the presiding arbitrator shall not have the same nationality as any party unless the parties who are not of the same nationality as the arbitral candidate all agree in writing otherwise. 6.2 The nationality of a party shall be understood to include those of its controlling shareholders or interests. 6.3 A person who is a citizen of two or more States shall be treated as a national of each State; citizens of the European Union shall be treated as nationals of its different Member States and shall not be treated as having the same nationality; a citizen of a State’s overseas territory shall be treated as a national of that territory and not of that State; and a legal person incorporated in a State’s overseas territory shall be treated as such and not (by such fact alone) as a national of or a legal person incorporated in that State.

Article 7 Party and Other Nominations 7.1 If the parties have agreed howsoever that any arbitrator is to be appointed by one or more of them or by any third person (other than the LCIA Court), that agreement shall be treated under the Arbitration Agree- ment as an agreement to nominate an arbitrator for all purposes. Such nominee may only be appointed by the LCIA Court as arbitrator subject to that nominee’s compliance with Articles 5.3 to 5.5; and the LCIA Court shall refuse to appoint any nominee if it determines that the nominee is not so compliant or is otherwise unsuitable. 7.2 Where the parties have howsoever agreed that the Claimant or the Respondent or any third person (other than the LCIA Court) is to nominate an arbitrator and such nomination is not made within time or at all (in the Request, Response or otherwise), the LCIA Court may appoint an arbitrator notwithstanding any absent or late nomination.

193 7.3 In the absence of written agreement between the Parties, no party may unilaterally nominate a sole arbitrator or presiding arbitrator.

Article 8 Three or More Parties 8.1 Where the Arbitration Agreement entitles each party howsoever to nominate an arbitrator, the parties to the dispute number more than two and such parties have not all agreed in writing that the disputant parties represent collectively two separate “sides” for the formation of the Arbitral Tribunal (as Claimants on one side and Respondents on the other side, each side nomi- nating a single arbitrator), the LCIA Court shall appoint the Arbitral Tribunal without regard to any party’s entitlement or nomination. 8.2 In such circ*mstances, the Arbitration Agreement shall be treated for all purposes as a written agreement by the parties for the nomination and appointment of the Arbitral Tribunal by the LCIA Court alone.

Article 9A Expedited Formation of Arbitral Tribunal 9.1 In the case of exceptional urgency, any party may apply to the LCIA Court for the expedited formation of the Arbitral Tribunal under Article 5. 9.2 Such an application shall be made to the Registrar in writing (pref- erably by electronic means), together with a copy of the Request (if made by a Claimant) or a copy of the Response (if made by a Respondent), delivered or notified to all other parties to the arbitration. The application shall set out the specific grounds for exceptional urgency requiring the expedited forma- tion of the Arbitral Tribunal. 9.3 The LCIA Court shall determine the application as expeditiously as possible in the circ*mstances. If the application is granted, for the purpose of forming the Arbitral Tribunal the LCIA Court may abridge any period of time under the Arbitration Agreement or other agreement of the parties (pursuant to Article 22.5).

Article 9B Emergency Arbitrator 9.4 Subject always to Article 9.14 below, in the case of emergency at any time prior to the formation or expedited formation of the Arbitral Tribunal (under Articles 5 or 9A), any party may apply to the LCIA Court for the immediate appointment of a temporary sole arbitrator to conduct emergency proceedings pending the formation or expedited formation of the Arbitral Tribunal (the “Emergency Arbitrator”). 9.5 Such an application shall be made to the Registrar in writing (pref- erably by electronic means), together with a copy of the Request (if made by a Claimant) or a copy of the Response (if made by a Respondent), delivered

194 or notified to all other parties to the arbitration. The application shall set out, together with all relevant documentation: (i) the specific grounds for requir- ing, as an emergency, the appointment of an Emergency Arbitrator; and (ii) the specific claim, with reasons, for emergency relief. The application shall be accompanied by the applicant’s written confirmation that the applicant has paid or is paying to the LCIA the Special Fee under Article 9B, without which actual receipt of such payment the application shall be dismissed by the LCIA Court. The Special Fee shall be subject to the terms of the Schedule of Costs. Its amount is prescribed in the Schedule, covering the fees and expenses of the Emergency Arbitrator and the administrative fees and expenses of the LCIA, with additional charges (if any) of the LCIA Court. After the appointment of the Emergency Arbitrator, the amount of the Special Fee payable by the applicant may be increased by the LCIA Court in accordance with the Schedule. Article 24 shall not apply to any Special Fee paid to the LCIA. 9.6 The LCIA Court shall determine the application as soon as possible in the circ*mstances. If the application is granted, an Emergency Arbitrator shall be appointed by the LCIA Court within three days of the Registrar’s receipt of the application (or as soon as possible thereafter). Articles 5.1, 5.7, 5.9, 5.10, 6, 9C, 10 and 16.2 (last sentence) shall apply to such appointment. The Emergency Arbitrator shall comply with the requirements of Articles 5.3, 5.4 and (until the emergency proceedings are finally concluded) Article 5.5. 9.7 The Emergency Arbitrator may conduct the emergency proceedings in any manner determined by the Emergency Arbitrator to be appropriate in the circ*mstances, taking account of the nature of such emergency proceed- ings, the need to afford to each party, if possible, an opportunity to be consulted on the claim for emergency relief (whether or not it avails itself of such opportunity), the claim and reasons for emergency relief and the parties’ further submissions (if any). The Emergency Arbitrator is not required to hold any hearing with the parties (whether in person, by telephone or otherwise) and may decide the claim for emergency relief on available documentation. In the event of a hearing, Articles 16.3, 19.2, 19.3 and 19.4 shall apply. 9.8 The Emergency Arbitrator shall decide the claim for emergency relief as soon as possible, but no later than 14 days following the Emergency Arbitrator’s appointment. This deadline may only be extended by the LCIA Court in exceptional circ*mstances (pursuant to Article 22.5) or by the written agreement of all parties to the emergency proceedings. The Emergency Arbitrator may make any order or award which the Arbitral Tribunal could make under the Arbitration Agreement (excepting Arbitration and Legal Costs under Articles 28.2 and 28.3); and, in addition, make any order adjourn- ing the consideration of all or any part of the claim for emergency relief to the proceedings conducted by the Arbitral Tribunal (when formed).

195 9.9 An order of the Emergency Arbitrator shall be made in writing, with reasons. An award of the Emergency Arbitrator shall comply with Article 26.2 and, when made, take effect as an award under Article 26.8 (subject to Article 9.11). The Emergency Arbitrator shall be responsible for delivering any order or award to the Registrar, who shall transmit the same promptly to the parties by electronic means, in addition to paper form (if so requested by any party). In the event of any disparity between electronic and paper forms, the elec- tronic form shall prevail. 9.10 The Special Fee paid shall form a part of the Arbitration Costs under Article 28.2 determined by the LCIA Court (as to the amount of Arbitration Costs) and decided by the Arbitral Tribunal (as to the proportions in which the parties shall bear Arbitration Costs). Any legal or other expenses incurred by any party during the emergency proceedings shall form a part of the Legal Costs under Article 28.3 decided by the Arbitral Tribunal (as to amount and as to payment between the parties of Legal Costs). 9.11 Any order or award of the Emergency Arbitrator (apart from any order adjourning to the Arbitral Tribunal, when formed, any part of the claim for emergency relief) may be confirmed, varied, discharged or revoked, in whole or in part, by order or award made by the Arbitral Tribunal upon application by any party or upon its own initiative. 9.12 Article 9B shall not prejudice any party’s right to apply to a state court or other legal authority for any interim or conservatory measures before the formation of the Arbitration Tribunal; and it shall not be treated as an alternative to or substitute for the exercise of such right. During the emer- gency proceedings, any application to and any order by such court or authority shall be communicated promptly in writing to the Emergency Arbitrator, the Registrar and all other parties. 9.13 Articles 3.3, 13.1-13.4, 14.4, 14.5, 16, 17, 18, 22.3, 22.4, 23, 28, 29, 30, 31 and 32 and the Annex shall apply to emergency proceedings. In addition to the provisions expressly set out there and in Article 9B above, the Emergency Arbitrator and the parties to the emergency proceedings shall also be guided by other provisions of the Arbitration Agreement, whilst recognising that several such provisions may not be fully applicable or appropriate to emer- gency proceedings. Wherever relevant, the LCIA Court may abridge under any such provisions any period of time (pursuant to Article 22.5). 9.14 Article 9B shall not apply if either: (i) the parties have concluded their arbitration agreement before 1 October 2014 and the parties have not agreed in writing to ‘opt in’ to Article 9B; or (ii) the parties have agreed in writing at any time to ‘opt out’ of Article 9B.

196 Article 9C Expedited Appointment of Replacement Arbitrator 9.15 Any party may apply to the LCIA Court for the expedited appoint- ment of a replacement arbitrator under Article 11. 9.16 Such an application shall be made in writing to the Registrar (preferably by electronic means), delivered (or notified) to all other parties to the arbitration; and it shall set out the specific grounds requiring the expedited appointment of the replacement arbitrator. 9.17 The LCIA Court shall determine the application as expeditiously as possible in the circ*mstances. If the application is granted, for the purpose of expediting the appointment of the replacement arbitrator the LCIA Court may abridge any period of time in the Arbitration Agreement or any other agreement of the parties (pursuant to Article 22.5).

Article 10 Revocation and Challenges 10.1 The LCIA Court may revoke any arbitrator’s appointment upon its own initiative, at the written request of all other members of the Arbitral Tribunal or upon a written challenge by any party if: (i) that arbitrator gives written notice to the LCIA Court of his or her intent to resign as arbitrator, to be copied to all parties and all other members of the Arbitral Tribunal (if any); (ii) that arbitrator falls seriously ill, refuses or becomes unable or unfit to act; or (iii) circ*mstances exist that give rise to justifiable doubts as to that arbitrator’s impartiality or independence. 10.2 The LCIA Court may determine that an arbitrator is unfit to act under Article 10.1 if that arbitrator: (i) acts in deliberate violation of the Arbitration Agreement; (ii) does not act fairly or impartially as between the parties; or (iii) does not conduct or participate in the arbitration with reason- able efficiency, diligence and industry. 10.3 A party challenging an arbitrator under Article 10.1 shall, within 14 days of the formation of the Arbitral Tribunal or (if later) within 14 days of becoming aware of any grounds described in Article 10.1 or 10.2, deliver a written statement of the reasons for its challenge to the LCIA Court, the Arbitral Tribunal and all other parties. A party may challenge an arbitrator whom it has nominated, or in whose appointment it has participated, only for reasons of which it becomes aware after the appointment has been made by the LCIA Court. 10.4 The LCIA Court shall provide to those other parties and the challenged arbitrator a reasonable opportunity to comment on the challenging party’s written statement. The LCIA Court may require at any time further information and materials from the challenging party, the challenged arbitra- tor, other parties and other members of the Arbitral Tribunal (if any).

197 10.5 If all other parties agree in writing to the challenge within 14 days of receipt of the written statement, the LCIA Court shall revoke that arbitrator’s appointment (without reasons). 10.6 Unless the parties so agree or the challenged arbitrator resigns in writing within 14 days of receipt of the written statement, the LCIA Court shall decide the challenge and, if upheld, shall revoke that arbitrator’s ap- pointment. The LCIA Court’s decision shall be made in writing, with reasons; and a copy shall be transmitted by the Registrar to the parties, the challenged arbitrator and other members of the Arbitral Tribunal (if any). A challenged arbitrator who resigns in writing prior to the LCIA Court’s decision shall not be considered as having admitted any part of the written statement. 10.7 The LCIA Court shall determine the amount of fees and expenses (if any) to be paid for the former arbitrator’s services, as it may consider appropriate in the circ*mstances. The LCIA Court may also determine whether, in what amount and to whom any party should pay forthwith the costs of the challenge; and the LCIA Court may also refer all or any part of such costs to the later decision of the Arbitral Tribunal and/or the LCIA Court under Article 28.

Article 11 Nomination and Replacement 11.1 In the event that the LCIA Court determines that justifiable doubts exist as to any arbitral candidate’s suitability, independence or impartiality, or if a nominee declines appointment as arbitrator, or if an arbitrator is to be replaced for any reason, the LCIA Court may determine whether or not to follow the original nominating process for such arbitral appointment. 11.2 The LCIA Court may determine that any opportunity given to a party to make any re-nomination (under the Arbitration Agreement or otherwise) shall be waived if not exercised within 14 days (or such lesser or greater time as the LCIA Court may determine), after which the LCIA Court shall appoint the replacement arbitrator without such re-nomination.

Article 12 Majority Power to Continue Deliberations 12.1 In exceptional circ*mstances, where an arbitrator without good cause refuses or persistently fails to participate in the deliberations of an Arbitral Tribunal, the remaining arbitrators jointly may decide (after their written notice of such refusal or failure to the LCIA Court, the parties and the absent arbitrator) to continue the arbitration (including the making of any award) notwithstanding the absence of that other arbitrator, subject to the written approval of the LCIA Court. 12.2 In deciding whether to continue the arbitration, the remaining

198 arbitrators shall take into account the stage of the arbitration, any explanation made by or on behalf of the absent arbitrator for his or her refusal or non-participation, the likely effect upon the legal recognition or enforceability of any award at the seat of the arbitration and such other matters as they consider appropriate in the circ*mstances. The reasons for such decision shall be stated in any award made by the remaining arbitrators without the participation of the absent arbitrator. 12.3 In the event that the remaining arbitrators decide at any time thereafter not to continue the arbitration without the participation of the absent arbitrator, the remaining arbitrators shall notify in writing the parties and the LCIA Court of such decision; and, in that event, the remaining arbitrators or any party may refer the matter to the LCIA Court for the revocation of the absent arbitrator’s appointment and the appointment of a replacement arbitrator under Articles 10 and 11.

Article 13 Communications between Parties and Arbitral Tribunal 13.1 Following the formation of the Arbitral Tribunal, all communica- tions shall take place directly between the Arbitral Tribunal and the parties (to be copied to the Registrar), unless the Arbitral Tribunal decides that communications should continue to be made through the Registrar. 13.2 Where the Registrar sends any written communication to one party on behalf of the Arbitral Tribunal or the LCIA Court, he or she shall send a copy to each of the other parties. 13.3 Where any party delivers to the Arbitral Tribunal any communica- tion (including statements and documents under Article 15), whether by electronic means or otherwise, it shall deliver a copy to each arbitrator, all other parties and the Registrar; and it shall confirm to the Arbitral Tribunal in writing that it has done or is doing so. 13.4 During the arbitration from the Arbitral Tribunal’s formation on- wards, no party shall deliberately initiate or attempt to initiate any unilateral contact relating to the arbitration or the parties’ dispute with any member of the Arbitral Tribunal or any member of the LCIA Court exercising any function in regard to the arbitration (but not including the Registrar), which has not been disclosed in writing prior to or shortly after the time of such contact to all other parties, all members of the Arbitral Tribunal (if comprised of more than one arbitrator) and the Registrar. 13.5 Prior to the Arbitral Tribunal’s formation, unless the parties agree otherwise in writing, any arbitrator, candidate or nominee who is required to participate in the selection of a presiding arbitrator may consult any party in order to obtain the views of that party as to the suitability of any candidate or nominee as presiding arbitrator, provided that such arbitrator, candidate or nominee informs the Registrar of such consultation.

199 Article 14 Conduct of Proceedings 14.1 The parties and the Arbitral Tribunal are encouraged to make contact (whether by a hearing in person, telephone conference-call, video conference or exchange of correspondence) as soon as practicable but no later than 21 days from receipt of the Registrar’s written notification of the formation of the Arbitral Tribunal. 14.2 The parties may agree on joint proposals for the conduct of their arbitration for consideration by the Arbitral Tribunal. They are encouraged to do so in consultation with the Arbitral Tribunal and consistent with the Arbitral Tribunal’s general duties under the Arbitration Agreement. 14.3 Such agreed proposals shall be made by the parties in writing or recorded in writing by the Arbitral Tribunal at the parties’ request and with their authority. 14.4 Under the Arbitration Agreement, the Arbitral Tribunal’s general duties at all times during the arbitration shall include: (i) a duty to act fairly and impartially as between all parties, giving each a reasonable opportunity of putting its case and dealing with that of its opponent(s); and (ii) a duty to adopt procedures suitable to the circ*mstances of the arbitration, avoiding unnecessary delay and expense, so as to provide a fair, efficient and expeditious means for the final resolution of the parties’ dispute. 14.5 The Arbitral Tribunal shall have the widest discretion to discharge these general duties, subject to such mandatory law(s) or rules of law as the Arbitral Tribunal may decide to be applicable; and at all times the parties shall do everything necessary in good faith for the fair, efficient and expeditious conduct of the arbitration, including the Arbitral Tribunal’s discharge of its general duties. 14.6 In the case of an Arbitral Tribunal other than a sole arbitrator, the presiding arbitrator, with the prior agreement of its other members and all parties, may make procedural orders alone.

Article 15 Written Statements 15.1 Unless the parties have agreed or jointly proposed in writing other- wise or the Arbitral Tribunal should decide differently, the written stage of the arbitration and its procedural time-table shall be as set out in this Article 15. 15.2 Within 28 days of receipt of the Registrar’s written notification of the Arbitral Tribunal’s formation, the Claimant shall deliver to the Arbitral Tribunal and all other parties either: (i) its written election to have its Request

200 treated as its Statement of Case complying with this Article 15.2; or (ii) its written Statement of Case setting out in sufficient detail the relevant facts and legal submissions on which it relies, together with the relief claimed against all other parties, and all essential documents. 15.3 Within 28 days of receipt of the Claimant’s Statement of Case or the Claimant’s election to treat the Request as its Statement of Case, the Respon- dent shall deliver to the Arbitral Tribunal and all other parties either: (i) its written election to have its Response treated as its Statement of Defence and (if applicable) Cross-claim complying with this Article 15.3; or (ii) its written Statement of Defence and (if applicable) Statement of Cross-claim setting out in sufficient detail the relevant facts and legal submissions on which it relies, together with the relief claimed against all other parties, and all essential documents. 15.4 Within 28 days of receipt of the Respondent’s Statement of Defence and (if applicable) Statement of Cross-claim or the Respondent’s election to treat the Response as its Statement of Defence and (if applicable) Cross- claim, the Claimant shall deliver to the Arbitral Tribunal and all other parties a written Statement of Reply which, where there are any cross-claims, shall also include a Statement of Defence to Cross-claim in the same manner required for a Statement of Defence, together with all essential documents. 15.5 If the Statement of Reply contains a Statement of Defence to Cross-claim, within 28 days of its receipt the Respondent shall deliver to the Arbitral Tribunal and all other parties its written Statement of Reply to the Defence to Cross-claim, together with all essential documents. 15.6 The Arbitral Tribunal may provide additional directions as to any part of the written stage of the arbitration (including witness statements, submissions and evidence), particularly where there are multiple claimants, multiple respondents or any cross-claim between two or more respondents or between two or more claimants. 15.7 No party may submit any further written statement following the last of these Statements, unless otherwise ordered by the Arbitral Tribunal. 15.8 If the Respondent fails to submit a Statement of Defence or the Claimant a Statement of Defence to Cross-claim, or if at any time any party fails to avail itself of the opportunity to present its written case in the manner required under this Article 15 or otherwise by order of the Arbitral Tribunal, the Arbitral Tribunal may nevertheless proceed with the arbitration (with or without a hearing) and make one or more awards. 15.9 As soon as practicable following this written stage of the arbitration, the Arbitral Tribunal shall proceed in such manner as has been agreed in writing by the parties or pursuant to its authority under the Arbitration Agreement.

201 15.10 In any event, the Arbitral Tribunal shall seek to make its final award as soon as reasonably possible following the last submission from the parties (whether made orally or in writing), in accordance with a timetable notified to the parties and the Registrar as soon as practicable (if necessary, as revised and re-notified from time to time). When the Arbitral Tribunal (not being a sole arbitrator) establishes a time for what it contemplates shall be the last submission from the parties (whether written or oral), it shall set aside adequate time for deliberations as soon as possible after that last submission and notify the parties of the time it has set aside.

Article 16 Seat(s) of Arbitration and Place(s) of Hearing 16.1 The parties may agree in writing the seat (or legal place) of their arbitration at any time before the formation of the Arbitral Tribunal and, after such formation, with the prior written consent of the Arbitral Tribunal. 16.2 In default of any such agreement, the seat of the arbitration shall be London (England), unless and until the Arbitral Tribunal orders, in view of the circ*mstances and after having given the parties a reasonable opportunity to make written comments to the Arbitral Tribunal, that another arbitral seat is more appropriate. Such default seat shall not be considered as a relevant circ*mstance by the LCIA Court in appointing any arbitrators under Articles 5, 9A, 9B, 9C and 11. 16.3 The Arbitral Tribunal may hold any hearing at any convenient geographical place in consultation with the parties and hold its deliberations at any geographical place of its own choice; and if such place(s) should be elsewhere than the seat of the arbitration, the arbitration shall nonetheless be treated for all purposes as an arbitration conducted at the arbitral seat and any order or award as having been made at that seat. 16.4 The law applicable to the Arbitration Agreement and the arbitration shall be the law applicable at the seat of the arbitration, unless and to the extent that the parties have agreed in writing on the application of other laws or rules of law and such agreement is not prohibited by the law applicable at the arbitral seat.

Article 17 Language(s) of Arbitration 17.1 The initial language of the arbitration (until the formation of the Arbitral Tribunal) shall be the language or prevailing language of the Arbi- tration Agreement, unless the parties have agreed in writing otherwise. 17.2 In the event that the Arbitration Agreement is written in more than one language of equal standing, the LCIA Court may, unless the Arbitration Agreement provides that the arbitration proceedings shall be conducted from the outset in more than one language, determine which of those languages shall be the initial language of the arbitration.

202 17.3 A non-participating or defaulting party shall have no cause for complaint if communications to and from the LCIA Court and Registrar are conducted in the initial language(s) of the arbitration or of the arbitral seat. 17.4 Following the formation of the Arbitral Tribunal, unless the parties have agreed upon the language or languages of the arbitration, the Arbitral Tribunal shall decide upon the language(s) of the arbitration after giving the parties a reasonable opportunity to make written comments and taking into account the initial language(s) of the arbitration and any other matter it may consider appropriate in the circ*mstances. 17.5 If any document is expressed in a language other than the lan- guage(s) of the arbitration and no translation of such document is submitted by the party relying upon the document, the Arbitral Tribunal may order or (if the Arbitral Tribunal has not been formed) the Registrar may request that party to submit a translation of all or any part of that document in any language(s) of the arbitration or of the arbitral seat.

Article 18 Legal Representatives 18.1 Any party may be represented in the arbitration by one or more authorised legal representatives appearing by name before the Arbitral Tri- bunal. 18.2 Until the Arbitral Tribunal’s formation, the Registrar may request from any party: (i) written proof of the authority granted by that party to any legal representative designated in its Request or Response; and (ii) written confirmation of the names and addresses of all such party’s legal representa- tives in the arbitration. After its formation, at any time, the Arbitral Tribunal may order any party to provide similar proof or confirmation in any form it considers appropriate. 18.3 Following the Arbitral Tribunal’s formation, any intended change or addition by a party to its legal representatives shall be notified promptly in writing to all other parties, the Arbitral Tribunal and the Registrar; and any such intended change or addition shall only take effect in the arbitration subject to the approval of the Arbitral Tribunal. 18.4 The Arbitral Tribunal may withhold approval of any intended change or addition to a party’s legal representatives where such change or addition could compromise the composition of the Arbitral Tribunal or the finality of any award (on the grounds of possible conflict or other like impediment). In deciding whether to grant or withhold such approval, the Arbitral Tribunal shall have regard to the circ*mstances, including: the general principle that a party may be represented by a legal representative chosen by that party, the stage which the arbitration has reached, the effi-

203 ciency resulting from maintaining the composition of the Arbitral Tribunal (as constituted throughout the arbitration) and any likely wasted costs or loss of time resulting from such change or addition. 18.5 Each party shall ensure that all its legal representatives appearing by name before the Arbitral Tribunal have agreed to comply with the general guidelines contained in the Annex to the LCIA Rules, as a condition of such representation. In permitting any legal representative so to appear, a party shall thereby represent that the legal representative has agreed to such compliance. 18.6 In the event of a complaint by one party against another party’s legal representative appearing by name before the Arbitral Tribunal (or of such complaint by the Arbitral Tribunal upon its own initiative), the Arbitral Tribunal may decide, after consulting the parties and granting that legal representative a reasonable opportunity to answer the complaint, whether or not the legal representative has violated the general guidelines. If such violation is found by the Arbitral Tribunal, the Arbitral Tribunal may order any or all of the following sanctions against the legal representative: (i) a written reprimand; (ii) a written caution as to future conduct in the arbitra- tion; and (iii) any other measure necessary to fulfil within the arbitration the general duties required of the Arbitral Tribunal under Articles 14.4(i) and (ii).

Article 19 Oral Hearing(s) 19.1 Any party has the right to a hearing before the Arbitral Tribunal on the parties’ dispute at any appropriate stage of the arbitration (as decided by the Arbitral Tribunal), unless the parties have agreed in writing upon a documents-only arbitration. For this purpose, a hearing may consist of several part-hearings (as decided by the Arbitral Tribunal). 19.2 The Arbitral Tribunal shall organise the conduct of any hearing in advance, in consultation with the parties. The Arbitral Tribunal shall have the fullest authority under the Arbitration Agreement to establish the conduct of a hearing, including its date, form, content, procedure, time-limits and geo- graphical place. As to form, a hearing may take place by video or telephone conference or in person (or a combination of all three). As to content, the Arbitral Tribunal may require the parties to address a list of specific questions or issues arising from the parties’ dispute. 19.3 The Arbitral Tribunal shall give to the parties reasonable notice in writing of any hearing. 19.4 All hearings shall be held in private, unless the parties agree otherwise in writing.

204 Article 20 Witness(es) 20.1 Before any hearing, the Arbitral Tribunal may order any party to give written notice of the identity of each witness that party wishes to call (including rebuttal witnesses), as well as the subject-matter of that witness’s testimony, its content and its relevance to the issues in the arbitration. 20.2 Subject to any order otherwise by the Arbitral Tribunal, the testi- mony of a witness may be presented by a party in written form, either as a signed statement or like document. 20.3 The Arbitral Tribunal may decide the time, manner and form in which these written materials shall be exchanged between the parties and presented to the Arbitral Tribunal; and it may allow, refuse or limit the written and oral testimony of witnesses (whether witnesses of fact or expert witnesses). 20.4 The Arbitral Tribunal and any party may request that a witness, on whose written testimony another party relies, should attend for oral question- ing at a hearing before the Arbitral Tribunal. If the Arbitral Tribunal orders that other party to secure the attendance of that witness and the witness refuses or fails to attend the hearing without good cause, the Arbitral Tribunal may place such weight on the written testimony or exclude all or any part thereof altogether as it considers appropriate in the circ*mstances. 20.5 Subject to the mandatory provisions of any applicable law, rules of law and any order of the Arbitral Tribunal otherwise, it shall not be improper for any party or its legal representatives to interview any potential witness for the purpose of presenting his or her testimony in written form to the Arbitral Tribunal or producing such person as an oral witness at any hearing. 20.6 Subject to any order by the Arbitral Tribunal otherwise, any indi- vidual intending to testify to the Arbitral Tribunal may be treated as a witness notwithstanding that the individual is a party to the arbitration or was, remains or has become an officer, employee, owner or shareholder of any party or is otherwise identified with any party. 20.7 Subject to the mandatory provisions of any applicable law, the Arbitral Tribunal shall be entitled (but not required) to administer any appropriate oath to any witness at any hearing, prior to the oral testimony of that witness. 20.8 Any witness who gives oral testimony at a hearing before the Arbitral Tribunal may be questioned by each of the parties under the control of the Arbitral Tribunal. The Arbitral Tribunal may put questions at any stage of such testimony.

205 Article 21 Expert(s) to Arbitral Tribunal 21.1 The Arbitral Tribunal, after consultation with the parties, may appoint one or more experts to report in writing to the Arbitral Tribunal and the parties on specific issues in the arbitration, as identified by the Arbitral Tribunal. 21.2 Any such expert shall be and remain impartial and independent of the parties; and he or she shall sign a written declaration to such effect, delivered to the Arbitral Tribunal and copied to all parties. 21.3 The Arbitral Tribunal may require any party at any time to give to such expert any relevant information or to provide access to any relevant documents, goods, samples, property, site or thing for inspection under that party’s control on such terms as the Arbitral Tribunal thinks appropriate in the circ*mstances. 21.4 If any party so requests or the Arbitral Tribunal considers it necessary, the Arbitral Tribunal may order the expert, after delivery of the expert’s written report, to participate in a hearing at which the parties shall have a reasonable opportunity to question the expert on the report and to present witnesses in order to testify on relevant issues arising from the report. 21.5 The fees and expenses of any expert appointed by the Arbitral Tribunal under this Article 21 may be paid out of the deposits payable by the parties under Article 24 and shall form part of the Arbitration Costs under Article 28.

Article 22 Additional Powers 22.1 The Arbitral Tribunal shall have the power, upon the application of any party or (save for sub-paragraphs (viii), (ix) and (x) below) upon its own initiative, but in either case only after giving the parties a reasonable oppor- tunity to state their views and upon such terms (as to costs and otherwise) as the Arbitral Tribunal may decide: (i) to allow a party to supplement, modify or amend any claim, defence, cross-claim, defence to cross-claim and reply, including a Request, Response and any other written statement, submitted by such party; (ii) to abridge or extend (even where the period of time has expired) any period of time prescribed under the Arbitration Agreement, any other agree- ment of the parties or any order made by the Arbitral Tribunal; (iii) to conduct such enquiries as may appear to the Arbitral Tribunal to be necessary or expedient, including whether and to what extent the Arbitral Tribunal should itself take the initiative in identifying relevant issues and ascertaining relevant facts and the law(s) or rules of law applicable to the Arbitration Agreement, the arbitration and the merits of the parties’ dispute;

206 (iv) to order any party to make any documents, goods, samples, property, site or thing under its control available for inspection by the Arbitral Tribunal, any other party, any expert to such party and any expert to the Tribunal; (v) to order any party to produce to the Arbitral Tribunal and to other parties documents or copies of documents in their possession, custody or power which the Arbitral Tribunal decides to be relevant; (vi) to decide whether or not to apply any strict rules of evidence (or any other rules) as to the admissibility, relevance or weight of any material tendered by a party on any issue of fact or expert opinion; and to decide the time, manner and form in which such material should be exchanged between the parties and presented to the Arbitral Tribunal; (vii) to order compliance with any legal obligation, payment of compen- sation for breach of any legal obligation and specific performance of any agreement (including any arbitration agreement or any contract relating to land); (viii) to allow one or more third persons to be joined in the arbitration as a party provided any such third person and the applicant party have consented to such joinder in writing following the Commencement Date or (if earlier) in the Arbitration Agreement; and thereafter to make a single final award, or separate awards, in respect of all parties so implicated in the arbitration; (ix) to order, with the approval of the LCIA Court, the consolidation of the arbitration with one or more other arbitrations into a single arbitration subject to the LCIA Rules where all the parties to the arbitrations to be consolidated so agree in writing; (x) to order, with the approval of the LCIA Court, the consolidation of the arbitration with one or more other arbitrations subject to the LCIA Rules commenced under the same arbitration agreement or any compatible arbitra- tion agreement(s) between the same disputing parties, provided that no arbitral tribunal has yet been formed by the LCIA Court for such other arbitration(s) or, if already formed, that such tribunal(s) is(are) composed of the same arbitrators; and (xi) to order the discontinuance of the arbitration if it appears to the Arbitral Tribunal that the arbitration has been abandoned by the parties or all claims and any cross-claims withdrawn by the parties, provided that, after fixing a reasonable period of time within which the parties shall be invited to agree or to object to such discontinuance, no party has stated its written objection to the Arbitral Tribunal to such discontinuance upon the expiry of such period of time. 22.2 By agreeing to arbitration under the Arbitration Agreement, the

207 parties shall be treated as having agreed not to apply to any state court or other legal authority for any order available from the Arbitral Tribunal (if formed) under Article 22.1, except with the agreement in writing of all parties. 22.3 The Arbitral Tribunal shall decide the parties’ dispute in accordance with the law(s) or rules of law chosen by the parties as applicable to the merits of their dispute. If and to the extent that the Arbitral Tribunal decides that the parties have made no such choice, the Arbitral Tribunal shall apply the law(s) or rules of law which it considers appropriate. 22.4 The Arbitral Tribunal shall only apply to the merits of the dispute principles deriving from “ex aequo et bono”, “amiable composition” or “honourable engagement” where the parties have so agreed in writing. 22.5 Subject to any order of the Arbitral Tribunal under Article 22.1(ii), the LCIA Court may also abridge or extend any period of time under the Arbitration Agreement or other agreement of the parties (even where the period of time has expired). 22.6 Without prejudice to the generality of Articles 22.1(ix) and (x), the LCIA Court may determine, after giving the parties a reasonable opportunity to state their views, that two or more arbitrations, subject to the LCIA Rules and commenced under the same arbitration agreement between the same disputing parties, shall be consolidated to form one single arbitration subject to the LCIA Rules, provided that no arbitral tribunal has yet been formed by the LCIA Court for any of the arbitrations to be consolidated.

Article 23 Jurisdiction and Authority 23.1 The Arbitral Tribunal shall have the power to rule upon its own jurisdiction and authority, including any objection to the initial or continuing existence, validity, effectiveness or scope of the Arbitration Agreement. 23.2 For that purpose, an arbitration clause which forms or was intended to form part of another agreement shall be treated as an arbitration agreement independent of that other agreement. A decision by the Arbitral Tribunal that such other agreement is non-existent, invalid or ineffective shall not entail (of itself) the non-existence, invalidity or ineffectiveness of the arbitration clause. 23.3 An objection by a Respondent that the Arbitral Tribunal does not have jurisdiction shall be raised as soon as possible but not later than the time for its Statement of Defence; and a like objection by any party responding to a cross-claiming party shall be raised as soon as possible but not later than the time for its Statement of Defence to Cross-claim. An objection that the Arbitral Tribunal is exceeding the scope of its authority shall be raised promptly after the Arbitral Tribunal has indicated its intention to act upon the

208 matter alleged to lie beyond its authority. The Arbitral Tribunal may never- theless admit an untimely objection as to its jurisdiction or authority if it considers the delay justified in the circ*mstances. 23.4 The Arbitral Tribunal may decide the objection to its jurisdiction or authority in an award as to jurisdiction or authority or later in an award on the merits, as it considers appropriate in the circ*mstances. 23.5 By agreeing to arbitration under the Arbitration Agreement, after the formation of the Arbitral Tribunal the parties shall be treated as having agreed not to apply to any state court or other legal authority for any relief regarding the Arbitral Tribunal’s jurisdiction or authority, except (i) with the prior agreement in writing of all parties to the arbitration, or (ii) the prior authorisation of the Arbitral Tribunal, or (iii) following the latter’s award on the objection to its jurisdiction or authority.

Article 24 Deposits 24.1 The LCIA Court may direct the parties, in such proportions and at such times as it thinks appropriate, to make one or more payments to the LCIA on account of the Arbitration Costs. Such payments deposited by the parties may be applied by the LCIA Court to pay any item of such Arbitration Costs (including the LCIA’s own fees and expenses) in accordance with the LCIA Rules. 24.2 All payments made by parties on account of the Arbitration Costs shall be held by the LCIA in trust under English law in England, to be disbursed or otherwise applied by the LCIA in accordance with the LCIA Rules and invested having regard also to the interests of the LCIA. Each payment made by a party shall be credited by the LCIA with interest at the rate from time to time credited to an overnight deposit of that amount with the bank(s) engaged by the LCIA to manage deposits from time to time; and any surplus income (beyond such interest) shall accrue for the sole benefit of the LCIA. In the event that payments (with such interest) exceed the total amount of the Arbitration Costs at the conclusion of the arbitration, the excess amount shall be returned by the LCIA to the parties as the ultimate default beneficiaries of the trust. 24.3 Save for exceptional circ*mstances, the Arbitral Tribunal should not proceed with the arbitration without having ascertained from the Registrar that the LCIA is or will be in requisite funds as regards outstanding and future Arbitration Costs. 24.4 In the event that a party fails or refuses to make any payment on account of the Arbitration Costs as directed by the LCIA Court, the LCIA Court may direct the other party or parties to effect a substitute payment to allow the arbitration to proceed (subject to any order or award on Arbitration Costs).

209 24.5 In such circ*mstances, the party effecting the substitute payment may request the Arbitral Tribunal to make an order or award in order to recover that amount as a debt immediately due and payable to that party by the defaulting party, together with any interest. 24.6 Failure by a claiming or cross-claiming party to make promptly and in full any required payment on account of Arbitration Costs may be treated by the Arbitral Tribunal as a withdrawal from the arbitration of the claim or cross-claim respectively, thereby removing such claim or cross-claim (as the case may be) from the scope of the Arbitral Tribunal’s jurisdiction under the Arbitration Agreement, subject to any terms decided by the Arbitral Tribunal as to the reinstatement of the claim or cross-claim in the event of subsequent payment by the claiming or cross-claiming party. Such a withdrawal shall not preclude the claiming or cross-claiming party from defending as a respondent any claim or cross-claim made by another party.

Article 25 Interim and Conservatory Measures 25.1 The Arbitral Tribunal shall have the power upon the application of any party, after giving all other parties a reasonable opportunity to respond to such application and upon such terms as the Arbitral Tribunal considers appropriate in the circ*mstances: (i) to order any respondent party to a claim or cross-claim to provide security for all or part of the amount in dispute, by way of deposit or bank guarantee or in any other manner; (ii) to order the preservation, storage, sale or other disposal of any documents, goods, samples, property, site or thing under the control of any party and relating to the subject-matter of the arbitration; and (iii) to order on a provisional basis, subject to a final decision in an award, any relief which the Arbitral Tribunal would have power to grant in an award, including the payment of money or the disposition of property as between any parties. Such terms may include the provision by the applicant party of a cross- indemnity, secured in such manner as the Arbitral Tribunal considers appro- priate, for any costs or losses incurred by the respondent party in complying with the Arbitral Tribunal’s order. Any amount payable under such cross- indemnity and any consequential relief may be decided by the Arbitral Tribunal by one or more awards in the arbitration. 25.2 The Arbitral Tribunal shall have the power upon the application of a party, after giving all other parties a reasonable opportunity to respond to such application, to order any claiming or cross-claiming party to provide or procure security for Legal Costs and Arbitration Costs by way of deposit or

210 bank guarantee or in any other manner and upon such terms as the Arbitral Tribunal considers appropriate in the circ*mstances. Such terms may include the provision by that other party of a cross-indemnity, itself secured in such manner as the Arbitral Tribunal considers appropriate, for any costs and losses incurred by such claimant or cross-claimant in complying with the Arbitral Tribunal’s order. Any amount payable under such cross-indemnity and any consequential relief may be decided by the Arbitral Tribunal by one or more awards in the arbitration. In the event that a claiming or cross- claiming party does not comply with any order to provide security, the Arbitral Tribunal may stay that party’s claims or cross-claims or dismiss them by an award. 25.3 The power of the Arbitral Tribunal under Article 25.1 shall not prejudice any party’s right to apply to a state court or other legal authority for interim or conservatory measures to similar effect: (i) before the formation of the Arbitral Tribunal; and (ii) after the formation of the Arbitral Tribunal, in exceptional cases and with the Arbitral Tribunal’s authorisation, until the final award. After the Commencement Date, any application and any order for such measures before the formation of the Arbitral Tribunal shall be com- municated promptly in writing by the applicant party to the Registrar; after its formation, also to the Arbitral Tribunal; and in both cases also to all other parties. 25.4. By agreeing to arbitration under the Arbitration Agreement, the parties shall be taken to have agreed not to apply to any state court or other legal authority for any order for security for Legal Costs or Arbitration Costs.

Article 26 Award(s) 26.1 The Arbitral Tribunal may make separate awards on different issues at different times, including interim payments on account of any claim or cross-claim (including Legal and Arbitration Costs). Such awards shall have the same status as any other award made by the Arbitral Tribunal. 26.2 The Arbitral Tribunal shall make any award in writing and, unless all parties agree in writing otherwise, shall state the reasons upon which such award is based. The award shall also state the date when the award is made and the seat of the arbitration; and it shall be signed by the Arbitral Tribunal or those of its members assenting to it. 26.3 An award may be expressed in any currency, unless the parties have agreed otherwise. 26.4 Unless the parties have agreed otherwise, the Arbitral Tribunal may order that simple or compound interest shall be paid by any party on any sum awarded at such rates as the Arbitral Tribunal decides to be appropriate

211 (without being bound by rates of interest practised by any state court or other legal authority) in respect of any period which the Arbitral Tribunal decides to be appropriate ending not later than the date upon which the award is complied with. 26.5 Where there is more than one arbitrator and the Arbitral Tribunal fails to agree on any issue, the arbitrators shall decide that issue by a majority. Failing a majority decision on any issue, the presiding arbitrator shall decide that issue. 26.6 If any arbitrator refuses or fails to sign the award, the signatures of the majority or (failing a majority) of the presiding arbitrator shall be sufficient, provided that the reason for the omitted signature is stated in the award by the majority or by the presiding arbitrator. 26.7 The sole or presiding arbitrator shall be responsible for delivering the award to the LCIA Court, which shall transmit to the parties the award authenticated by the Registrar as an LCIA award, provided that all Arbitra- tion Costs have been paid in full to the LCIA in accordance with Articles 24 and 28. Such transmission may be made by any electronic means, in addition to paper form (if so requested by any party). In the event of any disparity between electronic and paper forms, the paper form shall prevail. 26.8 Every award (including reasons for such award) shall be final and binding on the parties. The parties undertake to carry out any award imme- diately and without any delay (subject only to Article 27); and the parties also waive irrevocably their right to any form of appeal, review or recourse to any state court or other legal authority, insofar as such waiver shall not be prohibited under any applicable law. 26.9 In the event of any final settlement of the parties’ dispute, the Arbitral Tribunal may decide to make an award recording the settlement if the parties jointly so request in writing (a “Consent Award”), provided always that such Consent Award shall contain an express statement on its face that it is an award made at the parties’ joint request and with their consent. A Consent Award need not contain reasons. If the parties do not jointly request a Consent Award, on written confirmation by the parties to the LCIA Court that a final settlement has been reached, the Arbitral Tribunal shall be discharged and the arbitration proceedings concluded by the LCIA Court, subject to payment by the parties of any outstanding Arbitration Costs in accordance with Articles 24 and 28.

Article 27 Correction of Award(s) and Additional Award(s) 27.1 Within 28 days of receipt of any award, a party may by written notice to the Registrar (copied to all other parties) request the Arbitral Tribunal to

212 correct in the award any error in computation, any clerical or typographical error, any ambiguity or any mistake of a similar nature. If the Arbitral Tribunal considers the request to be justified, after consulting the parties, it shall make the correction within 28 days of receipt of the request. Any correction shall take the form of a memorandum by the Arbitral Tribunal. 27.2 The Arbitral Tribunal may also correct any error (including any error in computation, any clerical or typographical error or any error of a similar nature) upon its own initiative in the form of a memorandum within 28 days of the date of the award, after consulting the parties. 27.3 Within 28 days of receipt of the final award, a party may by written notice to the Registrar (copied to all other parties), request the Arbitral Tribunal to make an additional award as to any claim or cross-claim presented in the arbitration but not decided in any award. If the Arbitral Tribunal considers the request to be justified, after consulting the parties, it shall make the additional award within 56 days of receipt of the request. 27.4 As to any claim or cross-claim presented in the arbitration but not decided in any award, the Arbitral Tribunal may also make an additional award upon its own initiative within 28 days of the date of the award, after consulting the parties. 27.5 The provisions of Article 26.2 to 26.7 shall apply to any memoran- dum or additional award made hereunder. A memorandum shall be treated as part of the award.

Article 28 Arbitration Costs and Legal Costs 28.1 The costs of the arbitration other than the legal or other expenses incurred by the parties themselves (the “Arbitration Costs”) shall be deter- mined by the LCIA Court in accordance with the Schedule of Costs. The parties shall be jointly and severally liable to the LCIA and the Arbitral Tribunal for such Arbitration Costs. 28.2 The Arbitral Tribunal shall specify by an award the amount of the Arbitration Costs determined by the LCIA Court (in the absence of a final settlement of the parties’ dispute regarding liability for such costs). The Arbitral Tribunal shall decide the proportions in which the parties shall bear such Arbitration Costs. If the Arbitral Tribunal has decided that all or any part of the Arbitration Costs shall be borne by a party other than a party which has already covered such costs by way of a payment to the LCIA under Article 24, the latter party shall have the right to recover the appropriate amount of Arbitration Costs from the former party. 28.3 The Arbitral Tribunal shall also have the power to decide by an award that all or part of the legal or other expenses incurred by a party (the

213 “Legal Costs”) be paid by another party. The Arbitral Tribunal shall decide the amount of such Legal Costs on such reasonable basis as it thinks appro- priate. The Arbitral Tribunal shall not be required to apply the rates or procedures for assessing such costs practised by any state court or other legal authority. 28.4 The Arbitral Tribunal shall make its decisions on both Arbitration Costs and Legal Costs on the general principle that costs should reflect the parties’ relative success and failure in the award or arbitration or under different issues, except where it appears to the Arbitral Tribunal that in the circ*mstances the application of such a general principle would be inappro- priate under the Arbitration Agreement or otherwise. The Arbitral Tribunal may also take into account the parties’ conduct in the arbitration, including any co-operation in facilitating the proceedings as to time and cost and any non-co-operation resulting in undue delay and unnecessary expense. Any decision on costs by the Arbitral Tribunal shall be made with reasons in the award containing such decision. 28.5 In the event that the parties have howsoever agreed before their dispute that one or more parties shall pay the whole or any part of the Arbitration Costs or Legal Costs whatever the result of any dispute, arbitra- tion or award, such agreement (in order to be effective) shall be confirmed by the parties in writing after the Commencement Date. 28.6 If the arbitration is abandoned, suspended, withdrawn or concluded, by agreement or otherwise, before the final award is made, the parties shall remain jointly and severally liable to pay to the LCIA and the Arbitral Tribunal the Arbitration Costs determined by the LCIA Court. 28.7 In the event that the Arbitration Costs are less than the deposits received by the LCIA under Article 24, there shall be a refund by the LCIA to the parties in such proportions as the parties may agree in writing, or failing such agreement, in the same proportions and to the same payers as the deposits were paid to the LCIA.

Article 29 Determinations and Decisions by LCIA Court 29.1 The determinations of the LCIA Court with respect to all matters relating to the arbitration shall be conclusive and binding upon the parties and the Arbitral Tribunal, unless otherwise directed by the LCIA Court. Save for reasoned decisions on arbitral challenges under Article 10, such determina- tions are to be treated as administrative in nature; and the LCIA Court shall not be required to give reasons for any such determination. 29.2 To the extent permitted by any applicable law, the parties shall be taken to have waived any right of appeal or review in respect of any

214 determination and decision of the LCIA Court to any state court or other legal authority. If such appeal or review takes place due to mandatory provisions of any applicable law or otherwise, the LCIA Court may determine whether or not the arbitration should continue, notwithstanding such appeal or review.

Article 30 Confidentiality 30.1 The parties undertake as a general principle to keep confidential all awards in the arbitration, together with all materials in the arbitration created for the purpose of the arbitration and all other documents produced by another party in the proceedings not otherwise in the public domain, save and to the extent that disclosure may be required of a party by legal duty, to protect or pursue a legal right, or to enforce or challenge an award in legal proceedings before a state court or other legal authority. 30.2 The deliberations of the Arbitral Tribunal shall remain confidential to its members, save as required by any applicable law and to the extent that disclosure of an arbitrator’s refusal to participate in the arbitration is required of the other members of the Arbitral Tribunal under Articles 10, 12, 26 and 27. 30.3 The LCIA does not publish any award or any part of an award without the prior written consent of all parties and the Arbitral Tribunal.

Article 31 Limitation of Liability 31.1 None of the LCIA (including its officers, members and employees), the LCIA Court (including its President, Vice-Presidents, Honourary Vice- Presidents and members), the Registrar (including any deputy Registrar), any arbitrator, any Emergency Arbitrator and any expert to the Arbitral Tribunal shall be liable to any party howsoever for any act or omission in connection with any arbitration, save: (i) where the act or omission is shown by that party to constitute conscious and deliberate wrongdoing committed by the body or person alleged to be liable to that party; or (ii) to the extent that any part of this provision is shown to be prohibited by any applicable law. 31.2 After the award has been made and all possibilities of any memo- randum or additional award under Article 27 have lapsed or been exhausted, neither the LCIA (including its officers, members and employees), the LCIA Court (including its President, Vice-Presidents, Honourary Vice-Presidents and members), the Registrar (including any deputy Registrar), any arbitrator, any Emergency Arbitrator or any expert to the Arbitral Tribunal shall be under any legal obligation to make any statement to any person about any matter concerning the arbitration; nor shall any party seek to make any of these bodies or persons a witness in any legal or other proceedings arising out of the arbitration.

215 Article 32 General Rules 32.1 A party who knows that any provision of the Arbitration Agreement has not been complied with and yet proceeds with the arbitration without promptly stating its objection as to such non-compliance to the Registrar (before the formation of the Arbitral Tribunal) or the Arbitral Tribunal (after its formation), shall be treated as having irrevocably waived its right to object for all purposes. 32.2 For all matters not expressly provided in the Arbitration Agreement, the LCIA Court, the LCIA, the Registrar, the Arbitral Tribunal and each of the parties shall act at all times in good faith, respecting the spirit of the Arbitration Agreement, and shall make every reasonable effort to ensure that any award is legally recognised and enforceable at the arbitral seat. 32.3 If and to the extent that any part of the Arbitration Agreement is decided by the Arbitral Tribunal, the Emergency Arbitrator, or any court or other legal authority of competent jurisdiction to be invalid, ineffective or unenforceable, such decision shall not, of itself, adversely affect any order or award by the Arbitral Tribunal or the Emergency Arbitrator or any other part of the Arbitration Agreement which shall remain in full force and effect, unless prohibited by any applicable law.

216 ANNEX TO THE LCIA RULES General Guidelines for the Parties’ Legal Representatives (Articles 18.5 and 18.6 of the LCIA Rules) Paragraph 1: These general guidelines are intended to promote the good and equal conduct of the parties’ legal representatives appearing by name within the arbitration. Nothing in these guidelines is intended to derogate from the Arbitration Agreement or to undermine any legal representative’s primary duty of loyalty to the party represented in the arbitration or the obligation to present that party’s case effectively to the Arbitral Tribunal. Nor shall these guidelines derogate from any mandatory laws, rules of law, professional rules or codes of conduct if and to the extent that any are shown to apply to a legal representative appearing in the arbitration. Paragraph 2: A legal representative should not engage in activities intended unfairly to obstruct the arbitration or to jeopardise the finality of any award, including repeated challenges to an arbitrator’s appointment or to the jurisdiction or authority of the Arbitral Tribunal known to be unfounded by that legal representative. Paragraph 3: A legal representative should not knowingly make any false statement to the Arbitral Tribunal or the LCIA Court. Paragraph 4: A legal representative should not knowingly procure or assist in the preparation of or rely upon any false evidence presented to the Arbitral Tribunal or the LCIA Court. Paragraph 5: A legal representative should not knowingly conceal or assist in the concealment of any document (or any part thereof) which is ordered to be produced by the Arbitral Tribunal. Paragraph 6: During the arbitration proceedings, a legal representative should not deliberately initiate or attempt to initiate with any member of the Arbitral Tribunal or with any member of the LCIA Court making any determination or decision in regard to the arbitration (but not including the Registrar) any unilateral contact relating to the arbitration or the parties’ dispute, which has not been disclosed in writing prior to or shortly after the time of such contact to all other parties, all members of the Arbitral Tribunal (if comprised of more than one arbitrator) and the Registrar in accordance with Article 13.4. Paragraph 7: In accordance with Articles 18.5 and 18.6, the Arbitral Tribunal may decide whether a legal representative has violated these general guidelines and, if so, how to exercise its discretion to impose any or all of the sanctions listed in Article 18.6.

217

CONDIZIONI DI ABBONAMENTO PER IL 2015 Unione europea E 100,00 Paesi extra Unione europea E 150,00 Prezzo di un singolo numero E 25,00 (Extra U. E. E 38,00) In caso di sottoscrizione contemporanea a due o più riviste cartacee tra quelle qui di seguito indicate sconto 10% sulla quota di abbonamento: Unione europea Paesi extra Unione europea Giustizia civile massimario annotato della cassazione E 150,00 E 225,00 Rivista trimestrale di diritto e procedura civile E 135,00 E 202,00 Rivista dell’arbitrato E 100,00 E 150,00 Gli sconti non sono cumulabili Le annate arretrate a fascicoli, dal 2011 fino al 2014, sono disponibili fino ad esaurimento scorte

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I contributi pubblicati in questa rivista potranno, previa autorizzazione, essere riprodotti dall’Editore su altre, proprie pubblicazioni, in qualunque forma.

Registrazione presso il Tribunale di Roma al n. 113 in data 2 marzo 1991 R.O.C. n. 6569 (già RNS n. 23 vol. 1 foglio 177 del 2/7/1982) Direttore responsabile: Maria Beatrice Deli

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Rivista Dell'arbitrato 1-15 (2024)
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Author: Ouida Strosin DO

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Name: Ouida Strosin DO

Birthday: 1995-04-27

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Introduction: My name is Ouida Strosin DO, I am a precious, combative, spotless, modern, spotless, beautiful, precious person who loves writing and wants to share my knowledge and understanding with you.